Libreria delle donne di Milano
paradiso "A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere" (Virginia Woolf, luglio 1934)

Federica Sossi
Daniela Padoan, COME UNA RANA D'INVERNO
Bompiani, Milano 2004

"Lei non ci crederà, ma non basta tutta la vita per raccontare Birkenau". Non i racconti di tutta una vita, ma un dialogo a quattro, durato alcuni mesi, iniziato il 20 gennaio 2002 e interrottosi il 10 novembre 2003 per andare in stampa, è la lettura che ci regala Come una rana d'inverno, e un patto d'ascolto, tre donne che raccontano e una donna che di tanto in tanto chiede, offrendo anche a noi, lettori, la possibilità di provare a stringere quel patto. Daniela Padoan, nella postfazione, ci dice come è nata l'idea di questo libro e il suo farsi, insistendo su quel patto, sulla necessità di una relazione preliminare al racconto che si sviluppa nelle parole udite, e avvertendoci, pure, che il filo da lei seguito per raccogliere quelle parole è a sua volta un filo di relazioni. Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi, sono le tre donne che raccontano, di Auschwitz, di Birkenau, di mesi trascorsi come rane d'inverno, "vuoti gli occhi e freddo il grembo", secondo l'espressione del loro comune interlocutore maschile, Primo Levi, evocato già dal titolo del libro come la quinta persona che, indirettamente, partecipa al dialogo. Arrivate in età e in periodi diversi, tutte e tre erano lì, con negli occhi il fumo del crematorio, e nelle loro parole su quei mesi e sul dopo, grazie alla presenza di chi le ascolta e chiede, si rimandano l'una all'altra, nelle parole dette e nel riverberare dell'esperienza.
Ne emerge una singolare testimonianza, dalla lettura della quale si intuisce il bisogno della vita intera a cui fa cenno Goti Bauer, per raccontare la solitudine, la testa rasata, la nudità, il corpo svuotato di ogni scintilla divina, il viaggio, la selezione e gli affetti perduti già dalla prima selezione, le proprie compagne e le kapo, gli stracci indossati, i piccoli gesti, o solo sguardi di solidarietà, l'odore e il fumo del camino, sempre lì, dinanzi al volto, un'immagine che "rappresenta la totalità delle emozioni che si possono vivere, superata forse soltanto dalla paura che possa toccare a te". Una ripetuta oscillazione, tra il qui della voce che racconta e il ricordo. Un'oscillazione, ancora, tra singolarità e pluralità, e pure tra due forme di pluralità: la pluralità di tutti coloro che hanno vissuto quell'esperienza e la pluralità di tutte, perché le tre testimoni che narrano di Auschwitz e di sé, del dopo e del loro silenzio o del loro racconto nel dopo, del prima e della loro vita già interrotta nella sua normalità dalle leggi razziali del '38, sono tre donne. E perché il filo del dialogo che intreccia le loro risposte ritorna su questa particolare pluralità. "Senza dimenticare per un solo istante che l'obiettivo dei nazisti era cancellare dal mondo gli ebrei, uomini o donne che fossero, e che tutti, nell'inconcepibile orrore della persecuzione nazista, seguirono lo stesso percorso di fame, tortura, sfruttamento e morte, riflettere sulla peculiarità delle sofferenze e delle sopraffazioni patite dalle donne, così come sul loro modo di opporre resistenza e rendere testimonianza, può però servire ad allargare di un poco l'ambito della riflessione". Sempre nella postfazione, Daniela Padoan indica, infatti, alcuni vuoti o dimenticanze della storiografia della Shoah, il fatto che le donne siano rimaste "pressoché invisibili" nei libri e nelle riflessioni degli storici, e la limitazione o l'appiattimento delle differenze che la sovrapposizione della presenza femminile a quella maschile comporta: "i testimoni, i deportati, i sopravvissuti, quasi che la tensione all'universale pretendesse il sacrificio di rendere neutro il corpo e il linguaggio. In questa sovrapposizione, però, si rischia di perdere una parte di dicibilità dell'esperienza di metà degli esseri umani che hanno attraversato e sono stati attraversati dalla Shoah".
Ed anche in questo caso, nella lettura dei racconti di risposta, siamo rinviati a una o a più oscillazioni, di nuovo tra singolarità e pluralità, ma tra singolarità e pluralità declinate, questa volta, tutte al femminile, che riflettono e ci permettono di riflettere tanto sulla pluralità quanto sulle singolarità femminili di quell'esperienza e sulla testimonianza che di essa ci è stata lasciata.