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È
uscito il numero 100 di VIA DOGANA, marzo 2012
Con tutta la forza necessaria
da E IN
RISPOSTA I DUE PUNTI di Vita C.
Il numero propone un tema, quello della forza necessaria, che fin
dall'inizio ha attraversato l'elaborazione del femminismo. Si pensi, ad
esempio, alla fioritura di studi attorno a Simone Weil, che della forza
ha fatto il punto nodale del suo pensiero. Questi studi hanno contribuito
a svincolare la forza da una costellazione di concetti, quali sopraffazione
e distruttività, e risignificarla altrimenti, per renderla così
disponibile alla politica delle donne. Invito a rileggere un agile libretto
che ha circolato ampiamente: L'azione perfetta di Chiara Zamboni
(Centro Virginia Woolf, Roma 1993). Coniuga il riferimento alla grande
pensatrice con un'intensità politica rivolta alle donne, troppo
spesso impigliate in un attivismo frenetico o nell'automoderazione.
In grande vicinanza con S. Weil ha lavorato anche Angela Putino, che sul
finire degli anni '80 inventò gli "Esercizi spirituali per
giovani guerriere". Di lei segnalo: Cosmo (in Quattro giovedì
e un venerdì per la filosofia, Milano 1987) in cui introduce
una parola, inaddomesticato, che riassume il suo progetto. Lo troverete
nel sito della Libreria. Segnalo anche Donna guerriera (DWF 88)
in cui, utilizzando la figura di Pentesilea, esplora le condizioni per
costituire la forza femminile, e La funzione guerriera nella sua originaria
forma femminile (in Filosofia Donne Filosofie, Lecce 1994).
In quest'ultimo scriveva: L'azione guerriera elimina la messa in scena
con tutte le quinte e i suoi sensi riposti, sposta tutto all'azione necessaria,
espellendo l'interiorità.
Da La
parola a Via Dogana
Sono al centesimo numero, in buona salute e, oso dire, bella, solo un
paio di lifting. Dovrò farne un altro?
Ogni numero (quattro l'anno) comincia con la redazione allargata, aperta
a donne e uomini. Vengono da ogni parte d'Italia, qualche straniera di
passaggio, per decidere l'argomento e tutto il resto. È un momento
impegnativo: discussioni, risate, baruffe, poi ecco una proposta che sorprende,
affascina o ripugna. E avanti così per ore, fino a disegnare il
progetto del nuovo numero, con qualche punto di domanda, è ovvio.
Poi comincia la raccolta dei testi che mi daranno esistenza.
Passa un mese e mi ritrovo nella redazione ristretta. Che fatica per loro,
ma che piacere per me: si legge, commenta, discute, questo sì questo
no, la sequenza, il titolo, le immagini e finalmente il numero c'è,
io rinasco. A proposito, in certi periodi le redazioni si sono moltiplicate:
Roma, Verona, Catania
Non sapevo più dov'ero. Ricordo bene
anche Mantova, città bellissima, mi piaceva la sua aria che odorava
di campagna.
Da Al
limite, la violenza di Luisa Muraro
La predicazione antiviolenza non manca certo di argomenti morali ma le
manca ormai un punto di leva per sollevare le giuste pretese e abbassare
l'arroganza dei potenti. Anticamente il punto di leva era la parola divina;
modernamente è stato l'ideale del progresso. Che oggi è
morto, al pari e forse più di Dio. Oggi, a causa della competizione
globale, esasperata dalla crisi in corso, l'idea che sia possibile stare
meglio tutti non agisce più; prevale quella che il meglio sia per
alcuni a spese di altri.
La costatazione che non siamo più animati dal sogno di stare tutti
meglio, è un colpo mortale all'ideale dell'uguaglianza e alla politica
dei diritti. E impone di riaprire il discorso sull'uso della forza. C'è
una violenza nelle cose e fra i viventi che prelude a un ritorno della
legge del più forte: dobbiamo pensarci.
Il discorso può aprirsi dicendo semplicemente che, in certi contesti,
a certe condizioni, è opportuno non usare tutta la forza di cui
si dispone. Bisogna però tenerla a disposizione, se non si vuole
che altri se la prendano: alla propria forza non si rinuncia senza soccombere
ad altre forze. Si tratterà dunque di dosarla senza perderla.
Da La
politica delle donne davanti alla violenza. Due risposte
Alla sollecitazione di Luisa Muraro fa obiezione la scelta storica di
gran parte delle donne di lottare agendo politicamente in modo non violento
e cioè senza avere come scopo la presa o il mantenimento del potere.
La scelta di segno femminile è di custodire, fin dove è
possibile, l'integrità dei corpi, delle anime e dei luoghi dalla
violenza individuale o di Stato, ma questo non significa che ci sia stata
da parte delle donne una rinuncia e esercitare la forza e perfino a studiarla
fino al punto da divenirne le più sapienti. Ricordiamo Simone Weil
per prima, ma anche le molte partigiane, le donne delle primavere arabe,
le madri argentine
Questa speciale sapienza riguarda, penso, la
capacità di praticare il limite, di individuarlo e di fermarsi,
se è vero che il degradare della forza in violenza riguarda il
problema dell'illimitato che grava sulla storia della differenza maschile
nella sua stretta affinità con la volontà di potenza.
Annarosa Buttarelli
Nei primi
anni '70 Elvio Fachinelli - psicoanalista molto acuto e capace di collegare
i cambiamenti nel linguaggio delle sue analizzate/i con i sommovimenti
profondi della realtà - mi disse che le femministe, anche se poche,
avevano una grande efficacia politica perché erano riuscite a colpire
l'inconscio di donne e uomini. E aggiungeva: come uomo ti senti sotto
osservazione, lo sguardo delle donne è cambiato, e ti mette in
agitazione.
In quegli anni, infatti, capitò un vero e proprio terremoto nelle
relazioni tra i due sessi. Senza che ci fossero morti sul campo. Niente
di violento, né scontri guerreschi, né aggressioni, né
conquiste di potere e territori, bensì una trasformazione dei rapporti
di forza in rapporti liberi. Con un'immersione in una forma inedita di
clandestinità: in piccoli gruppi di sole donne riuniti nelle case.
Ecco la spiegazione del turbamento dell'inconscio. Sottrarsi al dove e
quando gli altri si aspettano che tu sia, è un colpo che disfa
la costruzione sociale e va al fondo dei sentimenti e dei desideri delle
persone.
Veniamo all'oggi.
Lia Cigarini
Da La
forza di dialogare di Antonella Nappi
Non ho saputo difendere le mie posizioni né con mio padre, né
con mia madre, né con gli uomini che ho frequentato. Neppure con
la zia Daniela che insisteva perché andassi al suo gruppo di riflessione
che metteva in discussione i rapporti tra uomini e donne. Quella capitolazione
fu l'inizio di una battaglia contro il mio desiderio e progetto di fare
famiglia. Artigli spuntati. Avrei gradito invece essere ascoltata e consigliata
a tu per tu perché si verificasse il contesto in cui quel desiderio
si situava e poteva realizzarsi.
Così iniziò la mia partecipazione al movimento delle donne,
feci di necessità virtù e mi costruii un patrimonio di sapienza
e convinzione che mi diede, sul fronte che era divenuto la mia strada,
forza e gioia. Le relazioni intellettuali tra donne, gli studi sulla differenza
di genere, la fiducia in molte amiche e la stima che mi tornava indietro
sono state una alimentazione di forza e di capacità. Il mondo delle
donne mi aveva mostrato che agire nel mondo si può e si può
ottenere consapevolezza personale e mutamenti sociali, avevo da fare e
da dire nel buttarmi dentro i rapporti intellettuali che una sociologa,
Laura Balbo, mi aveva aperto dal 1970 e che dal 1973 erano diventati rapporti
con l'istituzione accademica. Essere all'università e fare corsi
sulla condizione femminile, ricerche tra donne sulle donne, prendermi
tutto lo spazio che volevo, tra uomini, nell'istituzione, farlo per anni,
farmi ascoltare anche da importanti accademici del mio settore, lavorare
con le colleghe: ho creduto di poter avere appiglio su tutti, di innovare,
di essere molto forte e capace. Non era un sogno ma un'altra esperienza
disturbava, la difficoltà di tenere la mia posizione quando si
differenziava da quella di un'altra.
Da
Chi ferma la violenza sessista? di Marisa Guarneri
Il 26 di gennaio in tutta Italia ci sono state manifestazioni per ricordare
Stefania Noce, femminista uccisa dal suo fidanzato.
Questo femminicidio ha colpito per la militanza e l'impegno della vittima,
ma non siamo riuscite a dire parole nuove. Né le donne del movimento
dei Centri antiviolenza, né in modo più esteso il movimento
delle donne.
A prescindere dal fatto che nemmeno l'essere consapevoli delle dinamiche
della violenza ci protegge, va detto che la mancanza di parole che vadano
al di là della denuncia ci richiede una
riflessione più approfondita su che cosa è violenza oggi.
Io credo che la violenza sia un fatto strutturale di questa società
e non occasionale. La violenza contro le donne sostiene la struttura stessa
dei rapporti fra uomini e donne e tutte le cosiddette azioni di contrasto
sono "ammortizzatori sociali".
Campagne di stampa, sportelli di ascolto, leggi regionali e provinciali
servono certamente a tenere sotto controllo la violenza domestica, gli
abusi sessuali intrafamiliari, la violenza sui minori, ma non a darne
concrete spiegazioni. E dire che si tratta di uno squilibrio di potere
a mio parere non basta più.
Da Oltre
l'aggressività femminile
Un gruppo di donne, nate per lo più negli anni ottanta, riunite
da Federica Giardini, hanno letto e discusso fra loro sul tema della forza
femminile e dintorni, violenza compresa. Vogliono oltrepassare certi limiti,
non ogni limite. Nasce così Sensibili guerriere. Sulla forza femminile,
a cura di Federica Giardini (Iacobelli 2011, pp. 153, euro 14,90) di cui
proponiamo alcuni passi. Sono tutti importanti ma brevi e lontani dall'esaurire
la ricchezza del volume.
Figure
Una delle domande di partenza del nostro percorso suonava: come e quanto
le donne di oggi stanno producendo simbolico intorno alla propria forza?
Quella prima fase ha assunto i connotati di un'opera di decostruzione
culturale, indirizzata verso alcune figure della forza femminile: la "donna
virile", la "donna isterica", la "donna paziente",
stereotipi conchiusi, analizzati e ricondotti, di volta in volta, alle
loro radici culturali e ai contesti storici di riferimento. Nel primo
caso, la donna forte sarebbe "virile" perché, abbandonata
la propria natura, diventa simile all'uomo, migliorando se stessa, partendo
quindi da una presunta deficienza, senza poter mai raggiungere il proprio
modello; un condizionamento culturale ancora persistente, spesso in maniera
latente. La "donna isterica" esprimerebbe una forza furiosa,
efficace talvolta e in alcune situazioni, ma non ancora riconosciuta culturalmente:
gli studi sull'isteria femminile ci aiutano a capire il valore sociale
di questo delirio, tipicamente associato al femminile. La figura della
"donna paziente" richiama una serie di immagini positive, associate
alla possibilità di dare e conservare la vita, ma evoca anche strategie
di santificazione per la giustificazione della subordinazione femminile.
Da
L'occupazione del Teatro Valle a Roma di Federica Giardini
Si entra nel foyer, quello spazio che dal 14 giugno 2011 è tornato
a rispondere al proprio nome: un focolare attorno a cui si svolge la vita
del Teatro Valle Occupato.
Le pratiche di occupazione in questo ultimo anno si sono diffuse in lungo
e in largo per il mondo, dalla Spagna agli Stati Uniti, al punto da tracciare
il disegno concreto e in divenire di un'altra politica, che usa l'urgenza
del bisogno e il respiro del desiderio per aprire nuovi orizzonti.
Si inizia con un atto che, seppure non violento, forza perlomeno ciò
che è statuito come legale. In questo caso particolare il Teatro
più antico di Roma è una proprietà demaniale che,
dopo la chiusura dell'Ente Teatrale Italiano, viene affidata al Comune
in vista di una gestione privata. L'occupazione ha interrotto questi passaggi
proprietari, che la forza dello Stato presenta come normale, se non come
necessario. Processo che avviene oramai su scala mondiale e che risponde
alla leggenda secondo cui ciò che era di proprietà dello
Stato, pubblico e dunque mal gestito, trovi miglior sorte e rendimento,
se affidato alle regole del mercato e del privato interesse. È
un'idea violenta, che produce effetti di miseria sui corpi e sulle menti:
privati del nutrimento necessario - non solo l'acqua ma anche la cultura,
la bellezza - a meno che non siano in grado di procurarseli a mezzo denaro.
Da Furore
matrice del cambiamento di Teresa Di Martino
"Benvenuti nella lotta che era già vostra. Con questo saluto
è stato inaugurato il primo giorno di occupazione al teatro Valle.
Proteggeremo a lungo l'emozione che questo saluto provocò in un
teatro gremito da un migliaio di persone. Era l'affermazione di una condizione
comune. La nostra" (Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri, La Furia
dei Cervelli, Manifestolibri, Roma 2011, p. 129). Condizione comune al
Quinto Stato, quell'esercito di lavoratori indipendenti che sono anche
espressione di una condizione generale della società, quella che
vede un soggetto escluso dalla cittadinanza, ai margini, apolide, vagabondo,
straniero in patria. È il Quinto Stato che fa i conti con una genealogia,
che prende coscienza di sé, che chiama all'azione e alla rivendicazione,
per il cambiamento, per una cittadinanza altra.
Da Le
arti marziali insegnano di Alessandra Chiricosta
Che il corpo femminile sia destinato a sprigionare una forza fisica inferiore
a quello maschile è un assunto che diverse tradizioni marzialistiche
dell'Asia Orientale mettono duramente in questione. L'esperienza di alcune
pratiche filosofiche, marziali, meditative - quali in diverso modo il
Wing Chung e il Taijiquan - insegna una declinazione del tutto nuova della
forza, non più misurata in termini quantitativi bensì qualitativi,
che rende il corpo di una donna potenzialmente più "forte".
Per capire dove risieda questa forza occorre partire dalla percezione
del proprio corpo: da sole, in relazione con i diversi ambienti, nel confronto
del combattimento simulato. La pratica marziale porta a individuare come
principale punto di forza la maggiore sensibilità femminile. Tale
affermazione non va travisata, ma contestualizzata. La "nostra"
cultura lega la "sensibilità" a un atteggiamento sovente
lacrimevole e pietoso, antitetico alla "forza" fisica. La sensibilità
a cui mi riferisco, invece, va intesa nel senso più carnale e psicofisico
possibile: vuol dire essere in grado di percepire più e meglio
del mio avversario le sue paure, le sue debolezze, le sue motivazioni
e, quindi, di elaborare strategie atte a colpire proprio in quei punti.
"Nel combattimento, ognuno, implicitamente, grida i propri punti
di forza e sussurra i propri punti deboli. La sensibilità "femminile"
è in grado di udire distintamente il sussurro sotto il grido".
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PAUSA LAVORO ********************
Manager
in bilico sull'orlo del potere
Le manager hanno qualcosa da dire. Non banalizziamole: non ci prescrivono
le cose giuste da fare, un pratico e definitivo catalogo delle "buone
pratiche" che dovrebbero garantire l'inclusione delle donne nelle
aziende con soddisfazione di tutti.
Quello che hanno da dirci di interessante è che i problemi posti
dalle donne al mondo del lavoro (poche donne, poca carriera, maternità)
possono essere un momento di ricchezza, di rottura degli orizzonti, di
immaginazione al lavoro, purché non ci si applichi all'opera da
sole, come ottime ed entusiaste esecutrici di disegni altrui, ma ci si
ingegni a cambiare gli schemi, restando ancorate alla propria esperienza
e a quella delle altre.
Avere altre con cui parlarne e confrontarsi, decidere di darsi autorevolezza,
andare fuori dall'azienda, affermare il valore politico del proprio agire:
tutto questo l'abbiamo visto all'opera in un recente incontro che si è
tenuto a Milano, dove si sono raccontate alcune donne che rivestono ruoli
dirigenti di alto livello in aziende di grandi dimensioni.
Tessiture
postpatriarcali. Continua il confronto con il pensiero di Ina Praetorius
Tu proponi di ribaltare la gerarchia tra economia del bisogno ed economia
dell'eccedenza, assumendo l'ambiente domestico come modello di un mondo
ideale. Noi diciamo invece: rompere la divisione tra domestico e mercato,
ripensando tutto il lavoro e l'economia in modo che non ci sia separazione
tra vita e relazioni da una parte, economia e lavoro dall'altra. Ci sembra
infatti importante evitare sia la contrapposizione tra domestico e mercato,
che costringe a scegliere tra un pezzo e l'altro della propria vita, sia
l'inglobamento di una dimensione nell'altra. (vedi Sottosopra Immagina
che il lavoro). Che cosa ne pensi?
Questa posizione poi, ci porta ad un agire politico che mette al centro
le donne, insieme agli uomini che lo vogliono, come soggetti politici
del cambiamento: ripartendo dal punto di vista delle donne sul domestico,
sul lavoro e sull'economia possiamo scardinare i paradigmi sia del domestico
che del mercato. Che cosa ne pensi?
Se voi avete letto, nei miei testi, che io vorrei "ribaltare la gerarchia
tra economia del bisogno ed economia dell'eccedenza", allora avete
frainteso qualcosa. Cito da Penelope a Davos: "
il mio amore
teorico e pratico per le faccende domestiche viene frainteso come "rivalutazione"
del vecchio ruolo femminile. (
) Per contro, la mia rinnovata considerazione
delle faccende domestiche presuppone sia la fase del femminismo dell'uguaglianza
sia la conseguente decostruzione dell'ordine simbolico androcentrico.
(
) Il problema, ora, è come si può organizzare una
società in cui tutti siano al tempo stesso liberi e dipendenti,
servano e siano serviti, definiscano e siano definiti, agiscano in molteplici
processi di scambio
"
Un
desiderio smisurato su uno sfondo domestico di Riccardo Fanciullacci
Ecco dunque la sfida grande di Ina Praetorius: "considerare il mondo
intero, anziché come un mercato, come oggi è diventato usuale,
un ambiente domestico". La sfida è grande perché non
si riduce all'invito a volgere lo sguardo dal mercato alla casa: la posta
in gioco è l'immagine con cui pensare niente meno che il mondo,
per fare sì che l'immagine della casa soppianti quella del mercato
come metafora che orienta (ad esempio, la casa porta a pensare alla cura
dei bisogni e all'attenzione per la qualità della vita, il mercato
al gioco delle equivalenze o alla ricerca indefinita di guadagno).
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LA PAUSA È FINITA ********************
Da PICCOLO
GRANDE SCHERMO di Silvana Ferrari
Il mio domani, un film di Marina Spada (Italia 2011, 100')
Raccontare la vita di una donna non è cosa semplice, anche se a
farlo è un'altra donna. Le parole formano frammenti di un discorso,
mentre le immagini sembrano sfuggire di fronte all'urgenza di dar loro
rappresentazione.
Marina Spada fedele a se stessa, a quello che ama e che l'appassiona,
lo fa evitando le soluzioni comode. La sua è una ricerca e le difficoltà
sono tante quando si pensa a come mostrare l'indicibile dentro la vita
di una donna. L'aiutano la pulizia delle immagini, il rigore della narrazione
e il distacco che impone a chi guarda.
L'interpretazione di Claudia Gerini, nel ruolo di Monica, così
asciutta ed essenziale - non un gesto in più del necessario, l'espressione
quasi sempre neutra - contribuisce a risaltarne il senso di vuoto e di
solitudine.
Insieme alla protagonista c'è una città, Milano, splendidamente
fotografata nelle nuove geometrie dei nascenti quartieri che, con i loro
spazi rigorosamente delineati, sottolineano e amplificano la sensazione
di straniamento. E, sopra tutte queste improbabili architetture, il cielo,
vario e intenso, che riempie lo schermo e fa allargare lo sguardo.
Da Nel
vuoto della potenza maschia
di Sandra Bonfiglioli
Questo è un brevissimo saggio a tesi. Sostengo che se osserviamo
i progetti urbani presentati da Anna Di Salvo, Ida Farè, Bianca
Bottero nel libro Architetture del desiderio, Liguori 2011, tutti promossi
e gestiti da donne in quanto cittadine pensanti, è facile riconoscere
un modo di agire, un modo di posizionarsi rispetto ai poteri, un modo
di parlare in pubblico così inusuali che possiamo chiamare tutto
ciò, sinteticamente, forza femminile. È questo tipo di forza
che vorrei capire. E cercare le ragioni di tanta audacia ed efficacia.
Qualità che sono anche frutto della tenacia e intelligenza strategica
dell'iniziativa "rete delle città vicine" finalizzata
a mettere in dialogo circoli di pensiero femminista, architetti e ingegneri,
decisori pubblici e portatori d'interesse.
I progetti presentati sono di piccola dimensione spaziale. I problemi
richiedono più etica che soldi. I temi non sono trattati disciplinarmente
e sono comunicati con la lingua comune. Siamo ancora nella logica del
piccolo è bello alla quale sappiamo di non credere? Possiamo essere
davvero influenti verso i decisori pubblici per una nuova città
più equa, amica, pulita, verde, ospitale di civiltà diverse?
Perché è questa, affatto piccola, la sfida sottesa ai progetti.
Diciamo subito cosa questa forza non è. Non è potenza.
Da Lo
sguardo di Pina Bausch di Cinzia Soldano
Qualche anno fa apparve sulle pagine culturali del quotidiano la Repubblica
una suggestiva intervista a una anziana dama viennese: l'ultima paziente
vivente di Sigmund Freud. L'aveva incontrato, lei diciassettenne, nel
suo studio di Vienna, condotta lì dai genitori che la consideravano
una ragazza chiusa e problematica, quindi presumibilmente malata. Un solo
colloquio, racconta la vecchia signora, fu sufficiente ad aprirle la possibilità
di appassionarsi alla propria vita, che ancora aveva tutta davanti; poiché
in quell'incontro le accadde, cosa mai accadutale da quando era venuta
al mondo, un'esperienza da lei giudicata decisiva: fu vista, e per la
prima volta, da un altro essere umano. Quello che aveva ricevuto da Freud
e di cui si sentiva, ancora dopo 60 anni, commossa e grata, era lo straordinario
regalo dello sguardo.
Basta la forza dello sguardo per guidare, chi ne era stato privato, ad
accettare l'umana esistenza: da questo curioso fatto muove il bellissimo
film documentario di Wim Wenders dedicato a Pina Bausch. Di tale clamoroso
effetto dello sguardo raccontano ininterrottamente i danzatori e le danzatrici
di Pina intervistati per tutto il film tra una favolosa ripresa di danza
e l'altra.
Una danzatrice: "Pina mi ha guardato ogni giorno per 22 anni, più
di chiunque altro al mondo, più dei miei genitori".
Da
La salute non è mai neutra di Metis
Si chiede Irene Strazzeri nel numero scorso di Via Dogana (99, dicembre
2011) "quali dinamiche siano alla base della subordinazione e della
violenza, ma anche quali dinamiche siano alla base della nostre possibilità
di autodeterminazione".
Potremmo dire che all'origine della riflessione sulla medicina e la salute,
che il nostro gruppo porta avanti dal 1996, questo sia stato il punto
di partenza, la questione che ci ha mosso a metterci insieme, interrogarci,
pensare, organizzare convegni, seminari, scrivere tre libri, andare in
giro a presentarli. Perché questo desiderio? Perché questa
passione?
Nella vasta polisemia di questo termine sta la ragione del nostro esistere,
fare e dire.
Passione, patire, paziente: come ci poniamo ognuna e ognuno di fronte
al nostro corpo malato e alla medicina che se ne prende cura? O meglio
ancora: come ci poniamo "nel" nostro corpo ogni giorno, ogni
anno, ogni fase della nostra vita, quale il nostro rapporto con esso?
È un involucro, un ingombro, un compagno, un rifugio, un nemico?
Quando siamo sane/i e quando ci ammaliamo quali i pensieri, le paure,
la delega, la fiducia, le resistenze, le rimozioni? E quando dobbiamo
scegliere la cura come agiamo? Ne facciamo innanzitutto una questione
di diritto? Ci assumiamo qualche responsabilità o deleghiamo, con
fiducia, riluttanza, metà e metà? Stiamo dentro o fuori
i protocolli?
Da
LEGGERÒ LEGGERÒ LEGGERÒ LEGGERÒ LEGGERÒ
di Francesca Graziani
La scrittura di Laura Pariani prende le sue mosse da frammenti, brandelli
di storie dimenticate; foto sbiadite, documenti d'archivio, vecchi giornali,
verbali di polizia.
Per il suo ultimo romanzo, La valle delle donne lupo, la scrittrice è
partita da registrazioni di interviste a donne anziane della zona dell'Alto
Piemonte (testimonianze, leggende, canzoni, detti popolari), in parte
fatte da lei stessa negli anni settanta e ottanta; in parte attingendo
all'archivio dell'amico Cesare Bermani, studioso di tradizioni popolari.
Il materiale grezzo di partenza sono le parole di queste donne, narrazioni
fatte in un dialetto particolarmente ostico: da un lato la scrittrice
ha dovuto tradurre in italiano, dall'altro ha cercato di conservare musicalità,
cadenze, inflessioni, timbro del dialetto, cercando di ricostruire, come
dice lei stessa nella postfazione, "gli ammiccamenti, i tic delle
persone anziane che si raccontano"; e riuscendo a restituirci una
parlata intessuta di proverbi e modi di dire che è quasi del tutto
scomparsa.
La leggenda cui si è ispirata Pariani racconta di donne "affamiliate"
più ai lupi che agli umani, donne che si sono ribellate ai "maltratti"
di padri, fratelli, mariti e che per questo non hanno avuto sepoltura
in terra consacrata ma in fosse comuni - senza croci né nomi a
ricordo - nel "Prato delle Balenghe" dove "risorgono in
forma di fantasmi nebbiosi che si raggrumano lungo il pendio".
Da Elena
Ferrante, un'amica geniale di Marina Terragni
Elena Ferrante la leggo sempre con cautela, all'erta, inseguendo ansiosamente
le tracce disturbanti che dissemina nei suoi testi.
So che prima o poi mi imbatterò in qualcosa che ho dimenticato
di me. Qualcosa di essenziale, lancinante, e anche ripugnante, che attende
nel buio per rifarsi vivo: l'odore di certi scantinati dell'infanzia,
la muta terribile della pubertà, l'insopportabilità dell'addio
al corpo dell'amica da cui un uomo ti separa per sempre, "la sua
bellezza di sedicenne poche ora prima che Stefano la toccasse, la penetrasse,
la deformasse, forse, ingravidandola".
Identificazione aiutata anche dal fatto che Ferrante nasconde il suo volto:
lo scambio tra lei che scrive senza mostrarsi e te che leggi è
quasi alla pari, la storia non è di nessuna e perciò è
di tutte, la narrazione ha la forza di un mito.
In L'amica geniale l'occasione del racconto è ancora una volta
la scomparsa di una donna alle soglie della vecchiaia, com'era stato in
L'amore molesto, romanzo d'esordio.
Una donna che sparisce per risignificarsi in extremis. Fermare la tua
esistenza prima che finisca definitivamente incagliata nella menzogna,
per darti l'occasione, o darla all'altra che ti ha amato, di rileggerla
e di redimerla ricominciando daccapo, seguendo il filo di un senso segreto
e calpestato.
Qui è Lila a scomparire, e Lenù, la sua amica di sempre,
che va in cerca di lei, spalancando la memoria: "Ho acceso il computer
e ho cominciato a scrivere ogni dettaglio della nostra storia, tutto ciò
che mi è rimasto in mente".
Da World
Wide Women
Dal 10 al 12 febbraio 2011 a Torino si è svolto il convegno internazionale
WWW.World Wide Women. Globalizzazione, generi, linguaggi promosso dal
CIRSDe - Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle donne - dell'Università
di Torino e con il patrocinio, tra gli altri, della Società Italiana
delle Storiche e della Società Italiana delle Letterate, per favorire
uno scambio interculturale e interdisciplinare tra studiosi e studiose
che hanno adottato la "prospettiva di genere" come questione
e punto di vista, rispondere all'esigenza condivisa di creare legami tra
gli ormai numerosi centri di ricerca in Italia e all'estero e rilanciare
con forza e vigore il dibattito sul femminismo e sui women's studies all'interno
degli Atenei.
Da Tre
vite tre donne tre artiste tre opere d'eccezione in un numero d'eccezione
di Corrado Levi
Frida Kahlo 1907-1954
Visse a Città del Messico, volle che la sua data di nascita coincidesse
con quella della rivoluzione messicana così diceva essere nata
nel 1910. A sei anni contrasse la poliomielite che rese la sua gamba destra
più piccola dell'altra. Sofferse gravi problemi di salute molti
dei quali derivati da un incidente di traffico che le causò la
rottura della colonna vertebrale e molte operazioni.
Charlotte Salomon 1917-1943
Nacque a Berlino da famiglia ebrea benestante, il padre chirurgo. La madre
si suicidò quando Charlotte aveva nove anni, cosa che le fu tenuta
nascosta fino ai vent'anni. Ne aveva 17 quando i nazisti andarono al potere.
Frequentò per due anni l'Accademia d'Arte di Berlino, fu poi cacciata
per ragioni razziali (io ne so qualcosa). Fu mandata in Francia dai nonni
vicino Nizza. La nonna soffriva di depressione, e si suicidò anch'essa.
Charlotte si sposò nel settembre 1943 con un altro fuoriuscito,
Alexander Nagler, entrambi deportati nell'ottobre 1943. Fu probabilmente
uccisa col gas insieme al figlio in gestazione di cinque mesi lo stesso
giorno del suo arrivo.
Olga Carol Rama 1918-vivente
Nasce e vive a Torino. Volle chiamarsi solo Carol Rama o Carolrama. Della
sua prima esposizione nel 1945 a Torino Carol dice che fu chiusa dalla
censura. Doveva contenere i suoi primi acquarelli iniziati alla fine degli
anni '30 come "pissoirs, lingue biforcute, dentiere, falli, sedie
di contenzione". Questi lavori di una ragazza ventenne, una trentina
rimasti, furono una bomba per Torino, per l'arte e per il modo di farli:
senza pathos, quasi registrazioni. È personaggio e artista scomoda,
a lato dei movimenti d'arte conclamati.
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