Libreria delle donne di Milano

Il Cittadino - 21 giugno 2003

Il Dio delle donne: le mistiche del medioevo
Domenico Pezzini

Questo è un libro singolare: può frustrare molte aspettative che il titolo potrebbe suscitare. Ma dico subito che la lettura di queste pagine prende l'attenzione come raramente è dato in un libro che ha per soggetto Dio. L'autrice insegna filosofia, ma questo non è un trattato come si è soliti intendere: lei dice che è "un racconto di cose pensate man mano". .
L'oggetto è Dio, ma l'autrice si definisce "una che non crede per conto suo in Dio". Le "donne" che costituiscono lo specifico della ricerca sono alcune celebri mistiche medievali, ma la Muraro dichiara che "non legge quei testi come la testimonianza di una fede ma piuttosto come i documenti di un sapere che la riguarda molto da vicino". Questi sono alcuni di molti "sconcerti" con cui il lettore si trova a fare i conti di frequente. Questo però è anche ciò che fa il grande interesse del volume.
Probabilmente è la scelta del genere narrativo che affascina il lettore.
Ci si rende conto che anche la più alta filosofia non è puro esercizio cerebrale, ma si intreccia e si impasta sovente con fatti di vita, incontri, esperienze cruciali, che ne determinano il percorso, le svolte, i colori.
"Non scambiamo il pensiero per una prestazione intellettuale, o per una specializzazione, non priviamolo della sua parte di passione e di patimento, che vuol dire anche questo: non separiamoci, per pensare, dal nostro bisogno degli altri" (140). In questa ricerca la Muraro ha messo al centro 'Dio' perché "è una parola dotata di un'enorme potenza semantica" e, aggiunge, "non voglio farne a meno per molte ragioni, tra cui mia madre" (164-165).
E perché alla fine capire 'Dio' e parlare di lui vuol dire capire il mondo, come per E. Hillesum e S. Weil, che "chiamano 'Dio' il punto di schiodamento della finta assolutezza dalla falsa stabilità, e della possibilità di Dio fanno il punto di equilibrio instabile del reale" (156).
Le mistiche indicano il percorso e lo qualificano come 'esperienza femminile', "senza considerarla esclusiva delle donne, il proprio della differenza femminile essendo di non escludere l'altro" (pp. 111-112). Sinteticamente, il linguaggio delle donne su Dio, e dunque sul sapere, è per sua natura "inconcluso e sconfinato" (28), comprende in Dio un "lasciar fare e un lasciarsi fare" (39); cresce su una fragilità che sta all'inizio come "libertà dall'ansia d'indagare, dimostrare, testimoniare l'esistenza di Dio (o il suo contrario)" (45).
E insieme a questo include una allergia alle istituzionalizzazioni ("dev'esserci una capacità di essere che fa a meno del veicolo per durare": 164), un rifiuto delle categorizzazioni assolute che generano atteggiamenti bellicosi (si lotta, ma non si aggredisce!), un senso della continuità, e non della contrapposizione, tra gli esseri e le esperienze, un atteggiamento di gratuità ("Con le 'donne', intendo l'umanità che sa che l'essenziale non è niente che possiamo produrre o conquistare e possedere ma solo aspettare e ricevere": 153), un decisivo senso dall'altro ("Nascere donna vuol dire nascere predisposta allo sbilanciamento del centro di gravità che si sposta in altro, fuori di sé": 130), una capacità di stare nel 'niente' e nel 'male', senza razionalizzarlo né giustificarlo, e insieme la forza di sperare e osare l'impossibile: questo, e altro ancora, è il "Dio delle donne", che, come si vede, non è tanto un'idea quanto un modo di essere nella vita e di fronte alla vita.
Alla fine, curiosamente, si ritorna al cristianesimo, cominciato "con uno che, rivolgendosi all'altro, amico o nemico, straniero o fratello, donna o uomo, non metteva di mezzo il peso di cose già decise o rifiutate [...], di regole assolute; e a tutto guardava per quello che di nuovo, umano, possibilmente felice, lì in quel contesto, poteva darsi" (165).
Se questa è la 'filosofia', io che, rimpinzato di metafisica greca, non l'ho mai digerita, mi ci riconcilio. Se questo è essere 'atei', penso che anche i primi cristiani erano chiamati così. E mi va bene.