| Autogestione
e politica prima, Settembre/dicembre 2002
Il
posto del denaro Chiara
Zamboni, della Comunità filosofica femminile di Diotima, parla del rapporto
tra denaro, mercato, impresa sociale, lavoro, lingua materna Di
Francesco Peroni E'
possibile considerare il denaro come parte di un disegno più grande, composto
anche di altri elementi : il significato del proprio lavoro, la relazione con
altri e altre, colleghi/e, utenti, funzionari e funzionarie delle amministrazioni,
ecc. ? L'anno scorso in gennaio Rossella, Loredana e Teresa mi avevano invitato
a parlare alla Mag e uno dei temi centrali era quello del denaro. La lezione che
facevo era sul linguaggio e la cosa che veniva fuori era che denaro e linguaggio
hanno questa caratteristica in comune : tutti e due significano la realtà.
Cioè in qualche modo uno dei significanti della realtà è
il denaro perché se tu dici a qualcuno "che bello quel maglione",
ti risponde "è della tal marca e costa tot" ; è un modo
per portare la realtà a un suo significato : costa tanto. Il denaro, come
la lingua, ci permette di significare la realtà., quindi sono due significanti.
Il grande conflitto è tra queste due forme di significazione. La lingua,
se le si dà fiducia anche nella sua forma semplice della lingua materna,
può accogliere il denaro come una parte della realtà ; il denaro
c'è, però è possibile non lasciargli tutto il potere di significare.
Questo comporta scommettere sulla lingua semplice che si adopera tutti i giorni,
sulla lingua affettiva, sulla lingua materna, che è capace di dare la collocazione
ordinata alle cose : cioè il denaro è importante, ma non può
dare significato ad ogni cosa. Dirlo così è facile, ma in realtà
presuppone una fiducia in questa lingua semplice, che invece nella nostra cultura
è molto svalutata, perché viene data molto più importanza
ad altri tipi di saperi disciplinari e di linguaggi specialistici. Una cooperativa
lavora e quindi vuole il denaro in cambio, ma all'interno della relazione e in
rapporto al lavoro compiuto ; e diventa quasi più importante la relazione,
nel senso che poi il lavoro compiuto prende significato all'interno di una relazione
e non perché è stato ripagato in denaro.
Tu
hai parlato di linguaggio semplice, di fiducia, di relazione : puoi spiegare meglio
il rapporto di questi elementi con il denaro, il lavoro e il mercato ? Il
linguaggio semplice sta sempre all'interno della relazione ; è inseparabile
il linguaggio semplice dalla relazione e dalla fiducia, sono tre cose che stanno
assieme. E' importante non difendersi attraverso l'uso dei saperi disciplinari.
Ad esempio, io insegno all'università, quando faccio lezione, in prima
battuta non parto dai libri, pur tenendoli tantissimo in considerazione, ma cerco
di creare una situazione con chi ho di fronte parlando a braccio a partire dalle
intenzioni che ho io, sentendo le intenzioni che hanno loro. Occorre fiducia che
chi hai di fronte ti segua su questo; quando io ero più piccola, le prime
volte che facevo lezione, non partivo così, partivo direttamente dai libri
che pensavo fossero importanti, quindi dai saperi disciplinari in cui non ero
attaccabile. Questa circolazione di linguaggio che sta nella fiducia e nella relazione,
presuppone un certo tipo di posizione nella lingua, che non si impara come una
ricetta, ma che acquisisci nel tempo. E io ho visto, ritornando un po' alla questione
del denaro e del lavoro, che quando ti mancano le parole, in genere si scivola
su frasi del tipo : "guadagno un tot", invece di spiegare quale è
il tuo desiderio di fare quel lavoro, con altri e perché. Che ti interessa
guadagnarci, all'interno di un tuo desiderio, è più difficile da
spiegare ; invece, spiegare che tu fai un lavoro perché guadagni tanto
denaro è molto più veloce da dire. Quando uno non sa dire la propria
intenzione si maschera dietro al fatto che ci guadagna qualche cosa, ma in realtà
tante volte non è quella la sua vera intenzione, è che non riesce
a trovare le parole per dire quello che sta cercando di fare. Trovare le parole
vere, quelle che dicono la tua intenzione e il tuo desiderio, è molto più
difficile. C'è una scommessa di fondo sul fatto che le parole valgono di
più del denaro, dell'interesse, del potere, perché ti danno il senso
di quello che stai facendo. Denaro, interessi personali, potere, sono significanti
molto forti: se chiedi a qualcuno che cosa fa, ha questi riferimenti per dirtelo.
Se invece vuoi dire effettivamente il tuo desiderio, e quello che stai facendo,
sei meno preciso, impieghi più tempo, ci devi un po' pensare. Non è
facile stare in questa situazione di imprecisione e lentezza di risposta, se non
ci hai pensato prima. Lo puoi fare se hai fiducia nella relazione, ma questa allora
diventa anche una scommessa politica, addirittura può diventare un grande
conflitto politico. Il
conflitto tra significanti - la lingua semplice e il denaro, la scienza, il potere
- diventa un conflitto politico, cosa intendi dire ? Un po' tutta la politica
delle donne si basa sulle relazioni, ma non su una collettività indistinta,
né su generalizzazioni. Cosa intendo per conflitto politico? Penso che
il linguaggio che adoperiamo è già stato scritto, c'è già,
cioè alla realtà così come è, sono già stati
attribuiti dei significati e attraverso l'uso della lingua si entra in conflitto
con questa significazione. Di fronte alla significazione che si dà al denaro
(o al potere e agli altri significanti forti) io, sia pure con difficoltà,
uso un linguaggio anche impreciso che però cerca di dire esattamente l'esperienza
che io sto facendo - il mio desiderio, le mie intenzioni e cosa avviene nello
scambio con le altre persone con cui sono in rapporto. In questo modo entro in
conflitto col simbolico, quindi col linguaggio. Quando è in gioco la lingua
non si tratta di un fatto personale, ma di qualche cosa che è un bene comune,
quindi il conflitto si colloca in una dimensione pubblica, politica. Anche se
lo fai in un piccolo pezzettino di percorso perché sei in rapporto con
poche persone, o lo fai scrivendo per la Mag sulla vostra rivista, è già
un atto politico di parola, perché è scrittura che risignifica il
linguaggio. Quindi scrivere la rivista della Mag è entrare nel conflitto
politico di risignificazione del simbolico. Dire le cose in un certo modo apre
degli spiragli per altre persone che trovano per la loro esperienza delle parole
più adatte a loro di quanto non siano quelle che sono predominanti. Le
parole di verità sono sempre quelle che permettono di iniziare un percorso,
in cui le persone contattano altre persone di una stessa area e si muovono : gli
effetti di verità sono sempre di movimento, non sono mai solo di rappresentazione.
In questo senso lavorare sul linguaggio è un atto politico. Alla
luce di quanto detto, che posto dare al denaro perché non assuma un peso
schiacciante ? Bisogna collocarlo all'interno del contesto, ove hanno priorità
la relazione e la capacità di significare quello che stai facendo. Ho visto
gente che lavora in cooperativa e magari ha saputo fare una scelta politica personale,
non riuscire a dire bene quello che sta facendo. Nelle parole di questi uomini
e donne manca quel di più che ti viene invece dal lavoro sul linguaggio,
lavoro che consiste nello sforzo costante di capire quello che stai facendo, perché
lo stai facendo e così via. Quella stessa esperienza risulterebbe più
ricca, se fosse espressa con le giuste parole. Questo permetterebbe di affrontare
meglio anche la questione del denaro, che nelle imprese sociali è sempre
molto spinosa. E' importante trovare le parole per dire la ricchezza della propria
esperienza anche per chiedere un compenso in denaro per il proprio lavoro. Per
esempio, di fronte ad un'amministrazione che si basa solo sulla tariffa oraria,
tu vai a contrattare invece il senso di quello che stai facendo, di cui la tariffa
oraria è un elemento, però contratti il senso più che il
denaro. C'è una grande difficoltà a scommettere sulla parola, se
non come strumento per vendere un prodotto : questo è il marketing tradizionale.
E' molto più difficile dire perché stai facendo quel determinato
lavoro e creare una relazione con la persona che hai di fronte. Il
mercato, soprattutto il mercato globale, spesso viene visto come un luogo pericoloso,
inquietante in cui poche grandi multinazionali muovono capitali, merci, uomini
e donne senza che si possa avere alcun controllo. Si può parlare di un
solo grande mercato, o di tanti diversi mercati ? A me sembra che le cause
di ciò che sta succedendo siano da ricercare nell'orbita del mercato finanziario.
Quando il denaro produce il denaro, senza mai passare attraverso il prodotto,
inizia qualcosa di irreale e, dicendolo con i termini di Simone Weil, si crea
un elemento di grande immaginario che è minaccioso. In questi momenti senti
che non sai che misura prendere perché non c'è più nessuna
misura di realtà. In un seminario politico che si è tenuto all'università
ho avuto modo di collaborare con Livio Dal Corso che lavora in una cooperativa
di prodotti biologici in provincia di Venezia ed approfondire assieme a lui il
tema del mercato. Dalla sua esperienza di lavoro è emersa una considerazione
che ritengo giusta e cioè che non puoi ritagliarti un settore piccolo all'interno
del mercato, una tua nicchia, perché altrimenti esci dal mercato; la sua
scommessa - e da questo punto di vista mi ritrovo con la parte del discorso che
ho fatto - è quella di stare nel mercato capitalistico così come
è, però per una strada diversa, valorizzando le relazioni e il senso
di ciò che si sta facendo. Quindi non tanti mercati, ma un modo diverso
di stare nel mercato. E ciò significa appunto lavorare sul linguaggio che
richiede tantissimo tempo in più però anche passione per gli altri,
per la parola, per le cose che fai. In questo modo tu rilanci la sfida nel mercato
centrandola sulla qualità del prodotto, ma non su una qualità standardizzata
bensì su una qualità che incorpora le relazioni e la parola.. La
scommessa, quindi, è quella di stare nel mercato in maniera diversa. Certo,
a questo proposito vorrei citare l'esperienza di Franco Botta e Augusto Vino,
due studiosi di Bari, che hanno approfondito il tema del sapere pratico come modalità
con cui lavorare nel mercato. La possibilità che loro hanno individuato
è quella di sviluppare molto la conoscenza locale, crearsi cioè
un sapere della situazione. Botta rifiuta i modelli di sviluppo che vengono dai
paesi capitalistici più avanzati che hanno sempre mantenuto il meridione
in una dimensione di sottosviluppo; egli dice che se si sviluppa il sapere dell'esperienza
maturato nel contesto, esso assume un valore incommensurabile rispetto a qualsiasi
modello di sviluppo proposto dall'esterno e quindi dà un'autonomia di pensiero,
di pratica e di sapere che si traduce in effettive chance di creare ricchezza.
Nella Comunità filosofica di Diotima abbiamo riflettuto sul sapere dell'esperienza,
analizzando in particolare il sapere femminile, arrivando anche a scriverne un
libro "Il profumo della maestra". Il libro andava esattamente nella
stessa direzione elaborata da Franco Botta e cioè evidenziava che sta scomparendo
un sapere femminile perché i saperi disciplinari sono sempre più
importanti. Ad esempio, da madre non ti confronti più con le altre madri
ma con psicologi, pedagogisti e con i libri che ti dicono cosa significa essere
una brava madre. Così si rischia di perdere il valore di imparare dall'esperienza
personale e dal confronto con altre donne che sono madri o hanno già vissuto
invece di valorizzare le cose che tu impari e confrontandoti con donne che ti
sono vicine e che tu hai visto essere buone madri. Tutto ciò avviene perché
c'è questo significante imperante del sapere disciplinare scientifico che
è diventato più importante del sapere dell'esperienza. Io penso
che per stare nel mercato in un modo altro, accettandone la sfida, si debba seguire
la strategia di valorizzare il sapere dell'esperienza che ciascuno e ciascuna
ha; è chiaro che si sta in una scommessa di fiducia, in quello che tu sai
e nella relazione. Chiara
Zamboni ha studiato filosofia a Bari e insegna Filosofia del Linguaggio all'Università
di Verona. Da anni si occupa di pensiero femminile e ha dato vita con altre alla
Comunità filosofica Diotima. I
testi a cui si riferisce nell'intervista sono: Franco Botta, Augusto Vino
Sviluppo e competenze: saggio sulle verità nascoste e sul sapere pratico,
Cacucci Editore 1997 Diotima, Il profumo della maestra: nei laboratori della
vita quotidiana Liguori Editore 1999
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