Libreria delle donne di Milano

L'Arena, 22 novembre 2002
Diotima, la filosofia al femminile
La comunità di pensiero fondata all'università di Verona e attiva da 20 anni è diventata un punto di riferimento e un modello per gli studi di tutto il mondo
Di Giancarlo Beltrame

Parte da un gruppo di donne dell'Università di Verona la rivoluzione copernicana della filosofia. Sono una dozzina o poco più e si ritrovano tutte insieme una volta al mese, ma la caratteristica di questa "comunità" filosofica è che ognuna delle aderenti intrattiene un dialogo non con il gruppo nel suo insieme, ma individualmente solo con alcune delle altre, in discussioni a due che si moltiplicano. La fitta rete di relazioni interpersonali che così si crea fornisce il lievito per la ricerca collettiva. Ogni sei mesi, poi, tengono una riunione più allargata, cui partecipano una trentina di donne, e una volta all'anno, infine, organizzano all'interno dell'ateneo veronese un "grande seminario" a tema in più incontri, cui presenziano dalle 200 alle 300 persone per appuntamento. Quello in corso di svolgimento è iniziato l'11 ottobre e ha per titolo "Donne e uomini: anno zero". Dopo l'affollato incontro di venerdì scorso con Ida Dominijanni, restano ancora due appuntamenti, oggi con Federica Giardini che parlerà di differenza sessuale e ordine simbolico della madre e venerdì prossimo, con Maddalena Spagnolli, che chiuderà con una riflessione sulla libertà dell'amore.
Oggi la rete fitta di questi rapporti interpersonali di riflessione filosofica, dopo aver "conquistato" l'Italia, con discussioni che vede coinvolte filosofe di Milano, Firenze, Roma. Napoli, Messina, Catania, Lecce e altre città della Penisola, si estende a livello continentale. Le filosofe veronesi sono regolarmente invitate in Svizzera, in Germania, in Spagna, in Danimarca. Ma non solo, ricevono visite da altre parti del mondo, dall'Australia o dagli Stati Uniti.
Portano il nome di una sacerdotessa greca, Diotima, la cui unica traccia è una testimonianza che nel greco giudiziario sarebbe definita "de relato", ossia qualcosa che qualcuno dice di aver sentito a sua volta da un altro. Qui c'è un ulteriore gradino ancora, perché l'insegnamento di Diotima sull'amore viene riferito da Platone nel Simposio, riportando un discorso di Socrate, che in un banchetto di soli uomini a sua volta dice: "Un giorno ho ascoltato una donna di Mantinea che era sapiente in molte cose e che una volta, con dei sacrifici agli dei che fece fare agli Ateniesi, preservò la città dalla peste per dieci anni". Diotima parla di qualcosa che da secoli risulta una sfida per tutti i traduttori, Tà érotikà (ci. scusiamo per non riportarlo nei caratteri greci), "una scienza che non esiste nelle nostre enciclopedie", scrive Luisa Muraro, docente di filosofia all'Università di Verona e "prima inter pares" del gruppo, in un saggio intitolato "La maestra di Socrate e mia". Il suo essere "a mezza strada fra l'esistenza storica documentata e l'inesistenza" è per la filosofa veronese un segno di quella "assenza delle donne dalla storia scritta nei libri di scuola, che è la Storia con la esse maiuscola", che non significa però non esistenza". Un'"assenza" che è diventata il terreno di indagine privilegiato della comunità negli anni scorsi.
"Fu proprio la Muraro a scegliere il nome Diotima", testimonia Chiara Zamboni, una delle fondatrici della comunità. "Non che ci fossero molte alternative, perché l'idea era quella di trovare una figura significativa all'interno del pensiero. O si sceglieva tra le filosofe del '900 o si cercava un radicaniento nella filosofia più classica. Diotima, che parla a Socrate del tema dell'amore, andava benissimo perché era una sacerdotessa, una figura sapienziale, cioè era nella filosofia classica greca, perché è la sua posizione più importante quella che Socrate esprime attraverso di lei, ma allo stesso tempo la trascendeva e non era riducibile a una filosofia accademica".
La sfida di questo gruppo di donne è iniziata, come raccontiamo nel box a fianco, una ventina di anni fa. Una sfida a due livelli, basata sull'idea guida della differenza femminile: da un lato rileggere il passato per dargli un senso nuovo ("A scuola studiavo filosofia e mi trovavo di fronte a frasi come "L'uomo è quell'essere vivente, caratterizzato dall'avere il linguaggio". Tra me e me", dice la Zamboni, "traducevo immancabilmente "L'uomo e la donna sono caratterizzati dall'avere il linguaggio""), dall'altro trovare chiavi di lettura originali per intervenire sulla realtà. "Il fare filosofia come lo intendiamo noi", dice la Zamboni, "è qualche cosa che non è disciplinare e funziona molto bene con la letteratura, le poetesse, le scrittrici, le teologhe ... ".
Il metodo di lavoro di questo gruppo è improntato al dinamismo e porta a una evoluzione continua. "Noi discutiamo tantissimo e non c'è mai una unità, ma l'importante è che andiamo fino in fondo alle cose cui teniamo. L'importante è che noi abbiamo discusso mettendoci l'anima", è la tesi della Zamboni, che si è assunta il compito di portavoce della comunità.
E la discussione investe in primo luogo il linguaggio e il linguaggio della politica in particolare. "Stiamo cercando parole che ci dicano qualcosa di altro rispetto agli schemi inariditi della politica attuale, sia di destra sia di sinistra. E questo ci porta anche a trovare dei momenti di incontro con degli uomini per trovare assieme delle nuove modalità. Noi partiamo da quella che è sempre stata una linea delle politica delle donne, ossia che sono le parole che spostano le questioni. Fare politica delle e con le parole è assolutamente essenziale perché fa parte delle esigenze degli esseri umani trovare le parole vere che rispondano ai loro bisogni e li interpretino. Di parole ce ne sono molte e se non si trovano le parole vere, gli esseri umani si appoggiano a quelle già date", sostiene la Zamboni. "E se poi le parole nuove vengono espropriate, è comunque importante trovare parole che in prima battuta sono iniziali e sono importanti per persone che altrimenti si trovano smarrite nel caos che stiamo vivendo".
E il rigore quasi mistico della ricerca continua, il rifiuto di ogni istituzionalizzazione, il tentativo di trovare la chiave femminile per interpretare il passato, il presente e il futuro ha fatto di questo gruppo nato e ancor oggi radicato nell'Università di Verona uno dei punti di riferimento più importanti della nuova filosofia n livello mondiale.

La storia
Nata nel 1983 come gruppo Fontana del Ferro

In principio fu la Fontana del Ferro, o meglio FF/effeeffe. Era il 1983. Nel gennaio, edito dalla Libreria delle donne di Milano, era uscito un fascicolo monografico speciale del foglio Sottosopra, dal titolo "Più donne che uomini". Un testo che poneva questioni nuove nel mondo femminista e fece molto discutere. Fu Luisa Muraro docente dell'ateneo scaligero a coinvolgere un gruppo di giovani donne veronesi per creare un gruppo, che dal nome della via dove si riunivano, prese il nome di Fontana del Ferro, nel quale si affrontassero i temi politici che vi erano proposti. "Abbiamo molto discusso di questo testo", ricorda Chiara Zamboni, "sul fatto che, nel muoversi nelle relazìoni con gli uomini, col mondo, con l'impresa che volevamo portare avanti, la mediazione di affidamento neì confronti della donna era la leva che ti permetteva di muoverti rispetto alle tue ambizioni personali e ai tuoi desideri, ma con la mediazione femminile di fedeltà all'essere donne",
Inizialmente il gruppo era abbastanza eterogeneo, poi la prevalenza al suo interno di donne che avevano una formazione filosofica portò progressivamente ad affrontare sempre più temi filosofici. Così quando nel 1984 all'interno dell'Unìversità, un'altra docente di filosofia Adriana Cavarero, propose alla Muraro e alla Zamboni di creare un gruppo di ricerca, fu quasi naturale la trasformazione di FF/effeeffe in Diotima.
"Fu la Muraro", racconta la Zamboni, "a sostenere che invece di fare un gruppo di ricerca qualsiasi, anche con uomini propose di creare all'interno dell'Università una comunità filosofica, riprendendo i temi del gruppo politico con il taglio filosofico che già gli stavamo dando".
La grande novità, rispetto ai tanti gruppi di discussione che in quegli anni c'erano negli atenei italiani, fu la scelta di essere comunità, ispirandosi come modello alle forme medievali di comunità di donne, per esempio quelle delle Beghine, che erano in relazione tra loro.
"Si voleva dare alla parola una profondità, un elemento di alterita rispetto a quello che stava succedendo", spiega la Zamboni. "Questo era un modo di fare filosofia essendo fedeli all'essere donne. Introdurre la questione della differenza femminile, mantenendola sempre aperta, all'epoca fu un elemento rivoluzionario, perché tutta la storia della filosofia era stata ed era vista al maschile".
"Fare Díotima", come dicono le filosofe veronesi, era iniziato. E il percorso, arricchito a partire dal 1988 dai grandi seminari annuali, continua, allargando sempre più i propri orizzonti. E non solo geografici. (g. b.)