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Liberazione
- 27 gennaio 2005
La
misoginia anche a sinistra
di
Lea Melandri
Il
dominio maschile, pur avendo alle spalle una storia millenaria, resta ancora oggi
un' "evidenza invisibile". Il fatto che il rapporto uomo-donna sia stato
posto in secoli vicini a noi come "questione femminile", e quindi come
emancipazione o difesa del "sesso debole" e "svantaggiato",
non sembra aver scalfito più di tanto la "neutralità"
dietro cui continua a celarsi il sesso che ha avuto in mano le sorti della specie
umana, sotto qualunque cielo. L'idea
che le donne appartengano a uno di quei gruppi sociali che, come direbbe Berlusconi,
"sono rimasti indietro", e vanno perciò aiutati, sollecitati,
responsabilizzati, è purtroppo più trasversale di quanto si creda
ai partiti e ai movimenti politici. Lo dimostra platealmente il fatto che non
c'è sinistra, moderata o radicale, che quando nomina le donne (ed è
già eccezionale che vengano nominate), non le collochi nel triste corteo
dei diseredati e dei bisognosi, vittime o parenti poveri verso cui indirizzare
la solidarietà , o tra quei nuovi "soggetti" che potrebbero,
come fecondo integratore di energie, ridare fiato a una politica diventata sempre
più sterile. Se negli anni '70 erano seconde solo agli studenti e ai disoccupati,
oggi la sequenza si è riempita di innumerevoli "miserie umane",
per cui è del tutto casuale se compaiono dopo i migranti, gli anziani,
i portatori di handicap. C'è anche chi, nominando la variegata composizione
delle "violenze", che uomini esercitano su altri uomini, ignora del
tutto le statistiche che riportano i dati crescenti della violenza sulle donne. Da
questo punto di vista, non hanno fatto eccezione le due assemblee, promosse a
Roma il 15 e il 16 gennaio 2005, dalla "sinistra radicale", dove gli
unici riferimenti nel merito di queste tematiche sono stati quelli di Lidia Menapace,
costretta penosamente a ricordare che "non c'è solo la contraddizione
capitale lavoro, ma anche uomo-donna", e di Rossana Rossanda che ha rimarcato
l'indisponibilità delle femministe a entrare attivamente in una politica
da loro considerata "maschile". Dell'
"autoesclusione" delle donne dalla scena politica si è parlato
anche alla trasmissione L'infedele (La7 sabato 22.1.05), ma in quel caso era il
politologo Panebianco a sostenere candidamente che le donne sono già contente
e realizzate nelle professioni, quasi che la loro "estraneità"
alla politica fosse un dato naturale. E' un miracolo che in questi tempi di spericolato
biologismo, insieme al "gene" della gelosia e della timidezza, non sia
stato ancora trovato quello che definisce le attitudini femminili. Nelle metafore
politiche correnti va di moda, da un po' di tempo, dire che "bisogna fare
un passo indietro", oppure, al contrario "uno avanti". Stando a
questa accreditata deambulazione, propongo allora di farne uno "a lato",
e di provare a uscire dall' insopportabile e inutile rimando tra esclusione e
autoestraniamento. L'intuizione
per cui il movimento delle donne degli anni '70 si può a ragione considerare
uno di quei rivolgimenti profondi della coscienza storica che accadono raramente
- come le "scoperte" di Marx sul rapporto capitale e lavoro, di Freud
sul rapporto inconscio e coscienza - è stata quella di spostare l'analisi
del sessismo dal versante sociale al terreno tradizionalmente più lontano
dalla politica: storia personale, corpo, sessualità. E' scavando in quelle
"acque insondate", che hanno continuato a scorrere minacciose sotto
la pòlis, che si è fatto evidente come l'estensione del dominio
maschile vada ben oltre la divisione sessuale del lavoro e il confinamento della
donna nella sfera domestica. Maschile è la visione del mondo - incorporata
sia nel "vissuto" del singolo che nei saperi, linguaggi e istituzioni
della vita pubblica - che ha definito che cosa è "maschile" e
"femminile", dettato gerarchie di potere e configurazioni simboliche.
La stessa
sorte - insignificanza storica ed esaltazione immaginativa - è toccata
a tutto ciò che col femminile è stato identificato: sessualità,
sentimenti, cura della vita, infanzia, dolore, morte, cioè esperienze essenziali
degli esseri umani che hanno subìto una "messa al bando", di
cui i linguaggi e le istituzioni sociali non potevano non portare il segno. In
primis, la politica che, posta al vertice del controllo e del dettato normativo
sulla vita, ha creduto di potersi spogliare del mondo caotico e imprevedibile
dell'esperienza soggettiva, mettendo confini tra pubblico e privato, tra il cittadino
e l'individuo, quelle barriere che oggi stanno cadendo sotto i colpi del mercato
e dell'industria dello spettacolo, ma anche di un processo di allargamento democratico,
di individualizzazione e di ripensamento del rapporto vita e politica. Come
disse Rossana Rossanda già più di venti anni fa (Le altre, Feltrinelli,
1989 ) la cultura delle donne non è "una miniera da cui attingere
per arricchire una civiltà che finora l'aveva ignorata", ma "una
critica vera, e perciò unilaterale, antagonista, negatrice della cultura
altra. Non la completa, la mette in causa. Non si tratta di allargare le maglie
della città". Questo
percorso all'indietro, questa rivisitazione di una storia segnata dal dominio,
ma anche dai sogni, dai desideri e dalle paure dell'uomo, dagli adattamenti e
dalle resistenze delle donne, è un compito che non può non impegnare
entrambi i sessi. Come nell'amore, l'incontro in una prospettiva nuova di impegno
politico, ha bisogno che ci si muova incontro, da una parte e dall'altra. E
qualcuno, rompendo un separatismo che sta diventando grottesco, ha cominciato
a farlo. In un articolo, pubblicato sull'ultimo numero della rivista "Pedagogika"
(n.6, dicembre 2004), Gli uomini, il desiderio e la crisi della politica, scrive
Marco Deriu: "Nell'arena politica si affacciano soggetti 'neutri' e razionali
che si attribuiscono il compito di dirigere o trasformare il mondo. Queste persone
immaginano probabilmente di trovarsi di fronte a un mondo esterno, una brutta
scenografia che esiste "là fuori" e su cui credono di poter intervenire,
cambiandola e modificandola in base ai propri giudizi e calcoli. Invano si cercherebbe
nei discorsi degli uomini politici uno sprazzo di consapevolezza riflessiva che
riconosca il legame tra sé e il mondo (n.s.), tra la propria esistenza
e l'esistenza di altri esseri
In altre parole quello che ci manca più
do ogni altra cosa non è un nuovo progetto politico, o una nuova formazione.
Ci manca invece una politica che sia il riflesso di un desiderio autentico e radicale
di vivere, di vivere insieme con gli altri. Da questo punto di vista, oltre al
dualismo tra privato e pubblico e all'opposizione tra sé e mondo, la politica
maschile si fonda su un'opposizione tra politica e passioni esistenziali". |