Libreria delle donne di Milano

13 Maggio 20011


Sorelle Mai, regia di Marco Bellocchio
di Zina Borgini

Sono rimasta veramente sorpresa dalla capacità di Bellocchio di costruire un film che esce da tutti gli schemi convenzionali della cinematografia contemporanea per raccontare in modo generoso e singolare le sue inquietudini giovanili, i momenti gioiosi ma anche quelli nevralgici della sua vita e della sua famiglia. Un film dove si ride, si pensa, si ricorda.
Tutta la fotografia del film è filtrata da una nebbia strana, molto confacente ai ricordi che restano sempre un po’ offuscati nella memoria. Protagonisti eccellenti: il figlio Pier Giorgio e la figlia Elena che ha tre anni, Letizia e Maria Luisa le due zie il cui cognome, se non è inventato, è certo anagraficamente strano: Mai. In quell’avverbio di tempo, singolarmente appropriato, si riassume tutta la loro vita fatta di confortevoli rinunce: mai lasciato il paese, mai sposate...
Il paesaggio è quello di Bobbio in provincia di Piacenza nella Val Trebbia, luogo di nascita e luogo della memoria. Qui, ogni anno, Bellocchio tiene corsi estivi di cinema e qui la macchina da presa è considerata dagli stessi abitanti come un normale strumento di lavoro quotidiano.
Il fulcro del film sono proprio le due zie e la grande casa che non hanno mai lasciato, che con molta devozione mantengono pulita e accogliente per il loro piacere, per i nipoti, amici e chiunque arrivi. Proprio nella casa, nell’intimità delle sue stanze, si compone man mano la storia della famiglia e come attraverso un album in bianco e nero per i ricordi e il colore per la realtà, si rivivono, con un poco di rimpianto, l’importanza degli affetti parentali.
Aleggia nella prima mezz’ora del film una curiosa situazione che fa pensare, quando si delinea più nettamente, a un rapporto quasi incestuoso tra Giorgio e Sara, che non hanno più la madre e che accudiscono la piccola Elena, figlia di Sara e di un padre che non si vedrà mai. Una sensazione che si coglie quasi in tutte le scene in cui fratello e sorella si relazionano, però resta sospesa non viene esplicitata, potrebbe essere oppure no, non è importante.
Delicatamente e con molta spontaneità viene affrontata la consuetudine antica delle due zie di tenere al riparo, anche con un po’ di complicità, lo strano nucleo che forma la famiglia. Molto bella la figura dell’amico e consigliere patrimoniale che viene sempre invitato a pranzo e cena e che ha un grande affetto per Elena.
Sono stata affascinata dal confronto di tre generazioni di donne, quelle più anziane che insegnano con le parole della tradizione, quella di mezzo che cerca con la pratica di trasgredire e svicolare dal provincialismo senza non poca frustrazione e la più giovane che ascolta le storie, non solo quelle di fantasia che le raccontano per farla addormentare, anche quelle reali che si intrecciano tra le mura domestiche.
La piccola Elena è l’unico personaggio che dà il senso al tempo che scorre (quasi 10 anni dal 1999 al 2008), la si vede bimba piccola, scolara e infine adolescente, lei sola cambierà aspetto. Gli altri personaggi non mutano fisicamente, Giorgio e Sara vanno e vengono da Milano e Roma per ritrovarsi calamitati a Bobbio, in tempi non stabiliti, quasi occasionali ma molto intensi e pieni di emozionalità. Le zie e il vecchio amministratore sono le colonne che tengono in equilibrio il teatro della fatica, dei conflitti, delle ferite esistenziali e anche della pacifica rassegnazione agli eventi che non si possono evitare.
Il film è fatto di sei episodi girati in tempi diversi, due settimane ogni anno, ma si incollano l’uno all’altro quasi spontaneamente. Quello che si poteva immaginare un documentario fatto con gli stessi abitanti di Bobbio avvicinati ad attrici e attori di qualità, diventa miracolosamente un piccolo gioiello forgiato senza pretese, armonioso e delicato, prezioso come quelli che si ritrovano sotterrati, e che non mancano mai di sorprendere con la loro provenienza magica.
Anche in questo film la magia di Marco Bellocchio sta nel finale a sorpresa che non smentisce la sua storia cinematografica di contestatore della famiglia: forse ora più attempato, solo un uomo che continua a farsi domande che non possono avere risposte certe: un rimanere sulla soglia e constatare le mutazioni che il tempo ha prodotto nella sua vita.