Libreria delle donne di Milano
paradiso "A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere" (Virginia Woolf, luglio 1934)

Federica Sossi
H. ARENDT, Rahel Varnhagen. Storia di una donna ebrea
(1959)
il Saggiatore, Milano 2004

Rahel Levin, Rahel Robert, Friederike Robert, Friederike Varnhagen, nata Robert, Friederike Varnhagen von Else.
La storia di un'ebrea, Rahel, Rahel Varnhagen, nata Levin, e non di un'ebrea tedesca, che per tutta la vita ha cercato di mascherare la sua nascita - quella "nascita infame", secondo le parole della stessa Rahel - e di trovare risposte diverse, altre parole ma anche altri nomi, altri modi di essere e di apparire, diversi rispetto al rinvio a quella nascita, alla domanda "chi sei?": è questa la storia di Rahel che conosciamo dopo la lettura del libro di Hannah Arendt. Ancora, la storia di una donna ebrea nella Prussia tra la fine del XVIII e i primi anni del XIX secolo che, passando di situazione in situazione, nel vorticare dei cambiamenti, scopre, di volta in volta, che "si può nascondere 'chi si è' solo nel completo silenzio e nella perfetta passività". La storia di una donna ebrea che non ha un posto nel mondo - perché vive in un tempo che non prevede un posto per lei - ma che lo esige a tutti i costi, e che proprio per questo "trema e sanguina", non esattamente in quanto essere umano, ma in quanto essere umano/donna/ebrea, che non vuole il silenzio né la perfetta passività, che esige, anzi, ad ogni situazione, la sua parte di attività, compiendo "tante sciocchezze senza saperlo", forse troppe, e una in particolare: scambiare la società, la buona società del suo tempo, quella società che la lasciava ai margini, con il mondo, quel mondo del suo tempo "oscuro" in cui non c'era spazio per lei, votandosi ai mille tentativi per esserci, proprio lì, solo lì, in quella società, senza mai presentire le possibilità o le impossibilità di un agire. Ancora, la storia di una donna che, nella Prussia illuminata del suo tempo, porta con sé un oscuro segreto, sempre quella nascita; che intraprende alla luce del giorno una battaglia "contro i fatti", inventandosi una vita priva di mondo e di tradizione, di solo pensiero e di sola intimità, ma che accanto a questa vita che richiede di apparire e, a lei, di apparire diversa da quello che è, ne ha un'altra, privata, "di cui nasconde i dettagli agli amici e della cui miseria parla apertamente soltanto ai fratelli". La storia di una donna ebrea dalla duplice vita; anzi, la storia di una donna ebrea dalla triplice vita, perché, raccontando quella vita, a Arendt non sfugge che "la sua più intima amica" ha, oltre alla vita sociale ai margini del sociale e oltre alla vita privata che nasconde agli altri ma confessa ai fratelli, una vita della notte, una vita oscura, in cui la sua disperazione che vi cerca rifugio "fa apparire il fondo più segreto della sua natura che il giorno ha cercato di disperdere, aggirare, correggere". La storia di una donna che nella scissione di giorno e notte, di lumi e ombre, si lascia travolgere, nel giorno, da quella notte, trovando, però, nell'ambiguità del chiaroscuro, nella commistione tra il tacere la vergogna della nascita e la sua confessione onirica, una commistione e un'ambiguità che le permettono di non prendere "sul serio nessuna delle due"; trovando, dunque, nell'ambiguità, almeno momentaneamente, l'idea di una soluzione duratura. Ancora, la storia di una donna ebrea che ha cercato di nascere, non una seconda, ma più volte, che ha consacrato la propria vita, anche a costo di sacrificarla, a far dimenticare e a dimenticare la propria origine e la vergogna, e che nel turbinio dei molti nomi, ormai compiutamente Friederike Varnhagen von Else, nata Robert, "non si sa decidere a un'identificazione ipocrita" con quest'ultima nascita, perché, "tutta la vita, mi sono considerata Rahel e nient'altro", scrive Rahel, perché, "non si può nascere una seconda volta", commenta la sua impietosa amica a qualche pagina, e a più di un secolo, di distanza. La storia, dunque, di una donna che continua ad apparire agli altri con quel daimon ebraico inaccettabile e con il quale rivela alla società, che lei scambia per il mondo, chi è: un'ebrea; e che, proprio per le umiliazioni subite, si trova costretta, alla fine, forse abbagliata da quel chi che lo sguardo degli altri le continua a rinviare, "ad accettare come destino di responsabilità piena" quello che ha cercato di nascondere a se stessa.
"Che storia! - Sono una profuga dall'Egitto e dalla Palestina e trovo qui aiuto, amore e cura da parte Vostra! Con entusiasmo sublime penso a questa mia origine e alla trama del destino in cui si uniscono le più lontane distanze di spazio e di tempo: le più antiche memorie del genere umano, allo stato più recente delle cose. Quello che, per tanto tempo della mia vita, è stata l'onta più grande, il più crudo dolore e l'infelicità, essere nata ebrea, non vorrei mi mancasse ora a nessun costo". Fa iniziare così, Hannah Arendt, la storia di Rahel: dalla fine, dal suo ritorno a Rahel, nata Levin, e dall'accettazione di questa nascita, anzi, dall'entusiasmo sublime con cui Rahel rivendica la propria origine. Perché questa storia è tutto quello che ho cercato di elencare e molto di più.
Rahel Varnhagen. Storia di un'ebrea diventa così uno scrigno di infinite storie, in ognuna delle quali Rahel è protagonista, come se molti capitoli essenziali di quel "libro dei racconti dell'umanità" che è la Storia dovessero avere proprio questa donna ebrea come protagonista. Rahel Varnhagen, che ci narra la vita di Rahel, la quale, alla fine, si è trasformata tutta in "un frammento di storia ebraica in Germania", diventa innanzitutto storia dell'assimilazione, e con ciò la storia di "una società quasi completamente antisemita" alla quale "ci si può assimilare solo se si assimila anche l'antisemitismo". Storia della modernità, di quell'alienazione dal mondo iniziata, per Arendt, con il cogito cartesiano, e che nella storia di Rahel assume una forma particolare: la sua impossibilità, e l'impossibilità degli altri ebrei, di essere in armonia con un mondo che la/li rifiuta. Storia della nascita, di quello strano concetto di nascita che diventerà uno dei concetti fondamentali del pensiero arendtiano e che proprio Rahel, in bilico tra vergogna e entusiasmo sublime rispetto alla propria origine, sembra averle suggerito come qualcosa che doveva essere indagato.