Libreria delle donne di Milano
paradiso "A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere" (Virginia Woolf, luglio 1934)

Bianca Pitzorno
Agatha Christie, LA MIA VITA
Oscar Mondadori, 2003

Bianca Pitzorno è così brava che solo a lei permettiamo di saltare la nostra regola aurea: poche righe che dicono perché un libro ci è piaciuto. Ma noi non siamo scrittrici e lei sì, dunque viva la differenza!

Leggere l'autobiografia di Agatha Christie ('La mia vita', oggi reperibile negli Oscar Mondadori), specie se ci sentiamo depresse e scoraggiate, è come ristorarsi con una vivificante boccata di ottimismo e di fiducia in se stesse.
-"Sono soddisfatta: ho fatto ciò che ho voluto"- dichiara Agatha fin dalle prime pagine. Ha impiegato quindici anni, dai sessanta ai settantacinque, a scrivere questa autobiografia, perché nel frattempo ha continuato a fare molte altre cose interessanti. Per esempio scattare, sviluppare e stampare le foto che documentavano gli scavi archeologici realizzati nella regione di Bagdad dall'équipe di suo marito Max Mallowan.
Alla scrittura dei famosi romanzi gialli che l'hanno resa famosa in tutto il mondo e le hanno ottenuto il titolo di 'Dame' e il privilegio -apprezzatissimo da una buona suddita inglese- di cenare con la Regina, nel racconto che la Christie fa della sua vita viene attribuita poca importanza, come se in confronto ai veri 'grandi' scrittori, l'autrice si considerasse sempre una dilettante, una casalinga che scriveva a tempo perso per superare un momento di malinconia, o per mettere insieme il denaro necessario a tappezzare con una bella carta da parati la stanza della bambina.
L'autobiografia racconta la vita di Agatha, nata Miller, dalla nascita all'età che la scrittrice considera quella del congedo, con relativo bilancio e ringraziamento a Dio e alla buona sorte (anche se poi vivrà per altri dieci anni). Ma non aspettatevi che racconti TUTTO della sua vita. "Ho ricordato quello che volevo ricordare" scrive in un altro passo, e in un altro ancora dichiara che, anche se non è bene rimuovere completamente le cose che ci hanno fatto soffrire, è poco igienico pensarci troppo e rimuginarci sopra. Non ci troverete quindi la soluzione del mistero della famosa scomparsa di tre giorni su cui tanto si sono lambiccati i biografi.
L'autobiografia è soprattutto una storia di famiglia. E di una famiglia di donne volitive, originali, piene di fiducia in se stesse. Agatha è la terza figlia di una coppia singolare. La madre inglese, orfana e povera, era stata allevata da una zia sposata a un ricco americano, che aveva un ricchissimo figlio di primo letto. Fin dall'infanzia l'orfana dall'aspetto fragile e delicato aveva deciso che da grande avrebbe sposato quella specie di fratellastro pigro, ma straordinariamente affettuoso e affabile. Qualità che anche l'energica Agatha giudicherà fra le più desiderabili in un uomo.
Lo sposo desiderava andare a vivere in America. La sposina lo aveva messo davanti al fatto compiuto, comprando dall'oggi al domani una grande casa di campagna a Torquay, nel sud dell'Inghilterra. E in Inghilterra i due avevano vissuto per tutta la vita, realizzando un matrimonio che la figlia definirà esemplare e perfetto, e mettendo al mondo tre figli. La maggiore, Madge, era 'il vero genio della famiglia', Agatha era arrivata dodici anni più tardi, ed era 'la piccolina' coccolata da tutti. Il fratello aveva ereditato la pigrizia ma non l'affabilità del padre, e non combinerà niente di buono, senza che questo venga però vissuto dalla famiglia, o perlomeno raccontato dalla sorella, come una tragedia.
Altre presenze importantissime le due nonne materne, quella carnale e l'altra, la zia-suocera, chiamata anche 'zia-nonnina', impegnate in perenni battibecchi e in incrollabile sostegno reciproco. Una famiglia dove si legge molto, dove si ricevono le visite di Henry James e di Kipling, e dove -'Perché non scrivi un racconto?' è un invito banale che la madre e la sorella maggiore rivolgono alla bambina annoiata. Senza però alcun desiderio né prospettiva di pubblicazione.
Agatha cresce col pensiero che il suo unico destino sarà quello di sposarsi e di essere una buona moglie, come hanno fatto la madre e la sorella. E intanto si diverte, viaggia, va alle feste, flirta, si gode la vita e il buon cibo da quella ghiottona che confessa di essere. Allo scoppio della Prima guerra mondiale abbandona senza fare tante storie questa vita di delizie e va a fare l'infermiera in un ospedale militare, poi l'assistente farmacista (esperienza che le fornirà una conoscenza dei veleni poi utilissima nel suo lavoro di scrittura). La serietà dei tempi trasforma il suo flirt con un giovane aviatore in fidanzamento. Agatha è una delle tante spose di guerra che devono fare i conti col razionamento e che resta incinta durante una licenza del marito. Finita la guerra, la famigliola si stabilisce a Londra e qui, come per una scommessa e senza attribuirgli molta importanza, Agatha scrive e pubblica il primo romanzo, 'Poirot a Style Court', firmandolo col cognome del marito, Christie. Ma l'avvenimento più eccitante di quel periodo è il lungo viaggio attorno al mondo che fa in compagnia del suo Archie. Un viaggio che durerò dieci mesi. Viaggiare è la vera passione di Agatha, e non la frena il pensiero della figlioletta di due anni, che affida senza alcun rimorso, naturalmente completa di 'nannie', alla sorella. Al ritorno trova che la bambina non la riconosce, ma il libro ha avuto successo. Ne scrive un altro, poi un altro. Col danaro che ne ricava compra una casa in campagna, un'automobile, impara a guidare… Insomma, fa 'quello che vuole fare'. Ma non ha capito che anche il marito vuole fare qualcosa, vuole qualcosa di diverso, anzi, 'qualcuna', che non è lei. Con sua enorme sorpresa Archie le chiede il divorzio, e dopo un anno di resistenza Agatha è costretta a concederglielo. Per una volta non può fare quello che vuole. Anche se il suo secondo matrimonio si rivelerà felicissimo, sosterrà fino alla fine che quel divorzio è stato un errore.
Si accinge ad allevare da sola la figlia, contando sull'aiuto di bambinaie-segretarie fedelissime e della sorella maggiore. Lascerà alla bambina, fin da piccola, la libertà di scegliere la propria educazione.
A questo punto le si presenta la Grande Svolta della sua vita. Vorrebbe andare in vacanza in Giamaica, ma qualcuno le parla di Bagdad e in cinque giorni, grazie ai servizi della mitica agenzia di viaggio Cook e dell'Oriente Express, Agatha decide che andrà in Mesopotania, da sola.
L'Irak la affascina. D'ora in poi sarà per tutta la vita il suo 'paese dell'anima'. Chissà cosa direbbe in questi giorni, se fosse ancora viva, leggendo sui giornali i giudizi delle varie Oriane Fallaci sulla 'sua gente'. Lei che conclude le sue memorie con queste parole "come è bello avere amici così. Caldi, semplici, pieni di gioia di vivere, capaci di ridere di qualunque cosa. Gli arabi sono dotati di un'allegria e di un senso dell'ospitalità straordinari (…) La maggior parte degli effendi dagli abiti purpurei che vivono in città sono noiosi, ma gli uomini delle campagne sono buoni compagni e splendidi amici.
Quanto ho amato quella parte del mondo.
L'amo ancora e l'amerò sempre."
L'Irak le porta fortuna, perché l'anno dopo vi incontra un giovane assistente archeologo, di undici anni più giovane di lei, che ormai ne ha quaranta. Max Mallowan le fa da guida sui siti più affascinanti del Medio Oriente, la assiste durante una poco decorosa crisi intestinale, la riaccompagna a spron battuto in Inghilterra alla notizia che la bambina, ospite della zia, ha la polmonite, e la convince a sposarlo. Nonostante lo scandalo dei familiari e le infauste previsioni, il matrimonio si rivela un successo, e Agatha si trasforma in un'archeologa. Frequenta un corso di fotografia professionale e diventa colei che documenterà con le foto il procedere e i risultati degli scavi. Nel frattempo, sempre senza attribuire loro molta importanza, continua a scrivere i suoi libri. Il successo mondiale non la turba. Nel concludere i suoi ricordi citerà come la emozione più grande della sua vita il ritrovamento di un canarino che le era scappato quando aveva quattro anni.
Prima e dopo la seconda guerra mondiale passa col marito lunghi periodi a Bagdad, innamorati entrambi di quel paese, della sua cultura e della sua gente. "A Bagdad abitavamo una vecchia dimora turca sulla riva occidentale del Tigri. Sembrerà piuttosto strano che la preferissimo a una costruzione moderna, ma questa nostra casa turca era fresca e deliziosa, con il cortile e le palme che arrivavano fino alla ringhiera del balcone. Dietro di noi c'erano giardini irrigati di palme e una casupola abusiva fatta di latte di benzina. I bambini erano felici di giocare lì. Le donne andavano e venivano, scendevano al fiume a lavare le loro pentole e le padelle di terracotta. A Bagdad ricchi e poveri vivevano gomito a gomito."
Ogni volta che torna in Irak è commossa dall'affetto degli antichi operai. In compagnia di Max (avrebbe detto, ma la battuta non compare in questa autobiografia, -"Sono fortunata ad aver sposato un archeologo. Più invecchio e più mi apprezza") affronta anche un viaggio sulla Transiberiana, oltre la Cortina di Ferro, e lo racconta con grande ironia.
Ma col passare degli anni deve rinunciare a viaggiare. Deve rinunciare a tante cose, ma i suoi libri sono letti quasi quanto la Bibbia, le sue commedie a teatro tengono cartellone per anni. Neppure questo nuovo successo la spinge all'autoesaltazione. Al contrario: "Allora ignoravo"- scrive-"il carico di sofferenze che un adattamento teatrale comporta per il povero autore letterario".
La figlia intanto è cresciuta, si è sposata. Agatha è nonna di un simpatico ragazzino. Nel bilancio finale, quello che la induce a ringraziare Dio e la buona sorte per la sua bella vita, non vengono elencati i successi letterari, le onorificenze, e neppure la ricchezza, se non perché le ha permesso di fare quello che voleva. L'unica cosa di cui Agatha ringrazia la vita è l'affetto delle persone che ha perduto e quello delle persone che le stanno ancora accanto.
Forse tanta 'modestia professionale' è voluta, forse dipende da una scelta di stile, dalla volontà di presentarsi con un basso profilo. Ma che sollievo, in confronto all'esaltazione orgogliosa di tante donne ambiziosa che 'ce l'hanno fatta' e che ce lo sbattono in faccia quasi deridendoci perché noi lettrici invece no.
Sembrerebbe, dalle memorie di Agatha Christie, che l'unica cosa per cui la dobbiamo invidiare sia quella di aver avuto un'infanzia felice e di aver saputo conquistare e sposare, a quarant'anni, un giovane di ventinove, colto, sensibile e intelligente che le vorrà bene per tutta la vita. E francamente, per questo un po' la invidiamo.