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Liberazione
- 11 novembre 2005
Il circolo
degli uomini (sa della sua prepotenza, ma...).
Le
riflessioni di alcuni maschi sulla violenza maschile
di Lea Melandri
Nel libro
L'ultimo paradosso (Einaudi 1986), presentato come "un quaderno di
appunti, note, osservazioni, pensieri sui problemi fondamentali dell'esistenza",
Alberto Asor Rosa scrive: "Uomini. Sediamo da secoli in gruppo intorno
ad una tavola -non importa se rotonda o quadrata- impartendo il comando
cui la nostra funzione ci abilita, distribuendo il potere che il nostro
ruolo ci assegna. Anche fra amici indossiamo corazza: i momenti più
intimi della nostra conversazione passano tra celate accuratamente abbassate.
Le nostre mani sono chele in riposo. Gli orgogliosi sanno fare tutto questo
con dignità e fierezza, i vili lo ostentano codardamente per incutere
timore: ma gli uni e gli altri stanno diritti solamente perché
c'è una corazza a sostenere il filo della schiena o una spada a
cui appoggiare il fianco stanco. Il nostro volto, il nostro corpo sono
pur là, dietro quelle biancheggianti, livide spoglie. Ma non oseremmo
pensare di rinunciare al nostro circolo e alle sue leggi neanche se ci
fosse promessa in cambio una libertà sconfinata, una gioia senza
pari. Sediamo, intenti a noi stessi, alla nostra forma, al nostro decoro,
al nostro eroismo, alla nostra dignità: al nostro essere-per-sé,
custodito da un simulacro d'acciaio e da una maschera di ferro. Intorno
a noi ci sono soltanto o subalterni o buffoni: e tra essi mettiamo le
donne, alle quali per giunta presumiamo di piacere e di dar piacere ostentando
le virtù cavalleresche, ossia tutto ciò che più ci
allontana da loro. A forza di tenere il corpo in armatura, ne risultiamo
un poco rattrappiti, le giunture scricchiolano e nel muovere ci procurano
dolore. Talvolta ci sorge il sospetto che il nostro sacrificio, offerto
a divinità tanto astratte quanto crudeli come quelle che compongono
la religione dell'ascetismo guerriero, sia scontato ed inutile, e persino
oggi un poco patetico: ed aspiriamo ad uscire da qualche crepa della vecchia
armatura, a scivolare furtivi sotto quel tavolo, per guadagnare la porta
della riunione a uscire a respirare aria pura".
Ma appena fissiamo lo sguardo nello sguardo dei nostri compagni, attraverso
la fessura della celata…e vi scorgiamo la nostra stessa disperazione,
la nostra prigionia, il nostro dolore, il nostro stesso smisurato orgoglio,
il nostro disprezzo per tutti gli estranei alla cerchia - non appena sguardo
con sguardo di nuovo s'incatena, subito il desiderio di libertà,
l'ansia di gioia ci abbandonano -, e scopriamo che non potremo mai lasciarli…
L'unico passo in avanti nella cultura degli uomini da due millenni a questa
parte è stato la soppressione del re: ma questa soppressione non
ha cancellato il circolo, se mai lo ha rafforzato, liberandolo della maglia
più debole. Sono secoli che gli esseri umani maschili vivono così;
e con questo modo di vita affonderanno".
Ho ripensato
a questo frammento e al destino del libro che lo contiene - giudicato
dagli intellettuali più vicini all'autore come meritevole di restare
in solaio, dove sembra effettivamente rimasto -, dopo aver letto su Liberazione
il punto di vista di dieci uomini sul tema "Maschi, perché
uccidete le donne? " (6/7 novembre 2005). Mi soffermo su due aspetti,
che non finiscono di sorprendermi: la potenza - o prepotenza - che conserva
tutt'ora la "neutralità", l'abitudine dell'uomo di pensarsi
e di parlare come prototipo unico della specie umana; e, per un altro
verso, la repentinità con cui essa può eclissarsi, come
se avesse in effetti la leggerezza di una maschera che si può mettere
e togliere a volontà. Negli scritti pubblicati dal giornale, l'idea
di un dominio maschile che attraversa da sempre la sfera privata e pubblica,
la consapevolezza delle forme più o meno violente con cui si è
imposto il patriarcato, appaiono come verità incontestabili, dati
della propria esperienza e della propria formazione culturale, analisi
che sembrano essere state presenti da sempre, sia pure in modo diverso,
nell'impegno politico di ognuno.
Se le donne
hanno dovuto faticosamente, tra mille inganni e ostacoli, "prendere
coscienza" di un'oppressione, peraltro evidente, e sopportare che
questa lucidità si rivelasse estremamente fragile, pronta a scomparire
dopo ogni piccola conquista, gli uomini, ragionando su una rappresentazione
del mondo prodotta dalla storia dei loro simili hanno evidentemente una
via di accesso più facile alla messa a nudo del sessismo, delle
logiche d'amore e di violenza che lo sostengono, nonostante i progressi
della civiltà. Perché allora quella difesa estrema, sempre
meno convinta eppure ostinata, della neutralità, che si esprime
non solo nel cancellare dalle analisi politiche il rapporto tra i sessi,
ma anche in quella copertura che è la sua distorta collocazione
tra le questioni sociali: emarginazione, cittadinanza incompleta, sfruttamento
economico, beni comuni, ecc.?
Le donne
sembra che stentino a "sapere" quanto è profonda l'espropriazione
che hanno subito, quanto siano ancora lontane dalla percezione di sé
come individualità intere, corpo e pensiero, quanto siano propense
ad accontentarsi di una emancipazione che le porta sulla scena del mondo
con le stesse attribuzioni per cui ne sono state allontanate: corpo, sessualità,
maternità. Anche sulla violenza che subiscono quotidianamente,
e che risulta essere ancora la causa prima della loro morte, cala spesso
l'invisibilità, frutto di paure, intimidazioni, così come
di desideri e fantasie amorose mal riposte. Per quanto riguarda gli uomini,
viene invece il sospetto che "sappiano" e che sia proprio l'evidenza
del privilegio toccato loro storicamente e diventato "destino",
copione di comportamenti obbligati, a dover essere in qualche modo aggirata,
perché colpevolizzante e quindi innominabile.
La comunità
storica maschile ha visto cadere imperi, muraglie, confini, odi che sembravano
irriducibili, eppure esita a far cadere le fragili pareti che separano
la sua civiltà dalla porta di casa, l'immagine della sua "virilità"
pubblica dalla posizione di figlio, fratello, padre, marito, amante.
Ma tutto
ciò che scorre innominato sotto la storia rischia di diventare
col tempo la galassia che la conduce a sua insaputa, che la ricopre via
via di macerie e la tiene con lo sguardo rivolto all'indietro, cosicché
la speranza finisce per confondersi con la nostalgia, e il corpo femminile,
su cui ancora si pretende di esercitare un possesso indiscusso, diventa,
immaginariamente, la terra feconda, incontaminata, di rinascite a venire.
Lo spazio
che si è aperto su Liberazione, interrogando uomini e donne sul
destino che li ha confusi e contrapposti, si spera che da piccolo rigagnolo
di riflessioni inedite diventi un fiume capace di dare nuova linfa alla
politica e di allargarne gli argini, prima che lo facciano distruttivamente
il mercato, le guerre o il fanatismo religioso.
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