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Maggio 20011
Sorelle Mai, regia di Marco Bellocchio di
Zina Borgini Sono
rimasta veramente sorpresa dalla capacità di Bellocchio di costruire un
film che esce da tutti gli schemi convenzionali della cinematografia contemporanea
per raccontare in modo generoso e singolare le sue inquietudini giovanili, i momenti
gioiosi ma anche quelli nevralgici della sua vita e della sua famiglia. Un film
dove si ride, si pensa, si ricorda. Tutta la fotografia del film è
filtrata da una nebbia strana, molto confacente ai ricordi che restano sempre
un po offuscati nella memoria. Protagonisti eccellenti: il figlio Pier Giorgio
e la figlia Elena che ha tre anni, Letizia e Maria Luisa le due zie il cui cognome,
se non è inventato, è certo anagraficamente strano: Mai. In quellavverbio
di tempo, singolarmente appropriato, si riassume tutta la loro vita fatta di confortevoli
rinunce: mai lasciato il paese, mai sposate... Il paesaggio è quello
di Bobbio in provincia di Piacenza nella Val Trebbia, luogo di nascita e luogo
della memoria. Qui, ogni anno, Bellocchio tiene corsi estivi di cinema e qui la
macchina da presa è considerata dagli stessi abitanti come un normale strumento
di lavoro quotidiano. Il fulcro del film sono proprio le due zie e la grande
casa che non hanno mai lasciato, che con molta devozione mantengono pulita e accogliente
per il loro piacere, per i nipoti, amici e chiunque arrivi. Proprio nella casa,
nellintimità delle sue stanze, si compone man mano la storia della
famiglia e come attraverso un album in bianco e nero per i ricordi e il colore
per la realtà, si rivivono, con un poco di rimpianto, limportanza
degli affetti parentali. Aleggia nella prima mezzora del film una curiosa
situazione che fa pensare, quando si delinea più nettamente, a un rapporto
quasi incestuoso tra Giorgio e Sara, che non hanno più la madre e che accudiscono
la piccola Elena, figlia di Sara e di un padre che non si vedrà mai. Una
sensazione che si coglie quasi in tutte le scene in cui fratello e sorella si
relazionano, però resta sospesa non viene esplicitata, potrebbe essere
oppure no, non è importante. Delicatamente e con molta spontaneità
viene affrontata la consuetudine antica delle due zie di tenere al riparo, anche
con un po di complicità, lo strano nucleo che forma la famiglia.
Molto bella la figura dellamico e consigliere patrimoniale che viene sempre
invitato a pranzo e cena e che ha un grande affetto per Elena. Sono stata affascinata
dal confronto di tre generazioni di donne, quelle più anziane che insegnano
con le parole della tradizione, quella di mezzo che cerca con la pratica di trasgredire
e svicolare dal provincialismo senza non poca frustrazione e la più giovane
che ascolta le storie, non solo quelle di fantasia che le raccontano per farla
addormentare, anche quelle reali che si intrecciano tra le mura domestiche. La
piccola Elena è lunico personaggio che dà il senso al tempo
che scorre (quasi 10 anni dal 1999 al 2008), la si vede bimba piccola, scolara
e infine adolescente, lei sola cambierà aspetto. Gli altri personaggi non
mutano fisicamente, Giorgio e Sara vanno e vengono da Milano e Roma per ritrovarsi
calamitati a Bobbio, in tempi non stabiliti, quasi occasionali ma molto intensi
e pieni di emozionalità. Le zie e il vecchio amministratore sono le colonne
che tengono in equilibrio il teatro della fatica, dei conflitti, delle ferite
esistenziali e anche della pacifica rassegnazione agli eventi che non si possono
evitare. Il film è fatto di sei episodi girati in tempi diversi, due
settimane ogni anno, ma si incollano luno allaltro quasi spontaneamente.
Quello che si poteva immaginare un documentario fatto con gli stessi abitanti
di Bobbio avvicinati ad attrici e attori di qualità, diventa miracolosamente
un piccolo gioiello forgiato senza pretese, armonioso e delicato, prezioso come
quelli che si ritrovano sotterrati, e che non mancano mai di sorprendere con la
loro provenienza magica. Anche in questo film la magia di Marco Bellocchio
sta nel finale a sorpresa che non smentisce la sua storia cinematografica di contestatore
della famiglia: forse ora più attempato, solo un uomo che continua a farsi
domande che non possono avere risposte certe: un rimanere sulla soglia e constatare
le mutazioni che il tempo ha prodotto nella sua vita. |