Numero
130 de Lo straniero Le
donne buone e quelle cattive di Silvia Ballestra
Ci si
aspettava gli attacchi da destra alla manifestazione Se non ora, quando?.
Ma non dalle cosiddette femministe storiche come Luisa Muraro e Maria Nadotti,
Laura Lepetit e Marina Terragni. Laccusa di bigottismo è infondata,
non bisogna temere che i giudizi vengano strumentalizzati. Cè quotidianamente
la possibiltà di scegliere che strada seguire. Non
poche donne sono rimaste amareggiate dalla presa di posizione di molte delle cosiddette
femministe storiche verso la manifestazione del 13 febbraio. Prima di tutte, probabilmente,
le organizzatrici delle piazze del Se non ora, quando?. E non perché
si volesse una sorta di benedizione-legittimazione da parte della vecchia guardia:
semplicemente, ci si aspettava di non essere attaccate. Se non aiutate (e il lavoro,
per portare in piazza e accogliere allegramente centinaia di migliaia di persone,
non è stato uno scherzo: tempo, contatti, energie, sottratti ai già
numerosi impegni di ciascuna), magari non boicottate. E, invece, nei giorni precedenti
la manifestazione, abbiamo assistito a un moltiplicarsi di distinguo, contrarietà,
sarcasmi, dispiaceri vari. In ordine sparso: il timore di andare «per
conto di qualcuno» espresso da Luisa Muraro, le pulci fatte allappello
per la mobilitazione da Maria Nadotti, gli scuotimenti di capo di fronte alle
sciarpe bianche di Laura Lepetit, il riposizionamento clamoroso (a manifestazione
avvenuta o un attimo prima) di Marina Terragni e vari altri distinguo ancora. Oltre
ai prevedibili attacchi provenienti da destra e dai fiancheggiatori del Sultano,
a sorpresa abbiamo visto riprendere gli stessi argomenti da donne apparentemente
distantissime da quella parte politica: laccusa di bigottismo, il timore
di essere strumentalizzate, la divisione buone/cattive, la difesa dufficio
della prostituzione sono stati spesi a piene mani sia dai Giuliani Ferrara &
Co., sia da molte femministe, in rete o interpellate da alcuni quotidiani. Vale
dunque la pena tornare a riflettere su questi malintesi per non prestarsi a essere
divise qui sì, donne contro donne da chi, in un momento di
grande debolezza, è alla ricerca disperata di appigli e crepe. L'accusa
di bigottismo: chiedere di avere unimmagine della donna in tv e pubblicità
meno ovvia e pecoreccia, meno disponibile e mercificata, meno guarda caso
conforme ai fumettistici desideri da grado zero di certo erotismo maschile,
significa essere bigotte? Chiedere di fare carriera per merito e non per favori
sessuali è bigottismo? Denunciare le scorciatoie offerte alle donne è
moralismo? O non è, piuttosto, autodifesa? Come mai i più giovani
il moralismo non ce lo vedono e capiscono al volo, invece, di cosa si parla quando
li si considera target, obiettivi di pubblicitari e autori di deleteri programmi
tv diretti proprio a loro in quanto consumatori? Dire che trasmissioni come La
pupa e il secchione fanno schifo e pietà sin dal titolo, significa essere
bigotti? Moralisti? O non, più semplicemente, stufi di mistificazioni autoritarie
e stucchevoli? Come ci ricorda saggiamente Bianca Beccalli sul Corriere, anche
negli anni settanta si combattevano la donna oggetto e la mercificazione del corpo:
le femministe bruciavano i reggiseni, attaccavano i negozi di biancheria
intima, non si depilavano. Pensiamo per un attimo a come sarebbero rubricate
oggi simili azioni: bacchettonismo molesto? Moralismo militante? O hanno ragione
le ragazze di via Olgettina quando commentano al telefono gli acquisti di biancheria
intima compiacendosi: «Più troie siamo più ci vuole bene»? Il
timore di strumentalizzazione: mi rendo conto che è seccante (è
successo anche a me, in questi anni) vedere argomenti e riflessioni a lungo snobbate
dai grandi media, riprese e sviluppate da chi non ti ha mai degnato dattenzione,
solo sullonda dello scandalo sessuale di Berlusconi. È questo un
buon motivo per impuntarsi, rinnegare le proprie battaglie sul tema, ritirarsi
sdegnate? O non sarà loccasione per usare proprio questa apertura
di spazi e attenzione per far passare assieme agli argomenti più
facili e scorrevoli e familiari ed evidenti (il velinismo, le candidature dopate)
anche argomenti più ostici e complicati (il precariato, la crisi
pagata dalle donne, gli attacchi allautodeterminazione)? A tratti sembra
che le femministe della vecchia guardia, chiamiamole così, si arrocchino
nella difesa di unegemonia ormai arrugginita, confinata in circoli e piccoli
cenacoli autoreferenziali che rinchiudono un grande dibattito in un piccolo ghetto
elitario e respingente. Le loro battaglie combattute da altre? I loro argomenti
rinfrescati e agitati? Sacrilegio! Una posizione un po «dopo di noi
il diluvio» che sembra oggi soltanto la rivendicazione di una primogenitura
(grazie, brave) insieme al timore di essere scavalcate (o noi o niente). La
divisione buone/cattive, altro argomento strumentalmente cavalcato dai giornali
del boss e da tante donne di destra. Insieme ad altre, sono stata accusata (io!)
di indire una crociata, una nuova «caccia alle streghe» per aver chiesto
le dimissioni di Nicole Minetti dal consiglio regionale della Lombardia. Da quando
chiedere le dimissioni di qualcuno equivale a dare la caccia alle streghe? Mi
si dice: dividete le donne in buone e cattive e questo non si fa. Sarà. Peccato
che personalmente passo la giornata a esercitare la mia libertà di giudizio
e scegliere i comportamenti che ritengo più consoni, coerenti, limpidi,
sia degli uomini che delle donne. Perché, solo per appartenenza di genere,
una donna dovrebbe essere esente da critica? Dove sta scritto? Chi lha deciso,
per me, in nome di una sorellanza purché sia, decisamente superata dagli
eventi? Perché dovremmo rassegnarci a vedere ridotti i nostri spazi
essendo lo spazio pubblico costantemente occupato da donne caricaturali sbattute
in heavy rotation in una televisione che non ha eguali nel resto dellOccidente
e non rivendicare, anche solo per un giorno, per una piazza, la visibilità
di donne alternative al modello di donna berlusconiana? Dire esisto anchio
e non sono quella roba lì significa attaccare altre donne? Mi tengo
la mia perplessità, e pure lidea che la signorina Minetti occupi
abusivamente una posizione di potere ben retribuita per i meriti che sappiamo. Quanto
alla prostituzione. Benissimo le riflessioni e le analisi dantan, ma qui
siamo di fronte a una diversa e ambigua interpretazione della prostituzione marcata
già dal termine: escort. Non si tratta delle ragazze di strada ostaggio
del racket, delle schiave del sesso, delle prostitute per necessità. Qui
abbiamo delle ragazze che non hanno voglia di tribolare per un lavoro più
difficile, per percorsi più accidentati, che si ripetono tra loro al telefono
che «un cristiano normale deve lavorare sei mesi per prendere quello che
ho preso io». Queste ragazze sono arrampicatrici sociali, molte di loro
si dichiarano berlusconiane dalla nascita (qualcuna da tre generazioni!), perfettamente
conseguenti alla ideologia del Capo a cui si consegnano anima e corpo, per la
maggior parte niente affatto indigenti, capaci di comprarsi coi soldi delle
ricche buste elargite dal ragionier Spinelli sino a venticinque paia di
scarpe in un pomeriggio. Dovremmo provare solidarietà? Considerarle vittime?
Ammirarle per il loro spirito imprenditoriale come ci invita, comicamente, a fare
qualche uomo liberista scopertosi improvvisamente estimatore delle fortune su
cui sedersi come Piero Ostellino, che di queste questioni è diventato lineffabile
macchietta liberale? Dobbiamo dispiacerci per le carriere stroncate dal coinvolgimento
nello scandalo? E di che carriere parliamo? Le solite. O nelle tv del Capo, o
nella tv pubblica controllata dal Capo, o nei listini bloccati del Capo (e con
stipendi da capogiro poi pagati dalle tasse di noi cittadini). Tutte queste
posizioni e sottili distinguo hanno naturalmente diritto di cittadinanza nel dibattito
vivace, e per fortuna infinito, sulla condizione della donna. Ma la loro concomitanza
con una grande manifestazione, il loro sapiente sfruttamento da parte della propaganda
del padrone le ha trasformate, nei fatti, in un elemento di rottura, in un attacco
frontale alle donne che sono invece scese in piazza, tante e volentieri, il 13
febbraio. Laccusa di farsi strumentalizzare è dunque
risibile: possibile che non si siano sentite strumentalizzate dai Belpietro e
dai Sallusti di turno le vecchie militanti, proprio loro così argute e
scafate? La richiesta di dignità, molto citata nella fortunata manifestazione
del 13 febbraio passa anche per la denuncia di comportamenti poco dignitosi, che
siano maschili o femminili. Streghe, qui, non ce ne sono, non cè
il bene e non cè il male, non cè il buono e non cè
il cattivo. Cè chi chiede dignità e chi se la vende per buste
di contanti. Mi pare semplice.
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