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| 22 aprile 2011 da http://27esimaora.corriere.it/ di Lacan definisce "madre morta" quella che non sa trasmettere la forza del desiderio Una donna brutta non sa dire i propri desideri. E così? di Daniela Monti La bruttezza delle donne è un argomento di cui non si parla più: qualcuno dice sia diventato un tabù, come la morte. Per questo sorprende che un libro ne faccia uno dei temi centrali: ne La vita accanto di Mariapia Veladiano, Rebecca, la bimba protagonista, dice di sé io sono brutta, tanto brutta e attorno al ribrezzo che la sua figura genera negli altri ruota lintera trama della storia. Ma la bruttezza è un fattore, per così dire, accidentale. Per me, La vita accanto parla del potere della madre e del vuoto impossibile da riempire provocato dalla sua assenza. E mi fa ripensare ad unespressione di Lacan che ho ritrovato in un bel libretto, Un dolore infame di Pamela Pace, in cui si parla di anoressia. Spesso nelle storie di anoressia, scrive Pace, emerge una figura di madre e di donna depressa, non vitalizzata dal desiderio, anzi spenta, fallita rispetto alla sua femminilità. Lacan definisce tali madri, la madre morta, una figura cioè che non riesce a trasmettere alla figlia la forza del desiderio e ad offrire perciò un buon riferimento identitario femminile. Ma quanto è difficile trasmettere la forza del desiderio? Rebecca non ha desideri. Una donna brutta non sa dire i propri desideri, conosce solo quelli che può permettersi. Il possibile di una donna brutta è così ristretto da strizzare il desiderio. Si tratta di esistere sempre in punta dei piedi, sul ciglio estremo del mondo, si legge nelle prime righe del libro di Veladiano. Ma davvero la bruttezza annienta i desideri? La vera tara che Rebecca deve scontare è infatti unaltra: una madre che si mette il lutto subito dopo la sua nascita, che non la tocca, non la guarda, una madre che si mura in casa, recidendo qualunque rapporto con la figlia. Una madre che, tornando a Lacan, con il suo negarsi rende la figlia sterile di desideri. E così centrale, il tema del desiderio, che Luisa Muraro chiude il suo ultimo libro Non è da tutti tessendo un formidabile legame fra desiderio e femminismo. Diritti, uguaglianza, rivendicazioni Tutte eredità dellOttocento, scrive la filosofa. Non è lì, dunque, che bisogna guardare per trovare la peculiarità di ciò che stiamo vivendo. Il femminismo non ha obiettivi né contenuti che non siano quelli presenti nellesperienza e nei desideri delle donne, che esso fa uscire dallinvisibilità e dal silenzio. Il suo compito finisce lì, scrive Muraro Ancora una volta il desiderio, dunque. Non la bellezza, la bruttezza, luguaglianza, le rivendicazioni. Ciò che conta (e che può salvarci) è solo saper desiderare. |