Bianca Pitzorno
Agatha Christie, LA MIA VITA
Oscar Mondadori, 2003
Bianca Pitzorno è così brava che solo
a lei permettiamo di saltare la nostra regola aurea: poche righe che
dicono perché un libro ci è piaciuto. Ma noi non siamo
scrittrici e lei sì, dunque viva la differenza!
Leggere l'autobiografia di Agatha Christie
('La mia vita', oggi reperibile negli Oscar Mondadori), specie se ci
sentiamo depresse e scoraggiate, è come ristorarsi con una vivificante
boccata di ottimismo e di fiducia in se stesse.
-"Sono soddisfatta: ho fatto ciò che ho voluto"- dichiara
Agatha fin dalle prime pagine. Ha impiegato quindici anni, dai sessanta
ai settantacinque, a scrivere questa autobiografia, perché nel
frattempo ha continuato a fare molte altre cose interessanti. Per esempio
scattare, sviluppare e stampare le foto che documentavano gli scavi
archeologici realizzati nella regione di Bagdad dall'équipe di
suo marito Max Mallowan.
Alla scrittura dei famosi romanzi gialli che l'hanno resa famosa in
tutto il mondo e le hanno ottenuto il titolo di 'Dame' e il privilegio
-apprezzatissimo da una buona suddita inglese- di cenare con la Regina,
nel racconto che la Christie fa della sua vita viene attribuita poca
importanza, come se in confronto ai veri 'grandi' scrittori, l'autrice
si considerasse sempre una dilettante, una casalinga che scriveva a
tempo perso per superare un momento di malinconia, o per mettere insieme
il denaro necessario a tappezzare con una bella carta da parati la stanza
della bambina.
L'autobiografia racconta la vita di Agatha, nata Miller, dalla nascita
all'età che la scrittrice considera quella del congedo, con relativo
bilancio e ringraziamento a Dio e alla buona sorte (anche se poi vivrà
per altri dieci anni). Ma non aspettatevi che racconti TUTTO della sua
vita. "Ho ricordato quello che volevo ricordare" scrive in
un altro passo, e in un altro ancora dichiara che, anche se non è
bene rimuovere completamente le cose che ci hanno fatto soffrire, è
poco igienico pensarci troppo e rimuginarci sopra. Non ci troverete
quindi la soluzione del mistero della famosa scomparsa di tre giorni
su cui tanto si sono lambiccati i biografi.
L'autobiografia è soprattutto una storia di famiglia. E di una
famiglia di donne volitive, originali, piene di fiducia in se stesse.
Agatha è la terza figlia di una coppia singolare. La madre inglese,
orfana e povera, era stata allevata da una zia sposata a un ricco americano,
che aveva un ricchissimo figlio di primo letto. Fin dall'infanzia l'orfana
dall'aspetto fragile e delicato aveva deciso che da grande avrebbe sposato
quella specie di fratellastro pigro, ma straordinariamente affettuoso
e affabile. Qualità che anche l'energica Agatha giudicherà
fra le più desiderabili in un uomo.
Lo sposo desiderava andare a vivere in America. La sposina lo aveva
messo davanti al fatto compiuto, comprando dall'oggi al domani una grande
casa di campagna a Torquay, nel sud dell'Inghilterra. E in Inghilterra
i due avevano vissuto per tutta la vita, realizzando un matrimonio che
la figlia definirà esemplare e perfetto, e mettendo al mondo
tre figli. La maggiore, Madge, era 'il vero genio della famiglia', Agatha
era arrivata dodici anni più tardi, ed era 'la piccolina' coccolata
da tutti. Il fratello aveva ereditato la pigrizia ma non l'affabilità
del padre, e non combinerà niente di buono, senza che questo
venga però vissuto dalla famiglia, o perlomeno raccontato dalla
sorella, come una tragedia.
Altre presenze importantissime le due nonne materne, quella carnale
e l'altra, la zia-suocera, chiamata anche 'zia-nonnina', impegnate in
perenni battibecchi e in incrollabile sostegno reciproco. Una famiglia
dove si legge molto, dove si ricevono le visite di Henry James e di
Kipling, e dove -'Perché non scrivi un racconto?' è un
invito banale che la madre e la sorella maggiore rivolgono alla bambina
annoiata. Senza però alcun desiderio né prospettiva di
pubblicazione.
Agatha cresce col pensiero che il suo unico destino sarà quello
di sposarsi e di essere una buona moglie, come hanno fatto la madre
e la sorella. E intanto si diverte, viaggia, va alle feste, flirta,
si gode la vita e il buon cibo da quella ghiottona che confessa di essere.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale abbandona senza fare tante
storie questa vita di delizie e va a fare l'infermiera in un ospedale
militare, poi l'assistente farmacista (esperienza che le fornirà
una conoscenza dei veleni poi utilissima nel suo lavoro di scrittura).
La serietà dei tempi trasforma il suo flirt con un giovane aviatore
in fidanzamento. Agatha è una delle tante spose di guerra che
devono fare i conti col razionamento e che resta incinta durante una
licenza del marito. Finita la guerra, la famigliola si stabilisce a
Londra e qui, come per una scommessa e senza attribuirgli molta importanza,
Agatha scrive e pubblica il primo romanzo, 'Poirot a Style Court', firmandolo
col cognome del marito, Christie. Ma l'avvenimento più eccitante
di quel periodo è il lungo viaggio attorno al mondo che fa in
compagnia del suo Archie. Un viaggio che durerò dieci mesi. Viaggiare
è la vera passione di Agatha, e non la frena il pensiero della
figlioletta di due anni, che affida senza alcun rimorso, naturalmente
completa di 'nannie', alla sorella. Al ritorno trova che la bambina
non la riconosce, ma il libro ha avuto successo. Ne scrive un altro,
poi un altro. Col danaro che ne ricava compra una casa in campagna,
un'automobile, impara a guidare
Insomma, fa 'quello che vuole
fare'. Ma non ha capito che anche il marito vuole fare qualcosa, vuole
qualcosa di diverso, anzi, 'qualcuna', che non è lei. Con sua
enorme sorpresa Archie le chiede il divorzio, e dopo un anno di resistenza
Agatha è costretta a concederglielo. Per una volta non può
fare quello che vuole. Anche se il suo secondo matrimonio si rivelerà
felicissimo, sosterrà fino alla fine che quel divorzio è
stato un errore.
Si accinge ad allevare da sola la figlia, contando sull'aiuto di bambinaie-segretarie
fedelissime e della sorella maggiore. Lascerà alla bambina, fin
da piccola, la libertà di scegliere la propria educazione.
A questo punto le si presenta la Grande Svolta della sua vita. Vorrebbe
andare in vacanza in Giamaica, ma qualcuno le parla di Bagdad e in cinque
giorni, grazie ai servizi della mitica agenzia di viaggio Cook e dell'Oriente
Express, Agatha decide che andrà in Mesopotania, da sola.
L'Irak la affascina. D'ora in poi sarà per tutta la vita il suo
'paese dell'anima'. Chissà cosa direbbe in questi giorni, se
fosse ancora viva, leggendo sui giornali i giudizi delle varie Oriane
Fallaci sulla 'sua gente'. Lei che conclude le sue memorie con queste
parole "come è bello avere amici così. Caldi, semplici,
pieni di gioia di vivere, capaci di ridere di qualunque cosa. Gli arabi
sono dotati di un'allegria e di un senso dell'ospitalità straordinari
(
) La maggior parte degli effendi dagli abiti purpurei che vivono
in città sono noiosi, ma gli uomini delle campagne sono buoni
compagni e splendidi amici.
Quanto ho amato quella parte del mondo.
L'amo ancora e l'amerò sempre."
L'Irak le porta fortuna, perché l'anno dopo vi incontra un giovane
assistente archeologo, di undici anni più giovane di lei, che
ormai ne ha quaranta. Max Mallowan le fa da guida sui siti più
affascinanti del Medio Oriente, la assiste durante una poco decorosa
crisi intestinale, la riaccompagna a spron battuto in Inghilterra alla
notizia che la bambina, ospite della zia, ha la polmonite, e la convince
a sposarlo. Nonostante lo scandalo dei familiari e le infauste previsioni,
il matrimonio si rivela un successo, e Agatha si trasforma in un'archeologa.
Frequenta un corso di fotografia professionale e diventa colei che documenterà
con le foto il procedere e i risultati degli scavi. Nel frattempo, sempre
senza attribuire loro molta importanza, continua a scrivere i suoi libri.
Il successo mondiale non la turba. Nel concludere i suoi ricordi citerà
come la emozione più grande della sua vita il ritrovamento di
un canarino che le era scappato quando aveva quattro anni.
Prima e dopo la seconda guerra mondiale passa col marito lunghi periodi
a Bagdad, innamorati entrambi di quel paese, della sua cultura e della
sua gente. "A Bagdad abitavamo una vecchia dimora turca sulla riva
occidentale del Tigri. Sembrerà piuttosto strano che la preferissimo
a una costruzione moderna, ma questa nostra casa turca era fresca e
deliziosa, con il cortile e le palme che arrivavano fino alla ringhiera
del balcone. Dietro di noi c'erano giardini irrigati di palme e una
casupola abusiva fatta di latte di benzina. I bambini erano felici di
giocare lì. Le donne andavano e venivano, scendevano al fiume
a lavare le loro pentole e le padelle di terracotta. A Bagdad ricchi
e poveri vivevano gomito a gomito."
Ogni volta che torna in Irak è commossa dall'affetto degli antichi
operai. In compagnia di Max (avrebbe detto, ma la battuta non compare
in questa autobiografia, -"Sono fortunata ad aver sposato un archeologo.
Più invecchio e più mi apprezza") affronta anche
un viaggio sulla Transiberiana, oltre la Cortina di Ferro, e lo racconta
con grande ironia.
Ma col passare degli anni deve rinunciare a viaggiare. Deve rinunciare
a tante cose, ma i suoi libri sono letti quasi quanto la Bibbia, le
sue commedie a teatro tengono cartellone per anni. Neppure questo nuovo
successo la spinge all'autoesaltazione. Al contrario: "Allora ignoravo"-
scrive-"il carico di sofferenze che un adattamento teatrale comporta
per il povero autore letterario".
La figlia intanto è cresciuta, si è sposata. Agatha è
nonna di un simpatico ragazzino. Nel bilancio finale, quello che la
induce a ringraziare Dio e la buona sorte per la sua bella vita, non
vengono elencati i successi letterari, le onorificenze, e neppure la
ricchezza, se non perché le ha permesso di fare quello che voleva.
L'unica cosa di cui Agatha ringrazia la vita è l'affetto delle
persone che ha perduto e quello delle persone che le stanno ancora accanto.
Forse tanta 'modestia professionale' è voluta, forse dipende
da una scelta di stile, dalla volontà di presentarsi con un basso
profilo. Ma che sollievo, in confronto all'esaltazione orgogliosa di
tante donne ambiziosa che 'ce l'hanno fatta' e che ce lo sbattono in
faccia quasi deridendoci perché noi lettrici invece no.
Sembrerebbe, dalle memorie di Agatha Christie, che l'unica cosa per
cui la dobbiamo invidiare sia quella di aver avuto un'infanzia felice
e di aver saputo conquistare e sposare, a quarant'anni, un giovane di
ventinove, colto, sensibile e intelligente che le vorrà bene
per tutta la vita. E francamente, per questo un po' la invidiamo.