Federica Sossi
H. ARENDT, Rahel Varnhagen. Storia di una donna ebrea
(1959)
il Saggiatore, Milano 2004
Rahel Levin, Rahel Robert, Friederike Robert,
Friederike Varnhagen, nata Robert, Friederike Varnhagen von Else.
La storia di un'ebrea, Rahel, Rahel Varnhagen, nata Levin, e non di
un'ebrea tedesca, che per tutta la vita ha cercato di mascherare la
sua nascita - quella "nascita infame", secondo le parole della
stessa Rahel - e di trovare risposte diverse, altre parole ma anche
altri nomi, altri modi di essere e di apparire, diversi rispetto al
rinvio a quella nascita, alla domanda "chi sei?": è
questa la storia di Rahel che conosciamo dopo la lettura del libro di
Hannah Arendt. Ancora, la storia di una donna ebrea nella Prussia tra
la fine del XVIII e i primi anni del XIX secolo che, passando di situazione
in situazione, nel vorticare dei cambiamenti, scopre, di volta in volta,
che "si può nascondere 'chi si è' solo nel completo
silenzio e nella perfetta passività". La storia di una donna
ebrea che non ha un posto nel mondo - perché vive in un tempo
che non prevede un posto per lei - ma che lo esige a tutti i costi,
e che proprio per questo "trema e sanguina", non esattamente
in quanto essere umano, ma in quanto essere umano/donna/ebrea, che non
vuole il silenzio né la perfetta passività, che esige,
anzi, ad ogni situazione, la sua parte di attività, compiendo
"tante sciocchezze senza saperlo", forse troppe, e una in
particolare: scambiare la società, la buona società del
suo tempo, quella società che la lasciava ai margini, con il
mondo, quel mondo del suo tempo "oscuro" in cui non c'era
spazio per lei, votandosi ai mille tentativi per esserci, proprio lì,
solo lì, in quella società, senza mai presentire le possibilità
o le impossibilità di un agire. Ancora, la storia di una donna
che, nella Prussia illuminata del suo tempo, porta con sé un
oscuro segreto, sempre quella nascita; che intraprende alla luce del
giorno una battaglia "contro i fatti", inventandosi una vita
priva di mondo e di tradizione, di solo pensiero e di sola intimità,
ma che accanto a questa vita che richiede di apparire e, a lei, di apparire
diversa da quello che è, ne ha un'altra, privata, "di cui
nasconde i dettagli agli amici e della cui miseria parla apertamente
soltanto ai fratelli". La storia di una donna ebrea dalla duplice
vita; anzi, la storia di una donna ebrea dalla triplice vita, perché,
raccontando quella vita, a Arendt non sfugge che "la sua più
intima amica" ha, oltre alla vita sociale ai margini del sociale
e oltre alla vita privata che nasconde agli altri ma confessa ai fratelli,
una vita della notte, una vita oscura, in cui la sua disperazione che
vi cerca rifugio "fa apparire il fondo più segreto della
sua natura che il giorno ha cercato di disperdere, aggirare, correggere".
La storia di una donna che nella scissione di giorno e notte, di lumi
e ombre, si lascia travolgere, nel giorno, da quella notte, trovando,
però, nell'ambiguità del chiaroscuro, nella commistione
tra il tacere la vergogna della nascita e la sua confessione onirica,
una commistione e un'ambiguità che le permettono di non prendere
"sul serio nessuna delle due"; trovando, dunque, nell'ambiguità,
almeno momentaneamente, l'idea di una soluzione duratura. Ancora, la
storia di una donna ebrea che ha cercato di nascere, non una seconda,
ma più volte, che ha consacrato la propria vita, anche a costo
di sacrificarla, a far dimenticare e a dimenticare la propria origine
e la vergogna, e che nel turbinio dei molti nomi, ormai compiutamente
Friederike Varnhagen von Else, nata Robert, "non si sa decidere
a un'identificazione ipocrita" con quest'ultima nascita, perché,
"tutta la vita, mi sono considerata Rahel e nient'altro",
scrive Rahel, perché, "non si può nascere una seconda
volta", commenta la sua impietosa amica a qualche pagina, e a più
di un secolo, di distanza. La storia, dunque, di una donna che continua
ad apparire agli altri con quel daimon ebraico inaccettabile e con il
quale rivela alla società, che lei scambia per il mondo, chi
è: un'ebrea; e che, proprio per le umiliazioni subite, si trova
costretta, alla fine, forse abbagliata da quel chi che lo sguardo degli
altri le continua a rinviare, "ad accettare come destino di responsabilità
piena" quello che ha cercato di nascondere a se stessa.
"Che storia! - Sono una profuga dall'Egitto e dalla Palestina e
trovo qui aiuto, amore e cura da parte Vostra! Con entusiasmo sublime
penso a questa mia origine e alla trama del destino in cui si uniscono
le più lontane distanze di spazio e di tempo: le più antiche
memorie del genere umano, allo stato più recente delle cose.
Quello che, per tanto tempo della mia vita, è stata l'onta più
grande, il più crudo dolore e l'infelicità, essere nata
ebrea, non vorrei mi mancasse ora a nessun costo". Fa iniziare
così, Hannah Arendt, la storia di Rahel: dalla fine, dal suo
ritorno a Rahel, nata Levin, e dall'accettazione di questa nascita,
anzi, dall'entusiasmo sublime con cui Rahel rivendica la propria origine.
Perché questa storia è tutto quello che ho cercato di
elencare e molto di più.
Rahel Varnhagen. Storia di un'ebrea diventa così uno scrigno
di infinite storie, in ognuna delle quali Rahel è protagonista,
come se molti capitoli essenziali di quel "libro dei racconti dell'umanità"
che è la Storia dovessero avere proprio questa donna ebrea come
protagonista. Rahel Varnhagen, che ci narra la vita di Rahel, la quale,
alla fine, si è trasformata tutta in "un frammento di storia
ebraica in Germania", diventa innanzitutto storia dell'assimilazione,
e con ciò la storia di "una società quasi completamente
antisemita" alla quale "ci si può assimilare solo se
si assimila anche l'antisemitismo". Storia della modernità,
di quell'alienazione dal mondo iniziata, per Arendt, con il cogito cartesiano,
e che nella storia di Rahel assume una forma particolare: la sua impossibilità,
e l'impossibilità degli altri ebrei, di essere in armonia con
un mondo che la/li rifiuta. Storia della nascita, di quello strano concetto
di nascita che diventerà uno dei concetti fondamentali del pensiero
arendtiano e che proprio Rahel, in bilico tra vergogna e entusiasmo
sublime rispetto alla propria origine, sembra averle suggerito come
qualcosa che doveva essere indagato.