Corsera - 26 settembre 2006

Afghanistan, i talebani uccidono la donna che difendeva le ragazze
Cecilia Zecchinelli

Donna e impegnata a difendere i diritti delle donne, attiva politicamente e funzionaria del governo Karzai a Kandahar. Per le milizie talebane che da mesi si stanno rafforzando nel Sud dell' Afghanistan i motivi per uccidere Safia Ama Jan erano molti. Ieri mattina due uomini in moto l' hanno attesa davanti al cancello di casa e le hanno sparato. «Morta sul colpo, non aveva nemici personali», dice un nipote nell' antica città pashtun che fu - e resta - la roccaforte dei talebani. Safia, 50 anni, era a capo dell' ufficio provinciale del ministero per gli Affari femminili dal 2002, quando la fine del regime degli «studenti islamici» aveva dato inizio alla difficile ricostruzione guidata dal controverso ma abile presidente Hamid Karzai. Già negli anni bui in cui le donne erano private di ogni diritto, compresa l' istruzione, Safia era attiva in città: ex insegnante, aveva gestito una scuola segreta per le ragazze che osavano sfidare famiglie e potere. Le era andata bene, allora. E uscita allo scoperto dopo la guerra del 2001 aveva continuato in quella direzione. Solo in Kandahar aveva aperto sei scuole, insegnando ad oltre mille donne cultura di base ma anche cucito e cucina, per dar loro un lavoro e un' indipendenza necessari soprattutto alle moltissime vedove e divorziate, condannate altrimenti alla fame. Tutto questo con la protezione del governo, certo, ma con crescenti rischi. Le tradizioni, più dure a morire dei regimi, non sono mai scomparse nell' Afghanistan post talebano, dove il burqa non è più obbligatorio ma lo portano quasi tutte, dove il 45% dei matrimoni riguarda ragazze sotto ai 16 anni (molte anche di 6, e tutte con sposi mai visti né voluti), dove interi villaggi organizzano e coprono gli omicidi (a volte per lapidazione) di ragazze che osano amare qualcuno non previsto dalla famiglia. E se questo era vero subito dopo la caduta del Mullah Omar, oggi lo è ancora di più, soprattutto nelle province meridionali. Negli ultimi mesi, con l' espansione a Sud della missione Nato (Isaf), i talebani - e tutti gli oppositori del governo centrale chiamati in modo inesatto con quel nome - si sono infatti «svegliati». Oltre agli attacchi alle forze combattenti di Enduring Freedom - soprattutto americani e britannici - sono aumentati quelli contro i soldati dell' Isaf. E sono cresciute le distruzioni di scuole, femminili e no, perfino di ospedali. Gli omicidi di afghani nella polizia e nelle strutture statali. È successo in tutto il Paese, da Kabul (con morti anche italiani) all' Ovest, nella relativamente pacifica Herat dove il nostro Paese ha il comando regionale Nato. Ma al Sud le cose vanno peggio, lo ammettono perfino i politici e i militari, da Londra a Washington. Non ha stupito quindi che a rivendicare la morte di Safia sia stato un capo talebano. «Abbiamo detto molte volte alla gente che chiunque lavori per il governo verrà ucciso», ha minacciato il Mullah Sadullah. Forse un po' più hanno sorpreso le centinaia di persone (perfino alcuni leader tribali) che ieri sera hanno partecipato ai funerali di Safia. Sostenuti dai tantissimi messaggi di solidarietà arrivati a Kandahar da tutto il mondo (anche dall' Italia), ma comunque coraggiosi nello schierarsi apertamente dalla parte di una donna che non aveva paura. Dalla parte delle bambine *** EX MAESTRA Safia Ama Jan, 50 anni, ex insegnante, negli anni del regime talebano gestiva una scuola segreta per ragazze. Dal 2002 era a capo dell' ufficio di Kandahar del ministero per gli Affari femminili. È stata uccisa ieri LE SCUOLE Negli ultimi quattro anni Safia aveva fondato sei scuole nella sola Kandahar, insegnando a oltre mille donne e ragazze cultura di base ma anche cucito e cucina per dare loro un lavoro