La
stampa, 11 dicembre 2010 La Merini
e la Pozzi, tra solitudini e lacerazioni, voci al vertice del Novecento Alda
randagia Antonia dorata Giovanni
Tesio Un invito all'incontro con due
tra le voci più folgoranti del Novecento poetico: Alda Merini e Antonia
Pozzi. Di Alda Merini più di mille pagine pubblicate da Mondadori con un
bel titolo, Il suono dell'ombra, che raccoglie a cura di Ambrogio Borsani poesie
e prose dal 1953 al 2009. Di Antonia Pozzi 650 pagine edito da Sossella con un
titolo non meno bello, Poesia che mi guardi, che raccoglie a cura di Graziella
Bernabò e Onorina Dino il più ampio numero di poesie finora pubblicate
insieme con altri scritti e il dvd del film di Marina Spada presentato al festival
di Venezia. Della Merini si sa in genere di più o si presume di saperne
di più, vista anche la fortuna mediatica che l'aveva trasformata - dopo
la dilaniante esperienza del manicomio - nell'icona forse più visibile
della poesia nazionale. Della Pozzi si sa meno, ma pure lei ha scalato a poco
a poco i gradi di una notorietà postuma che è venuta crescendo non
tanto in ragione del suicidio che nel 1938 ne concluse tragicamente la vita, ma
dell'alta spiritualità di un'esistenza vissuta sotto il segno dell'interrogazione
e di un dire poetico alimentato dalla presenza del dolore. Due vite agli antipodi,
dai Navigli ai palazzi della loro Milano, attraversate dal dolore, richiamate
dal divino. Difficile immaginare due vite così diverse, per generazione
(la Pozzi era del '12, la Merini del '31), per estrazione sociale, per tempi,
per esperienze, per destino. La Merini più erotica e sensuale, la Pozzi
più coperta quantunque non meno estrema. Ma tutt'e due impastate in solitudini
lancinanti e in aggrovigliati giri del sangue. Al di là dei modi e delle
forme, in tutt'e due una spinta irresistibile all'essere, un'assoluta necessità
espressiva, una sorta di vizio imperdonabile in cui costringere l'emozione dei
fenomeni e delle cose, l'urgenza della passione e della pena, ma anche della preghiera
e della pietà: "Con le membra lacerate dai suoni/ dai fulmini delle
arcate segrete del sogno,/ con le membra che chiedono pietà/ io mi alzo
a scrivere incerta,/ so che le mie carte cadranno nel sonno/ di molti critici
disattenti,/ so che non farò mai clangore né rime/ma devo ugualmente
scrivere/ per quella corda segreta/ che mi porto avvinghiata al collo/come un
cappio deciso a frantumarmi". Versi della Merini che Antonia Pozzi avrebbe
potuto sottoscrivere. Nella Merini la grande ferita del manicomio, nella Pozzi
la ferita del privilegio. Nella Merini la maternità plurima e coartata,
nella Pozzi la maternità fantasmatica e sognata. Nella Merini la Milano
randagia dei Navigli, nella Pozzi la Milano dorata dei Palazzi. Nella Merini gli
studi incerti e impossibili, nella Pozzi il liceo classico e l'Università.
Ma in tutt'e due l'Amore su tutto e soprattutto, la denuncia dell'irrequietudine
e dell'ansia eterna, le apparizioni angeliche (gli angeli del Diario di una diversa
nella Merini, gli angeli dei Diari nella Pozzi). In tutt'e due la scienza del
dono, la generosità dei gesti, la lacerazione del cuore, il travaglio dell'eterno,
il richiamo del divino, la forza della parola che si fa voce di poesia: "Poesia,
poesia che rimani/ il mio profondo rimorso,/ oh aiutami tu a ritrovare/ il mio
alto paese abbandonato". Questa volta sono versi della Pozzi, mala Merini
avrebbe potuto sottoscriverli. Le accomuna una spinta irresistibile all'essere,
l'urgenza della passione e della pena, ma anche della preghiera e della pietà
Per chi ama i percorsi un po' fuori dai circuiti professorali e dalle cure troppo
specialistiche e a volte francamente uggiose, un'ottima occasione di lettura,
cui aggiungerei qualche altra proposta compatibile. Tra ferite del corpo e costanza
dell'anima, come sottolinea Bàrberi Squarotti, Corpus diMaria Modesti (Passigli).
Tra vicenda personale e vicenda collettiva Mistral della friulana Ida Vallerugo
(Il Ponte del Sale) a cura di Anna De Simone (prefazione di Franco Loi).Tramemoria
di una madre e narrazione di un mistero China di Maria Pia Quintavalla (Effigie). |