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SYLVIE
GUILLEM sarà
in scena al Teatro Arcimboldi, a Milano, il 18, 19, 20, 21, 22 Maggio
con lo spettacolo RITE OF SPRING, coreografia di M.Béjart.
El Pais Semanal
- 4 aprile 2004
LA
STELLA AL NUDO
Intervista di Dominique Frétard a SYLVIE GUILLEM, una delle migliori
danzatrici del mondo negli ultimi due decenni, per molti la più
grande.
traduzione
di Clara Jourdan
È
la volontà di mostrare il suo corpo o la volontà di rompere
con la sua immagine che ha provocato la sua decisione di posare nuda?
Attraverso il mio corpo so chi sono. All'inizio, stare nuda era un gioco
per mostrare un'altra immagine della ballerina, una creatura che non ci
si aspetta di vedere con una macchina fotografica tra le gambe. Queste
foto sono la cosa più vicina possibile a ciò che io penso
su me stessa. Un giornalista, un fotografo e perfino un amico otterrebbero
solo un'infima parte di ciò che sono, e inoltre poi interpreterebbero
ciò che hanno creduto di captare. Molti pensano che questo modo
di mostrarmi sia scioccante. Io no. Mi trovo più naturale che sessuale.
Lei che
è un'artista che vive nascosta dal resto del mondo, che non ama
parlare, da dove ha tirato fuori il coraggio?
Sarà forse l'esibizionismo dei timidi, che quando si lasciano andare
non fingono. Ringraziare senza essere sincero è stupido. Dovevo
ringraziare questo corpo che mi ha servito così bene. Sono orgogliosa
di lui. Dietro questa scultura ci sono ore di allenamento.
Perché,
secondo lei, alcuni dei suoi ammiratori odiano queste immagini?
Ho sempre saputo che ballavo per ragioni diverse da quelle di chi ama
la danza. Per loro la stella della danza è il tutu, i lustrini,
la bambola meccanica con la chiavetta sulla schiena. Qui, di colpo, hanno
davanti una donna. Distruggo il loro sogno. Scoprono la meccanica di carne
e muscoli che di per sé sola permette i salti e le figure che li
entusiasmano. Paradossalmente, nuda divento per loro più inaccessibile...
Tuttavia l'idea principale era di fare qualcosa di semplice, puro.
[...]
Il
conflitto con Rudolf Nureyev, che portò alla sua uscita dall'Opéra
di Parigi per il Royal Ballet di Londra, non fu una prova troppo dura
per una giovane ballerina?
Mi sono resa conto che non avevo solo amici. Il mio lato idealista - credevo
che fossimo tutti buoni, che formassimo una grande famiglia - sofferse
un duro colpo. Una vera idiozia, per parlare con finezza. Ero in piena
battaglia con me stessa, con gli altri, con l'Opéra di Parigi.
Ma è stata una fortuna incontrare Nureyev. Questo scontro è
rimasto un momento eccezionale per la sua qualità. Tumultuoso ma
vero, autentico. Rudolf non nascondeva mai come la pensava, al contrario
di quelli che, all'Opéra di Parigi, mascherano con un sorriso la
voglia di dare una pugnalata. Lui voleva sapere fin dove ero capace di
arrivare per conquistare la mia libertà. La gente vide la cosa
come un capriccio da diva, mentre io sono l'incarnazione della disciplina.
Ma ci sono cose che vanno contro natura, contro la mia natura, cose che
vivo come una violazione che imporrei a me stessa. Come accettare che
decidano sulla mia vita? E dire che le ballerine sono obbedienti, mi creda.
Ed è normale, viene da quella disciplina del corpo a cui devono
sottomettersi da prestissimo. Non è qualcosa di atroce, è
necessario. Solo che crescendo bisogna dimostrare molto in fretta di non
aver perduto la capacità di analisi, la libertà di opinione.
Ben pochi di noi abbiamo il coraggio di dire: no.
Dopo
aver offerto la sua versione di "Giselle" con il Ballet Nacional
di Helsinki, tornerà a montare a modo suo tutti i balletti del
repertorio classico, come ha fatto Nureyev?
Sì, potrei [ride]. Vent'anni dopo la cura di giovinezza che gli
ha dato Nureyev si può fare, no? Il balletto classico ha bisogno
di sguardi trasgressivi per continuare a esistere. I ballerini devono
trasformarlo attraverso le loro personalità. Pochissimi ne hanno
la forza. E tuttavia il pubblico, anche i novellini, comprende per istinto
cosa è eccezionale. Siamo in un'epoca a cui piace che niente emerga.
Che consigli
darebbe ai giovani ballerini?
Parlo molto poco con i ballerini. Poco fa, un ragazzo è venuto
da me per sapere se chiudeva bene la quinta posizione prima di fare i
giri in aria. "Non è male", gli ho detto, "ma se
questo è il tuo unico problema, va tutto bene nella vita! Perché,
francamente, il problema non è lì. È ciò che
proietti, la forza che liberi. La cosa importante è la dimensione
che sai comunicare. Io preferirei vederti volare, fermarti un momento
in sospensione, prendere lo spazio. È questo quello che il pubblico
aspetta. La tecnica perfetta serve solo a meravigliare gli amici".
Un altro ballerino cominciò ad ascoltare e poi un altro ancora.
Il problema è che nessuno risponde alle loro domande. Anche se
la maggior parte delle volte non pongono gli interrogativi adeguati, oppure
nemmeno domandano. Li metto in guardia. Siccome la gente intelligente
non abbonda, e nel mondo del balletto meno che da altre parti, se uno
arriva con domande stupide la cosa si fa difficile. Per cambiare i grandi
balletti classici bisogna prendere partito, impadronirsi del ruolo come
se non si fosse mai ballato prima. Ci sono vestiti con cui io non sarei
mai uscita dal camerino. Bisogna saper dire di no.
Che ricordo
conserva della sua versione di "Giselle" rappresentata al teatro
Châtelet di Parigi nel 1999, di fronte a una sala molto "parigina",
maldisposta per la semplice ragione che lei ne era l'autrice?
[...] Riconosco che non tutto era perfetto. Ho fatto molti cambiamenti
per rappresentarla alla Scala di Milano. Di fronte a tanta cattiveria
gratuita mi faccio una domanda: si può vivere senza amare e senza
essere amata? Perché essere sempre alla ricerca di questo riconoscimento
amoroso e personale? Dobbiamo imparare ad amare in un modo più
grande? Questo amore, che può essere distacco, non si insegna nella
nostra educazione occidentale.
Quattro
anni fa lei si proponeva di avere un bambino. Ci pensa ancora?
Mi propongo troppe cose. Se avessi un bambino lascerei la danza. Sicuro.
Ma ciò che mi frena è sapere se saprei crescerlo, e poi
mi domando semplicemente se ne varrebbe la pena. Conosco parecchie ballerine
dalla mia età che hanno avuto figli. A 38 anni continuo a essere
stracarica di lavoro. Ultimamente, quando tornavo esausta dalle prove
di Russell Maliphant, uno dei migliori giovani coreografi inglesi, mi
domandavo se sarei stata capace di avere ancora energia per il biberon.
[...]
Perché
ha iniziato la ginnastica, all'età di cinque anni?
Mia madre era professoressa di educazione fisica. Subito mi attrasse la
ginnastica. Mi diceva bene. Mio padre era guardiano in un garage. Ma mi
permetta di dirle che ha un collo del piede molto bello, come quelli dei
ballerini molto bravi. Ha gambe molto lunghe, e mia madre pure. Mio nonno,
quello del nord della Francia, era un tipo molto sgraziato, che camminava
come una papera con i suoi scarponi. Mi viene di famiglia. I miei genitori
sono molto aperti di spirito. Quando venni raccomandata per la scuola
di danza dell'Opéra, per loro non fu un dispiacere perché
non avevano voglia di vedermi partire per l'Unione Sovietica a completare
la mia preparazione. Avevo 12 anni e scelsi la danza.
All'Opéra
è diventata allieva di Claude Bessy, direttrice della scuola di
danza dal 1972. Lei la difese pubblicamente quando nel 2003 fu attaccata
per l'eccessiva durezza con cui trattava i bambini. Può spiegare
la sua posizione?
Questa storia è surrealista; tuttavia corrisponde molto bene alla
mentalità della società attuale. C'è gente che pensa
che la sua appartenenza all'élite l'ereditano di diritto i figli.
Ma far parte di un'élite è una scelta intellettuale, non
una scelta finanziaria né sociale. Attualmente, i bambini non sanno
proprio che cosa vogliono fare. Quando un ragazzino dice che vuole andare
alla scuola di danza, bisogna ascoltarlo. Quelli che sono obbligati dai
genitori sono i più disgraziati, ma non è colpa di Claude
Bessy né dell'istituzione. Conosco bambine che vogliono fare danza,
che vanno a conservatori di provincia a prepararsi come possono, che si
presentano anche varie volte al concorso per entrare alla scuola di danza.
Hanno tra gli 8 e i 10 anni, e una volontà che gli adulti non hanno.
Non tutti possono nascere con questa determinazione. Credo nel libero
arbitrio di questi bambini. Io sono stata una di loro.
[...]
Che cosa
la fa uscire dai gangheri?
L'impossibilità in cui siamo tutti di far sì che il mondo
giri correttamente. Questa escalation della violenza, la mancanza di comprensione
da parte degli altri... So benissimo che l'essere umano non può
agire altrimenti. Ma distinguo tra la violenza che si può spiegare
da quella che supera le possibilità di comprensione. Ho avuto questa
sensazione di qualcosa di inaccettabile leggendo Bruciata viva, di Souad.
Come possono i boia gettare pietre che lapidano donne, sorelle, figlie?
Ci sono donne tra coloro che lapidano? Come sopportare questa barbarie?
È
per questo motivo che si è stancata ben presto delle eroine del
repertorio classico, che, in gran parte, muoiono d'amore?
All'inizio no. Mi piaceva interpretarle perché erano i miei unici
riferimenti. Sono stata allenata fin dall'infanzia a infondere loro vita.
Mi sono divertita molto con loro. Sono la mia giovinezza. Ardevo dal desiderio
di esprimere attraverso di loro tutto il virtuosismo, tutte le prodezze
tecniche che mi avevano inculcato. A distanza mi rendo conto che erano
soltanto degli scalini che dovevo salire. La cosa peggiore di tutte sarebbe
stata che mi accontentassi di fare questi ruoli. Finché uno pensa
a un grande ruolo del repertorio con l'idea di poterlo interpretare come
mai nessuno prima, deve farlo. Finché uno abbia il desiderio di
superarsi, deve farlo. Ma arriva un momento in cui questa idea di superarsi
diventa pericolosa, perché si raggiungono limiti molto difficili
da sopportare psicologicamente. Ovviamente c'è il pubblico che
ti scopre; ma agli specialisti, a quelli che ti seguono dappertutto, non
puoi mostrare quello che hanno già visto, devi dargli sempre di
più. Fino al punto di rottura. Quando trovi che Giselle è
una stupida, quando non hai più voglia di portare una brocca in
spalla come l'eroina
della Bayadère, è arrivato il momento di cambiare.
Quali
coreografi contemporanei le danno questa voglia di superarsi?
L'anglo-bengalese Akram Khan, con il suo sguardo meticcio, che dovrebbe
creare per me. Di questa stessa generazione giovane, Russell Maliphant
mi apre dei territori che non ho mai esplorato. Ho dovuto rimettermi nei
panni di una allieva che deve imparare quello che non sa.
(Traduzione di Clara Jourdan)
Ringraziamo
Le Monde e El Pais per l'intervista di cui abbiamo riprodotto alcuni brani.
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