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SETTE (Corriere
della Sera) - 21 dicembre 2012
L'impresa
di Jamila che fa leggere pure gli analfabeti
Stefano
M. Torelli
Jamila Hassoune
nel suo Marocco assolve un ruolo ben preciso: educare alla lettura e al
sapere. La sua è una storia d'amore con i libri. Non è facile,
in un Paese che ha uno dei tassi di analfabetismo più alti dl tutto
il mondo. L'istruzione non è un servizio che può darsi per
scontato - soprattutto nelle aree rurali e più periferiche del
Paese - e in tale contesto combattere la guerra della sensibilzzazione
alla cultura diventa un'impresa. Jamila lo fa. Le sue armi sono i libri
e le sue battaglie sono le carovane itineranti. Sì,
perché dal 2006 lei, che ha una libreria a Marrakech, ha ideato
e organizzato questi appuntamenti culturali: portare libri e autori nel
Marocco dimenticato. Come dire: se il lettore non arriva al libro, il
libro arriva al lettore. Sono piccoli appuntamenti di pochi giorni l'anno,
sempre in una località diversa. L'ultima Carovana si è tenuta
lo scorso aprile e ha raggiunto la cittadina di Akka, nel profondo Sud
marocchino, non lontano dai confini con l'Algeria. Le sensazioni e le
riflessioni suscitate da questa storia che sembra uscita da un racconto
di favole - di una libreria che pian piano co mincia a camminare, sono
state pubblicate da pochissimo anche in Italia, in un volume dal titolo
La libraia di Marakech (135 pp., edizioni Mesogea). Per avere un
racconto che fosse ancora più veto, abbiamo chiesto direttamente
a Jamila cosa avesse imparato e insegnato durante questo periodo e come
si colloca la sua storia, all'interno di un Marocco che sta cambiando.
Nel suo ultimo libro lei è la libraia di Marrakech.
Qual è la sua relazione con il mondo dei libri e come è
nata la storia speciale tra lei e loro?
«Ho avuto la fortuna di vivere l'infanzia in una casa piena di libri.
Ero impressionata da tutte le storie, al punto che pensavo solo alla lettura.
Attraverso i libri è stato più facile viaggiare, sognare,
scoprire nuove cose... I miei genitori avevano una biblioteca e io potevo
leggere ciò che volevo. Ho letto libri anche più impegnativi
rispetto alla ma età».
A un certo punto ha sentito il bisogno di uscire dalla sua libreria
e portare i libri in giro per il Marocco. Perché?
«Appena sono diventata una libraia in un quartiere universitario
ho constatato che i giovani non entravano facilmente, forse perché
erano intimiditi da questa libreria moderna, aperta in un quartiere popolare.
Il fatto che provenissero da fuori Marrakech, che non fossero mai entrati
in una iibreria, o anche in una biblioteca, faceva sì che avessero
quasi paura di avvicinarsi e di essere obbligati a comprare qualcosa.
Parlando con loro ho capito che bisognava andare direttamente sul posto,
fuori dalla città, e portare i libri li dove non esistono, dando
l'opportunità a coloro che anche solo per curiosità volevano
avvicinarsi a questo mondo, di poterlo fare. C'era bisogno di cultura,
ma anche un sincero interesse»
Gli ostacoli più grandi che ha incontrato quali sono stati?
Le strade sterrate o la cocciutaggine delle persone che non capiscono
la sua attività?
«A parte il fatto di non avere finanziamenti? Be, oltre a
questo non ho mai avuto grandi problemi, e poi le strade sterrate per
me non sono mai state un ostacolo, sono facili da percorrere perché
io adoro la montagna e il deserto... È vero, ci sono sempre persone
che non capiscono quello che faccio, ma io non mi perdo. Cerco di lavorare
solo con chi apprezza i miei sforzi. E poi non sono una che si arrende
facilmente». a
Nei
suoi viaggi per il Marocco ha portato la sua esperienza fin dentro le
regioni ultra-periferiche. Mi racconta una storia che l'ha particolarmente
toccata?
«Ogni anno ci sono storie interessanti che parlano di ragazzi intelligenti
e dinamici. Ogni volta è con grande emozione che mi separo da loro,
dopo tre giorni di lavoro. Quando guardi dentro i loro occhi, capisci
che bisogna davvero continuare».
Il Marocco è un Paese che soffre ancora di un elevatissimo tasso
di analfabetismo. Perché c'è questa situazione e come si
può risolvere questa piaga sociale?
«Sfortunatamente in Marocco il 44% della popolazione è analfabeta
(tra i giovani, i non ofiabetizzati sono il 21%, ndr). Le aree
rurali, soprattutto, sono state progressivamente dimenticate. Oggi sembra
esserci una volontà di combattere l'analfabetismo, ma servirebbero
nuovi programmi scolastici. Bisogna motivare gli insegnanti stessi, formarli
e spingerli a denunciare le cose che non vanno (i salari medi di un
insegnante di scuola primaria in Marocco vanno dai 270 ai 440 euro al
mese, ma nelle aree periferiche le difficili condizioni richiederebbero
più incentivi e, proprio per questo, nel mese di ottobre si sono
susseguiti diversi scioperi della categoria, ndr)».
Lei ha viaggiato molto in Europa. Cè qualcosa che le piacerebbe
importare dei sistemi di istruzione europei in Marocco?
«Bisognerebbe
rendere la scuola piacevole. Tutto è importante: le infrastrutture,
le biblioteche, gli assistenti sociali per aiutare i bambini che hanno
problemi. Una scuola, soprattutto nelle aree rurali, deve essere assistita
dallo Stato e i bambini si dovrebbero sentire felici di andarci. Anche
l'architettura dovrebbe essere piacevole e confortevole. Se fuori fa freddo,
dentro i bambini devono stare al caldo. E viceversa. Ma soprattutto serve
un buon programma, non troppo carico, con tante ore dedicate alla lettura,
intesa come piacere e scoperta. Non bisogna costringere i bambini a imparare
le cose a memoria».
Un ex ministro italiano ha dichiarato che i con la cultura non si mangia.
Cosa ne pensa?
«Alcuni mi hanno detto: Lei va in carovana, dove le persone
non hanno soldi, vogliono pane e zucchero per mangiare. A cosa seve quello
che fa?. Io rispondo che ognuno può fare e portare qualcosa.
È chiaro, ci deve essere chi porta il pane, ma anche chi porta
il sapere. Penso che chi dice così non capisce l'importanza della
cultura che raggruppa tante cose: la musica, la pittura, la storia...
La cultura ci insegna ad accettare gli altri. Da qui nascono la tolleranza
e l'apertura mentale».
Nel suo libro lei parla anche delle nuove tecnologie e di Internet.
Qual è il ruolo dei cybercafé come aggregatori dei giovani
marocchini?
«Internet sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale, ma io preferisco
focalizzarmi sui libri come fonte del sapere. Internet è una cosa
buona, ma a volte non basta e allora bisogna tornare sui libri e fare
altre ric 0erche. Anche solo per controllare se quanto si trova on-line
è vero o falso. In ogni caso, Internet ha permesso ai giovani di
diversi Paesi di conoscersi e comunicare tra di loro».
Chi arriverà prima nei villaggi del Sud del Marocco, i suoi
libri o internet?
«Nei villaggi del Sud mmocchino i libri sono sempre i benvenuti,
perché come lei sa abbiamo Internet, ma ci sono notevoli difficoltà,
la rete è lenta, spesso manca ed è molto più cara
- dunque meno accessibile di un buon libro».
Nel libro lei affronta anche il tema della forte tentazione dei giovani
marocchini a emigrare. Non pensa che sia possibile un futuro per loro
in Marocco?
«In tutto il mondo i giovani sognano di emigrare, soprattutto di
viaggiare, e non possiamo pensare di togliere loro questo sogno, imporre
loro di non sognare. Sfortunatamente i nostri giovani hanno più
difficoltà nello spostarsi rispetto ai giovani europei. l visti,
la situazione economica sono tutti ostacoli non trascurabili. Come ho
già detto, se qualcuno desidera andare a vivere all'estero, bisogna
rispettare tale scelta, ma quello che cerco di fare io con il mio lavoro
è soltanto far capire che anche l'Europa non è il paradiso,
che ci sono molti problemi».
Lei è una donna: come influisce questo sulla sua attività
in un Paese come il Marocco?
«In quanto donna, vendere libri o spostarmi con i libri in campagna
non mi ha mai fatto incontrare particolari difficoltà derivanti
da chiusure mentali. Dopo che il mio lavoro è stato portato all'attenzione
nazionale, tramite il passaggo nel secondo canale della televisione marocchina,
ho trovato un uomo davanti alla mia libreria. Era un insegnante in pensione.
E sa cosa mi ha detto? "Vada avanti cosi, ragazza mia, le assicuro
che neanche gli uomini riescono a fare quello che fa lei».
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