Libreria delle donne di Milano

Io donna 16 febbraio

Alla giornalista: Non confondere le donne con le quote rosa.

Claudia Fiaschi: "Ricchi sì, ma senza profitto"

di Emanuela Zuccalà

È una manager dal lessico inconsueto, Claudia Fiaschi. Invece che di concorrenza e competitività, lei parla di solidarietà tra imprese che fa prosperare l’economia. E poi racconta dell’impresa che lei presiede, accennando dati sorprendenti nell’attuale stagnazione generale: il 13 per cento in più di produzione in tre anni, il 5 per cento in più di occupazione, la forza lavoro femminile al 68 per cento. E le quote rosa che qui sono una realtà da vent’anni. Claudia Fiaschi - toscana, occhi azzurrissimi, due figli adolescenti, il (poco) tempo libero a fare olio nella sua campagna - è al vertice della più vasta rete italiana di imprese sociali, il consorzio CGM: quasi mille cooperative con oltre 44 mila operatori che offrono servizi per l’infanzia, gli anziani, la sanità, l’ambiente. Voci che lei raccoglie sotto l’espressione di “promozione del bene comune”, per una realtà non profit che forse ha qualcosa da insegnare all’economia tradizionale.

Ci spieghi la vostra ricetta per reggere così bene alla crisi.
Le ricerche dicono che in Italia crescono di più le piccole e medie imprese che attuano strategie di rete, diverse dall’approccio competitivo delle grandi aziende. E il dna delle cooperative è proprio questo: si cresce se cresce il tuo vicino, se si armonizzano tutte le risorse di un territorio. In una cooperativa la proprietà è diffusa, non c’è un azionista cui rispondere, il capitale non viene remunerato. Ciò che muove le persone è la passione per il proprio lavoro e il prevedere nuovi bisogni. Claudia Fiaschi, presidente del Gruppo Cooperativo Cgm.

Quali sono gli esempi italiani meglio riusciti, che potrebbero dare spunti anche all’economiaprofit?
I “modelli ibridi” creati nei nostri consorzi: produrre beni comuni, quelli che prima venivano solo dagli enti locali (come trasporto pubblico, salute, ambiente), mettendo insieme sindacati, organizzazioni di volontariato, imprese, banche... Il fine è creare consenso su un progetto prioritario per la comunità. Il poliambulatorio WIS (Welfare Italia), per esempio, offre ottimi servizi sanitari a costi sostenibili: sei cooperative hanno messo un milione di euro e alcune banche hanno aggiunto il resto. A Forlì, per un progetto simile, sono stati coinvolti anche i mormoni e la Cisl. Sono esperimenti, 65 in Italia, che contengono un’intuizione importante: le persone possono sovvertire le regole del gioco per migliorare la propria vita.

Si dice che le leggi italiane non incoraggino lo sviluppo del non profit.
Infatti manca una legge: non abbiamo strumenti per attrarre investitori profit sui nostri progetti, come invece accade negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Da noi le aziende possono solo fare donazioni alle non profit: ma essere un benefattore è molto diverso dall’essere un investitore.

Perché tanta attenzione alle donne, nel vostro consorzio?
La conduzione d’impresa in gruppo rende le cooperative luoghi di conciliazione naturale. C’è l’abitudine a collaborare, perché tutti possano dedicarsi anche alla famiglia e infatti abbiamo un altissimo tasso di maternità. Da noi, ciò che succede nella vita non può mai essere avulso dal lavoro