da Leggendaria n.69 (luglio 2008)

Cercando una verità sulla madre
Condividere attraverso la scrittura il dolore privato della malattia, della morte o del suicidio della madre, misurandosi con l'indicibile: un intenso romanzo di Ada Celico
di Luciana Tavernini

Un grande dolore costituisce la genesi di questo romanzo; un dolore così forte per cui occorre trovare un modo per renderlo dicibile, a cui si grida con rudezza di dar tregua, a cui si chiede per favore di non attanagliare, di non sommergere, di non far annegare.
La malattia, la morte naturale o il suicidio della madre sono temi che già alcune scrittrici e scrittori hanno trattato, sentendo l'urgenza di condividere un dolore privato, di far diventare pubblica una riflessione su un aspetto dell'esistenza che negli ultimi cinquant'anni è stato sempre più rimosso. Penso a Une morte très douce (Una morte dolcissima) di Simone de Beauvoir, uscito nel 1964, a Wunschloses Ungluck (Infelicità senza desideri) di Peter Handke del 1972, e a Une Femme di Annie Ernaux dell'87. Ma penso anche al primo film-documentario di Alina Marazzi Un'ora sola ti vorrei (2002) e alle molte poete, ad esempio Gabriella Lazzerini, Gabriela Fantato, Mariolina De Angelis, Bianca Tarozzi, che di questo tema hanno scritto. Mi soffermerò sulle autobiografie- biografie per confrontare ed evidenziare modalità e problemi.
De Beauvoir racconta con precisione dall'inizio della malattia alla morte della madre, consapevole dell'unicità di questo rapporto. Scrive infatti: <<Per me, mia madre era esistita sempre e non avevo mai pensato che l'avrei veduta scomparire un giorno, un giorno assai prossimo. La sua fine si situava, come la sua nascita, in un tempo mitico>>. Proprio per fare i conti con il "cadavere sospeso" della madre segue il suo andamento clinico e al contempo ne traccia un ritratto, descrivendo anche il suo rapporto con le figlie, Simone e sua sorella. Il suo modo di scrivere è lucido e controllato.
Ernaux, che della malattia della madre riuscirà a scrivere solo dieci anni dopo, nel 1997 in Je ne suis pas sortie de ma nuit, qui si concentra sul dopo morte, con i suoi riti oggi sempre più asettici e prova ad uscire dallo stato di sofferenza attraverso la scrittura, cercando una verità su sua madre <<che non può essere raggiunta che con delle parole. (Vale a dire che né le foto, né i miei ricordi, né le testimonianze della famiglia possono darmi questa verità)>>. Un progetto, dunque, di natura letteraria ma che resta <<in un certo modo, al di sopra della letteratura>>. Costruisce così una biografia della madre usando le date, quasi un ancoraggio, in questo viaggio nel passato.
Hanke, sconvolto nel venire a conoscenza dai giornali del suicidio della madre, parte da se stesso e dalle sue faccende e, mentre scrive, se ne libera gradualmente. E' consapevole del problema del distanziamento e dice: <<Posso distanziarmi solo da me stesso, mia madre non può diventare e non diventerà per me quello che io divento per me stesso, una figura artistica alata e vibrante, sempre più serena. Lei non si lascia incapsulare, resta inafferrabile, le frasi precipitano in qualcosa di buio e giacciono confuse sulla carta>>. Sente infatti, come dicevamo all'inizio, l'indicibilità di quest'esperienza.
Una volta il lutto era un'elaborazione fisica e collettiva: con la persona perduta non si perdeva anche tutto il suo mondo perché insieme, nelle veglie funebri e nelle visite successive, si narravano e si confrontavano gli incontri avuti, le immagini che si portavano dentro di sé, si tramandava, oralmente ma anche con un contatto che implicava la totalità dei sensi, il mondo di cui si era stati testimoni e se ne trovava o creava così una continuità col presente. Ora non vi sono più momenti per parlarne e si avverte più forte la rottura e la perdita definitiva di un mondo. Una perdita che comporta attimi di terrore ineffabile. Handke continua:

"Indicibile", si dice spesso nelle storie, oppure "indescrivibile", e solitamente io ritengo che siano scuse meschine; ma questa storia ha veramente a che fare con l'inesprimibile, con attimi di terrore ineffabile. [...] Tutt' al più, è nel sogno che la storia di mia madre si lascia per breve tempo afferrare: perchè allora i suoi sentimenti diventano così fisici che io li vivo come una controfigura, e mi identifico con essi; ma questi sono proprio quei momenti di cui già si parlava, dove l'estremo bisogno di comunicare coincide con un'estrema incapacità di parlare. Perciò si finge la regolarità di uno schema consueto di vita, scrivendo: "Allora-poi", "Perchè-sebbene", "fu-divenne-divenne un niente", e in tal modo si spera di padroneggiare la voluttà del terrore. E questo è forse il lato comico della storia.

Hanke, De Beauvoir ed Ernaux, si aggrappano a una regolarità, hanno bisogno di uno schema.
Ada Celico viene dopo e, pur non avendo letto questi libri, avverte la necessità di spingersi oltre. Lo può fare ora grazie alle riflessioni delle donne degli ultimi vent'anni. Riesce dunque con Una casa di carta per mia madre che ha avuto solo case di pietra traballanti a farci partecipi dei momenti di "sogno", per dirla con Hanke,, momenti che io chiamo di "silenzio parlato", quelli che implicano l'apertura della mente a lasciarsi visitare, dove la razionalità è messa in disparte per ascoltare con l'interezza di sé, con tutti i sensi all'erta, le presenze che emergono dal passato in un ordine musicale e visivo, per nulla cronologico, dove una sensazione richiama un'emozione e questa una storia, dove risuonano parole precise, quasi formule magiche, che abbiamo sepolto e che improvvisamente emergono. Non è disordine, è qualcosa che ha a che fare un'altra forma di conoscenza legata alla poesia e alla pittura, che restituisce il ritmo della vita nella sua interezza ma soprattutto che ci rende consapevoli di ciò che ci fa vivere: della relazione che tuttavia, essendo un "tra", una connessione mutevole, è di per sé invisibile.
Il libro si muove nell'intreccio dei tempi: quello del funerale della madre nell'assolata campagna calabrese, nel piccolo cimitero, nella casa e nell'orto della nonna, e quelli diversi della vita della madre, prima addirittura della nascita della figlia ma anche quelli delle tradizioni e leggende contadine udite dalla bambina e quelli dei suoi incontri e dei suoi pensieri, un intreccio proprio appunto del "sogno". Ad esempio da una situazione presente, la campagna calabrese del paese natale della madre si passa alla metafora dello scavo tra i sassi, del filo odoroso che congiunge la sua infanzia con quella della figlia, dalla fame mai veramente patita alla fame senza fine della figlia per il sapere. Subito viene messa in luce una diversità che, per la prima volta nella storia, si presenta come una possibilità di dar voce.
Con la scuola di massa molte madri si sono sacrificate perché le figlie potessero studiare, strategie della libertà le chiama la sociologa spagnola Borderias nell'omonimo libro. E per la prima volta col Sessantotto l'origine contadina, operaia, non è vissuta come una vergogna da cancellare. Il passaggio nel mondo piccolo borghese nel periodo della scuola può incidere, facendo patire l'inadeguatezza della propria condizione sociale, ma la svolta culturale porta a scoprirsi divaricate, e con la forza del movimento delle donne a sentire la necessità di dire ciò che si sa. Scrive Celico:

<<[…] i tuoi occhi ciechi alla parola scritta, le tue orecchie sorde all'armonia delle note create dall'uomo e non dalla natura vivono in me, sono dentro di me. Sento i respiri della terra, conosco la lingua della povertà e della bestemmia. So i silenzi esausti della legna che brucia senza domare il freddo, le viscere che borbottano perché non sono sazie.
Ignoranza e miseria, cultura a passi lenti, e io tra un mondo e l'altro, tra il mio mondo e il tuo mondo, madre, che pure è il mio mondo […]>>.

Solo chi non è totalmente immerso in un mondo ne avverte l'unicità, sa che non è naturalmente eterno, teme la perdita di un prezioso universo che può diventare invisibile per tutti.
Insieme alla madre è dunque tutto un mondo e un'epoca da salvare, il mondo contadino del Sud con le sue, a volte terribili e tragiche tradizioni, il passaggio alla città, la fine del patriarcato, grazie anche alla scelta di questa donna orgogliosa, altera, furiosa, libera come una fiera della foresta, un'amazzone, una guerriera, che intimorisce gli uomini e che a sua volta ne teme il dominio al punto di rifiutare il matrimonio e di allevare da sola sua figlia, vivendo in città e inventandosi un commercio di uova.
Ma l' impresa di salvare con la scrittura il rapporto con la madre e il mondo che le ha costruito e mostrato è possibile solo se con lei continua il dialogo, anche quando è stesa sopra il marmo. Non è un ricordo, è un dialogo che emoziona fino a far tremare per la consapevolezza della presenza. Un dialogo iniziato da lontano. <<Perché mi tratti da grande a cinque anni? Perché mi racconti questa favola inquietante?>>. La madre fa conoscere il mondo, vuole che la figlia sappia. Ogni madre, come dice Gabriella Lazzerini in Madrelingua, una delle sue intense poesie sulla madre, rende abitabile il cosmo con le sue parole.

I nomi che gli davi ritagliavano il cosmo
come una fila di bambole da un foglio di giornale
i nomi si posavano come farfalle sulle cose
e il mondo era una casa ricca da abitare.

Anche questa madre lo fa con grande coraggio, senza nascondere gli aspetti crudi, perché sa essere presente. E la figlia, dapprima trova nei libri imprestati, infilandosi in quelle pagine, la possibilità di far nascere e galoppare la sua fantasia, poi finalmente può entrare in pagine sue, costruire la sua casa di carta, dove la madre le sorride. La scrittura del romanzo è dunque anche il recupero di questo rapporto.
Per lungo tempo la giovane aveva interiorizzato gli alt della madre, fino alla rottura. La madre in contrasto col suo tempo non voleva il matrimonio, ma non ha trovato altro modo che la solitudine orgogliosa per mantenere la sua libertà. Tuttavia vivere senza le mura salde dei modelli richiede la ricerca di ancoraggi. Le donne negli anni Settanta con l'autocoscienza, mentre distruggevano queste mura, creavano al contempo una società che le autorizzava a sperimentare nuove strade e così non si sentivano sole. Qui siamo un momento prima. E allora la figlia per cercare delle radici a cui attaccarsi, per non sentirsi capovolgere dal vento che non riconosce confini, si allontana da lei, dal suo insegnamento e cerca giovanissima nel matrimonio con un giovane uomo un suo falso radicamento. Questo strappo ferisce e indebolisce entrambe. Mancava allora la consapevolezza che si avrà col femminismo che è possibile differenziarsi dalla madre, continuando il legame con lei; che si può avere un rapporto con un uomo senza trapiantarsi nel suo desiderio e perdere il proprio. Ada Celico ci mostra quel momento doloroso della storia delle donne, facendocene partecipi, permettendoci una conoscenza che ci coinvolge.
La madre lotta, c'è, come dice Luce Irigaray in Sessi e genealogie, un "corpo a corpo", dove per Ada Celico non c'è <<dolore della carne, se non quello di vederti affranta e disperata>>. Eppure il disagio della crescita prende la scorciatoia della ribellione alla madre che non ha saputo evitarlo. Non si vuole essere come lei ma non si sa ancora come essere se stesse. E spesso allora si commettono errori di cui si avverte il pericolo ma che non si ha la forza di correggere.
Così succede alla protagonista che non dà credito neanche alle parole del padre, il suo cavaliere ammirato e rincorso per anni. Un padre che non è stato capace di creare un nuovo tipo di rapporto con una donna forte, un padre che ha saputo solo mettersi a lato e che ora non ha più credito presso la figlia. Simbolo anche dei tanti padri che oggi non reggono la sfida di un nuovo rapporto tra i sessi.
Nel libro non si propone di tornare indietro. Vengono mostrati i molteplici modi in cui si esplica la brutalità della società patriarcale: i riti contadini violenti per dominare la terra-natura-donna, sentite unite da un nesso che intimorisce gli uomini; episodi di ostracismo verso donne che non stanno nei ranghi; l'onore della famiglia per cui non si vede né aborto clandestino o infanticidio e si abbandona la madre senza marito; l'ubriachezza per sentirsi maschi; e tanti altri. Ma si vede anche come la fuga dalla campagna alla città, la solitudine e la solidarietà delle donne, la possibilità e la fatica di mantenersi, la scuola per la figlia diventino il passaggio ad un nuovo rispetto di sé, per il quale si paga però un prezzo alto. E la figlia cerca un'altra strada, anche se sospetta che sia un tornare indietro: il "sogno d'amore", come lo chiama Lea Meandri, è lì pronto a farle perdere la sua voce. Solo ora nel ripensarsi in dialogo con la madre può ritrovarla, anche con la madre che si ammala, che impazzisce, perché, per essere davvero umani, non possiamo dimenticare la nostra fragilità e non farcene carico. Non possiamo, come hanno fatto gli uomini in passato, relegare la cura al lavoro silenzioso e invisibile di milioni di donne e neppure trasformarlo in una sequenza preordinata di orari ed azioni come si vorrebbe accadesse nelle case di riposo. E' un lavoro di cura amoroso eppure difficile, che eccede comunque la parola. Ecco allora la forza del libro che usa una parola poetica perché, come suggeriva Montale, la poesia diviene necessaria dove la parola non basta.
Ada Celico scandaglia la paura dell'abbandono, la difficoltà di incontrare il mutamento dell'immagine della madre, fa i conti con l'assenza: una voce che "continua smarrita a rimbombare per le stanze" ed è "solo l'ombra di quella voce che è altrove". Cerca di mantenere una relazione con una persona che ha perduto la ragione e che continua ad amare, costruisce una vita che nessuna normalità può comprendere fino in fondo, dove "riscaldare una tazza di latte diventa un'impresa immane", un'esplosione di immagini. E allora per tenere a bada il dolore anche una musica brasiliana o una danza intrisa di folclore, un contatto fisico possono servire perché riportano alle antiche strategie di resistenza che la catena genealogica femminile ha tramandato. Come altre: le formule magiche della zia o avvolgersi nella "gioia voluttuosa delle lenzuola" o andare avanti e indietro nel tempo per superare il momento presente del dolore. "Indietro quando tutto deve ancora accadere e quindi non può nuocere. Avanti, quando tutto è già accaduto e allora non può fare troppo male." Non per dimenticare, per cancellare ma per rinascere, per riuscire a comprendere, senza alcuna ideologia, l'amore che la madre vive e testimonia. Un amore per il quale è necessario non soccombere al dolore, costruendo per lei una casa di carta, costruzione possibile solo perché si è riuscite a ricostruire un rapporto nuovo con lei, ad avere in un modo diverso la sua approvazione.
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Ada Celico
Una casa di carta
per mia madre
che ha avuto solo
case di pietra
traballanti
Iride Edizioni-Gruppo Rubettino
Soveria Mannelli (Catanzaro) 2005
pp.149 pagine, 10 euro
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Simone de Beauvoir
Una morte dolcissima
trad. di C. Lusignoli
Einaudi, Torino [1966] 2002
106 pagine, 9 euro
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Peter Handke
Infelicità senza desideri
trad. di Bruna Bianchi
Garzanti, Milano [1972] 1999
86 pagine, 6,20 euro
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Annie Ernaux
Une Femme
Gallimard, Parigi1987
106 pagine
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Alina Marazzi
Un'ora sola ti vorrei
Italia, 2002
55', DVD
Cecchi Gori Home Video 2005
14,99 euro
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Gabriella Lazzerini
Tutto per me l'oceano. Poesie
Quaderni di Via Dogana
Libreria delle donne di Milano
Milano 2004
120 pagine, 12 euro
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Gabriela Fantato
il tempo dovuto, poesie 1996-2005
editoria&spettacolo, Roma 2005
182 pagine, 10 euro
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Gabriela Fantato
Codice terrestre
La Vita Felice ed., Milano 2008
87 pagine, 9 euro
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Mariolina De Angelis
I sentieri della notte
Edizioni Tracce, Pescara 2001
49 pagine, 7.75 euro
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Mariolina De Angelis
Città d'aria
Edizioni Joker, Novi Ligure 2005
82 pagine, 10 euro
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Bianca Tarozzi
Prima e dopo
Quaderni di Via Dogana
Libreria delle donne di Milano
Milano 2000
63 pagine, 7,75 euro
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Cristina Borderías
Strategie della Libertà.
Storie e teorie
del lavoro femminile
trad. di Clara Jourdan
manifestolibri, Roma 2000
215 pagine, 12,91 euro
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Luce Irigaray
Sessi e genealogie
Baldini e Castaldi, Milano [1984] 2007
231 pagine, 8,90 euro
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Lea Melandri
Come nasce
il sogno d'amore
Bollati Boringhieri, Torino [1988] 2002
187 pagine, 15 euro