Franca Chiaromonte
Alice Ceresa, BAMBINE
Einaudi, 1990
Alice Ceresa è morta un anno fa. Aveva settantanove
anni. Era una grande scrittrice.
Il suo Bambine (Einaudi, 1990) lascia senza fiato.
Per la storia che racconta: la storia di "una piccola famiglia",
"un nucleo sotto vuoto che si esprime in operazioni infinitesimali
di cui è difficile se non impossibile seguire percorsi meno banali
delle semplici incombenze del vivere materiale".
Per la scrittura fredda, scarnificata: niente da invidiare a Ivy Compton
Burnett. La scrittura come lavoro di precisione; fatica per fare che
quella parola sia quella e solo quella.
Per lo sguardo spietato sul genere umano. E sul genere umano femminile.
Mi piace l'occhio spietato di una donna su altre donne. Mi piace quando
è attraversato, quello sguardo, dal senso di una condivisione
e di una scommessa pietosa perché alta, senza sbavature, senza
ritorno, sulla propria differenza femminile.
Bambine è tutto questo: niente a che fare con l'esaltazione di
supposte qualità femminili capaci di redimere il mondo. Banalità
del male. E del bene. Donne senza qualità.
E si apre la strada della libertà. Libertà pura. Libertà
senza aggettivi. Uno stile di vita. Lo stile di Alice Ceresa.