Libreria delle donne di Milano

Grazia - 17 ottobre 2009

Il NOBEL a tre donne è il segno che il maschilismo scientifico sta finendo
Umberto Veronesi

Il premio Nobel per la Medicina quest’anno ha un valore in più. Non era mai accaduto che fossero premiate contemporaneamente due donne: le americane Elizabeth Blackburn e Carol Greider, invece, hanno vinto per le loro ricerche sull’invecchiamento cellulare (un altro Nobel, per la Chimica, è andato all’israeliana Ada E. Yonath).

È il segnale positivo che ci stiamo lasciando alle spalle il pregiudizio che vedeva la scienza come monopolio maschile.

Solo qualche anno fa, il Rettore dell’università di Harvard, Lawrence Summers, dichiarò che le donne non sono adatte alla ricerca perché avrebbero una scarsa propensione verso la matematica e le scienze. Ancora oggi c’è chi è convinto che il cervello femminile sia inadatto a queste materie perché privo della capacità di applicazione del pensiero razionale.

Sono sempre stato contrario a queste affermazioni e i fatti mi danno ragione. È vero che, nella storia, le scienziate che si sono distinte sono poche, ma lo stesso è avvenuto nella letteratura, nella musica, nelle arti. Il problema, quindi, è sociale più che genetico: perché sono state meno libere.

E perché il maschilismo, anche quello scientifico, si esprime nel limitare la carriera femminile.


Nella mia storia di medico e scienziato ho visto tante colleghe impegnate nella ricerca: creative, determinate, precise e, più spesso dei colleghi maschi, spinte da una motivazione che va oltre l’ambizione. La donna - che dà la vita e alla vita, per natura, è saldamente ancorata - vede nella ricerca scientifica una forma di amore per l’umanità. Ha scritto Rosalind Franklin, la scienziata che contribuì alla scoperta del dna senza che il suo ruolo venisse riconosciuto: «Il successo delle nostre aspirazioni, il miglioramento della vita umana, presente e futura, vale la pena del nostro impegno». Per questo le ricercatrici sono spesso attive anche nel sociale.

Elizabeth Blackburn, per esempio, una delle due vincitrici di Stoccolma, è nota per il suo impegno per la liberalizzazione della ricerca sulle cellule staminali, che, nel 2004, le è costato il posto nel Consiglio per la bioetica degli Stati Uniti.

Penso spesso all’incontestabile serietà di tante ricercatrici e al volume di cose che riescono a fare, oltre a essere madri, compagne e cittadine. Mi stupisco ogni volta della capacità di dedizione che si accompagna al loro genio. È tempo che questo venga riconosciuto. E i premi Nobel 2009 per la Medicina e per la Chimica sono un passo significativo in questa direzione.