![]() |
|
11 novembre,
ore 17, Cristina Faccincani Paradossi del materno Alcune donne prima di arrivare facevano un gioco. Cercavano di dare una definizione del termine "paradosso". Una ha detto che il paradosso è qualcosa che arriva addosso ed è difficile da parare. Il discorso conscio sulla madre è continuamente confermato/smentito dal discorso inconscio e da ciò che avviene sulla scena analitica. Nel discorso
inconscio sulla madre c'è la dimensione paradossale del
materno. Il punto fondamentale è l'identità e la differenza,
ossia la coesistenza tra dimensione speculare/identitaria e dimensione
asimmetrica/differente. Il bisogno
d'amore segue le vicissitudini della simmetria identitaria e della
dissimmetria differente. Il paradosso
più ingombrante e indicibile sta nella dimensione trigenerazionale
della funzione materna, dove la figlia deve arrivare a essere madre di
sua madre, a vedere la madre come una figlia. L'analisi è un percorso a ritroso attraverso i territori emotivi tra la madre e la nonna per capire cosa vive la figlia. Il paradosso scomodo è divenire madre della propria madre. In analisi
è difficile far emergere la lacuna del rapporto trigenerazionale,
ossia vedere la madre anch'essa come figlia. Perché comporta un'accettazione,
all'interno del legame affettivo, di una componente di alterità
radicale, una estraneità, che è la rinuncia a vedere la
madre come una "che nasce con me". È
il punto di distanza, di separazione quello che diventa rapporto.
Nei percorsi
di individuazione è necessaria l'inclusione di una zona di estraneità
che apre spazi di autenticità con la madre e con le donne. Ci sono molti ostacoli che vengono non solo dalla dimensione speculare dell'identificazione o dalla dimensione conflittuale della differenziazione, ma anche dal paradosso infelice, che è il vincolo a una fusione materna rovesciata (far da madre alla propria madre). È infelice perché la figlia può rimanervi intrappolata. Se il conflitto
può servire nelle due fasi di separazione e individuazione, non
serve a nulla nella zona oscura del vincolo materno. È necessaria l'esplorazione di questa zona oscura del vincolo, per vedere quello che, indipendentemente dal padre e dal maschile, fa ostacolo alla relazione. L'inversione della funzione materna è essere madre della propria madre che è bisognosa a sua volta di madre. Il lato oscuro e paradossale del rapporto madre/figlia è che la figlia mette al mondo la propria madre come madre, e la madre ha bisogno di lei per riparare le proprie lacune di madre che sono innestate sulle proprie lacune infantili. Per esempio
molto spesso si sente dire "non farò mai passare la stessa
cosa a mia figlia!". Questo è proprio mettere al centro la
relazione con la propria madre per una riparazione. Quindi la relazione
con la figlia diventa il territorio del riscatto con la propria madre.
E la figlia condivide il godimento narcisistico. L'inversione
della funzione materna può ostacolare la separazione. Nella comunicazione
inconscia tra madre e figlia passa la domanda della madre che la figlia
sia la propria madre. E la figlia si adatta, perché la posta in
gioco è il riconoscimento, l'appartenenza, l'amore, la relazione.
C'è un rapporto al materno di due generazioni. C'è
un annodamento oscuro tra madre e figlia, dove i tempi si mescolano, dove
non c'è cesura, opposizione, perciò c'è assenza di
storia e sicurezza identitaria. Ciò che è già accaduto
riaccade, nell'illusione che possa essere sanato nella relazione successiva. La relazione come creatura, come cosa nuova, come possibilità di portare del nuovo rispetto al prototipo, la dimensione creatrice è in pericolo e può sparire. Quando le
lacune del materno prevalgono sulla creatività della relazione
c'è una relazione parassitaria e tirannica dove la figlia fa vivere
la madre a costo della sua alienazione. La madre chiede alla figlia -
in modo inconscio - di dipendere da lei per la sua salvezza psichica,
usando la minaccia - sempre inconscia - del crollo della relazione. La
figlia evita il crollo della relazione attraverso la strutturazione di
un falso sé fatto a immagine di quello che l'inconscio materno
chiede, che va di pari passo col proprio svuotamento. Essere vuota vuol dire essere piena della madre. Essere custode dell'equilibrio della madre e rinunciare a incarnarsi in un proprio sé. Il male materno sequestra la figlia e si confonde con quello della figlia. Svuotamento = vuoto di sé / pieno di contenuti materni. Così le figlie diventano le custodi dell'equilibrio interiore della madre e sviluppano un falso sé incapace di svincolarsi dall'alienazione, poiché l'alienazione è l'unica forma di accesso al riconoscimento. Il male materno sta all'interno della figlia, e si confonde col male della figlia, elemento necessario alla propria differenziazione. Così
l'analisi è un percorso di incarnazione in sé, di separazione
della sostanza psichica della madre da quella della figlia, del tempo
della madre da quello della figlia. Il fine è la rinuncia a riparare
la lacuna materna, tanto più onnipotente quanto più è
assunta dalla figlia. DIBATTITO Accettare
la lacuna è una via d'uscita? Quanto
può pesare nelle relazioni politiche tra donne questo oscuro inconscio? Chiarimenti
sul materiale grezzo che passa tra madre e figlia. Idealizzazione
della madre = catenaccio dorato messo sull'accesso alla possibilità
che queste cose siano pensate, sentite, esperite. Ed è così
convincente che solo la CRISI permette l'accesso al materiale grezzo e
affrontare l'alienazione di sé. Domanda
sul padre. Ancora
sull'estraneità. Distinzione
essere donna/essere madre. Responsabilità etica della creazione come creatura come via d'uscita. |