Libreria delle donne di Milano

Avvenire - 12 marzo 2003

Muraro: che fascino la mistica femminile

Paola Springhetti

Il "Dio delle donne" è quello delle mistiche che hanno vissuto esperienze religiose talmente intense da rasentare, a volte, l'inenarrabile. I testi di queste donne, secondo la filosofa Luisa Muraro, sono un "filone d'oro" che scorre dal Medioevo ai nostri giorni: un filone ancora da scavare. Ad esso Muraro attinge per il suo ultimo libro che si intitola, appunto, Il Dio delle donne ed è in uscita da Mondadori (pagine 184, euro 15).
Per riuscire a narrare la loro esperienza le mistiche, a partire dalle "scrittrici beghine" del secolo XIII, ricorrono alla lingua materna, non a quella colta normalmente usata per la teologia. La lingua materna, infatti, sembra più adatta a raccontare un Dio più incontrato che pensato, più esperito che analizzato. È così? «Sì, è un Dio più vissuto che studiato», risponde Muraro. «Per capire il "più", teniamo conto che, escluse alcune contemporanee (Simone Weil, Etty Hillesum, Clarice Lispector), queste donne sono vissute in una civiltà religiosa. L'incontro con Dio le fa incontrare con qualcuno di cui già sapevano: lo riconoscono infatti, ma hanno la sorpresa di scoprire che invece non ne sapevano niente. È l'incontro con un già noto che si rivela essere un ignoto e che tale resterà, in un costante rinnovarsi di questo senso di familiarità che cede allo stupore della presenza dell'altro, nuovo e incomprensibile. Fatta l'esperienza dell'incontro, loro vivono per farlo capitare di nuovo nella loro vita e a questo mondo. Restano "incinte di Dio"».
Nel libro c'è un'espressione che mi ha colpito: quello delle donne è un Dio che si può "usare". «"Usare Dio", "essere usati da Dio", sono formule che ho trovato in un testo, La passione secondo G. H., il capolavoro di Clarice Lispector, brasiliana di origine ebreorussa, pubblicato nel 1964. Queste sue formule hanno una singolare rispondenza con quello che, in quegli stessi anni, insegnava lo psicanalista inglese Winnicott. "Essere trovati ed essere usati, è il meglio che possa capitarci", diceva ai suoi colleghi. Non è questa una frase perfetta per la relazione tra Dio e la creatura umana?"».
L'incontro con Dio presuppone "la libertà dall'ansia di indagare, dimostrare, testimoniare l'esistenza di Dio". In che misura è una libertà tipicamente femminile? Risponde Muraro: «Non c'è niente di "tipicamente femminile", perché donne e uomini siamo creature libere. È vero che, storicamente, l'ansia di affermare l'esistenza di Dio (o di negarla), si registra fra gli uomini e non fra le donne. Nella società femminile, per l'esperienza che ne ho, non ci sono separazioni di fede né problemi interconfessionali. Quest'atteggiamento non è dettato da indifferenza. Ha a che fare con il "dire Dio": da parte femminile, questo dire assume volentieri le caratteristiche di un segreto e di un sottinteso, qualcosa che, all'occorrenza, può essere taciuto, per lasciare la porta aperta alle relazioni con le altre, gli altri, ben sapendo che, se Dio esiste, da quella porta ci passa anche Lui (o Lei). Quello che m'interessava far risaltare, era la possibilità di un sapere che non fa questioni di vero/falso, non per relativismo ma per lasciare che altro si faccia conoscere, così che il vero di cui abbiamo bisogno trovi le parole per dirsi secondo il contesto e le relazioni».
Le scrittrici beghine testimoniano la felicità, il senso di pienezza che prova chi incontra Dio. In che modo si pongono il problema del male? «Molte di queste scrittrici conoscono il nome e l'insegnamento di sant'Agostino. Lo seguono nella libertà dell'amore, non nel suo pessimismo. La loro idea di fondo è che niente e nessuno, per finire, resisterà alla bontà divina. L'inglese Giuliana di Norwich ha elaborato una mirabile teologia della maternità di Dio a partire dall'intuizione che tutto è bene, tutto finirà bene. In questo mondo, lo sappiamo, esiste una fascinazione del male. Giuliana insegna che Dio non la subisce, che il suo sguardo non si fissa sul peccato, ma sulla sofferenza del peccato. Dio non mi chiede conto del male che ho fatto, dice, e io non gli chiederò conto del male che è entrato in questo mondo creato da Lui. Questo sguardo che non si fa affascinare dal male, si ritrova, ai nostri giorni, nelle lettere e nel diario di Etty Hillesum».
E quando il Dio che si è cercato di incontrare si allontana, che cosa resta da fare? «Gli studiosi di mistica parlano, per questa esperienza, di "notte oscura", sulla scia di san Giovanni della Croce. Io ho seguito un'altra strada, che è di ascoltare in ogni testo il racconto della storia personale dell'autrice, e di non separarla dalle comuni storie d'amore. In generale, ho cercato di togliere l'esperienza delle mistiche dalla eccezionalità in cui è stata isolata, per creare invece un circolo ermeneutico tra quello che esse raccontano e quello che accade a una donna qualsiasi. Citando Margherita Porete, il fascino della scrittura mistica non è nella dottrina, ma nella ricerca delle parole per raccontare una vicenda che ha la caratteristica di essere».