3 Ottobre 2001
 
L'arte che contesta

Week end d'arte e di riflessione a Siena, dove il Palazzo delle Papesse ha organizzato un convegno per rispondere a domande sempre più necessarie e urgenti, dopo il 20 e luglio a Genova dopo l'11 settembre a New York e a Washington: qual è l'impatto della globalizzazione sull'arte, l'architettura, la letteratura? Quale invece quello dei conflitti planetari e locali? Il linguaggio artistico. deve confrontarsi con la crescente conflittualità che sia attraversando pianeta? Deve continuare a creare immagini anche quando queste sono poi utilizzate in altri ambiti (la pubblicità, per esempio che ne snaturano la motivazione iniziale?
Il i titolo dell'incontro "io la contestazione la vedo così", tratto da uno scritto di Pino Pascali redatto nel 1968 dopo gli scontri avvenuti alla Biennale di Venezia, tra gli studenti e la polizia ? con il manifesto che riproduce il "no", su sfondo rosso di Mario Schifano del 1961 ?, vuole invitare i relatori ? artisti, architetti, storici dell'arte, filosofi, semiologi e uomini politici ? a tornare anche sugli avvenimenti del G8 di Genova, sulla protesta che aveva infiammato quei giorni, a quei manifestanti no global che ora (Scaloja e Berlusconi in testa) vogliono assimilare senza mezzi termini alle istanze fondamentaliste del terrorismo internazionale.
Fatti genovesi ripercorsi ampiamente nelle immagini di cui si compone la mostra allestita nel Palazzo delle Papesse ("Cronache d'arte e di guerriglia.", sabato e domenica scorsi) che in tal modo si apre, primo museo in. Europa, a fatti che hanno cambiato in qualche modo la nostra società intrecciandosi necessariamente con la produzione artistica contemporanea: il centro di cultura senese continua a dimostrare un'attenzione particolare ai cambiamenti in atto nel sociale, testimoniato anche dalle esposizioni precedenti come quella dedicata all'arte israeliana e palestinese oppure quella, recentissima, dedicata al "Dono".
Si poteva così rivedere lo straordinario montaggio di Blob a Genova firmato da Enrico Grezzi, che per quattro giorni ha seguito da vicino pestaggi, fughe, lanci di pietre e lacrimogeni, attacchi del Blocco nero e gesti di pace intervallati sapientemente con le firme patinate degli otto grandi, i sorrisi, la valanga insensata di quiz e balletti televisivi, continue incursioni in classici indimenticabili.Seguire poi la cronaca con le fotografie di Lorenzo Maffei, il video e i documenti di Mario Lupano oppure la storia con la mappa dei conflitti planetari delineata da Bernardo Giorni e Gregorio Galli con l'aiuto di post-it gialli, che questa volta indicavano non appuntamenti ma date, cifre, paesi. Quindi allontanarsi dai fatti con l'installazione di Armin Linke che voleva piuttosto evocare in termini spaziali, l'occupazione della, dimensione urbana da parte del potere, mediatico e politico.
Con le parole invece i numerosi relatori, da Sergio Givone a Enrico Ghezzi, da Luciano Fabro a Maurizio Maggiani, da Fausto Bertinotti ad Achille Bonito Oliva ? che ha mandato un suo lungo video?messaggio perché impegnato altrove ?, da Massimiliano Fucksas - che come intervento ha presentato il video Magma City, immagini di un mondo tagliato tra opulenza e povertà, grattacieli e discariche ? a Omar Calabrese, hanno provato ad aggiornare la mappa artistica e culturale alla prova dei cambiamenti repentini e drammatici che stanno segnando il nostro presente.
Interventi che di volta in volta hanno preso accenti nichilisti, filosofici, politici oppure storico-artistici, creando un mosaico di estremo interesse. Lo scrittore Tiziano Scar pa, per esempio, ha esordito citando Matrix, "Benvenuti nel deserto del reale", per teorízzare la morte della fiction, decretata dall'utilizzo sorprendentemente mediatico delle immagini ? le Twin Tower ferite a morte dagli aerei ? da parte degli attentatori. Mentre Sergio Givone, che ha offerto notevoli spunti di riflessione, ha guardato alla violenza non come a una condizione originaria, naturale, astorica, propria dell'essere umano, quanto piuttosto come a un fatto culturale. E quindi attinente alla rappresentazione. In qualsiasi atto di violenza c'è comunque un messaggio che si vuole inviare e che dunque rimanda ad un'altra possibilità. Mentre l'arte da parte sua, sempre secondo Givone, di fronte alla violenza e alla guerra deve riuscire a non cadere nella tentazione dell'estetismo, di "rappresentare la rappresentazione". Compito auspicato per il linguaggio artistico è dunque l'espressione di ciò che non è dicibile, l'inesprimibile, come il lutto e la rnorte nella tragedia greca. Oppure di essere "ciò che mi basta nel dolore, nel piacere, nella noia,nell'adulazione nell'amore, nell'odio, nel sospetto, nell'inefficacia... in tutto ciò che man man provo", come ha detto in modo incisivo Luciano Fabro.
Ma si delinea anche un'arte contemporanea, come sottolineava Sergio Risaliti, direttore del Palazzo delle Papesse, "ritornata a quella preoccupazione per l'esistente che l'ha caratterizzata per tutto il '900". Nel mondo della globalizzazione il linguaggio di molte pratiche artistiche, infatti, è direttamente impegnato in una "interferenza culturale" ad ampio raggio che ha spesso anticipato quello che Fausto Bertinotti nel suo intervento ha definito "Il primo vero movimento di rottura rispetto al Novecento".
"Movimento dei movimenti" che ha superato i limiti e le pratiche del conflitto sociale che ha caratterizzato il secolo appena trascorso. Così, sin dall'inizio degli anni Novanta, molti gruppi di artisti attvisti hanno messo in atto strategie di disturbo ai danni dei codici mediatici e politici: performance, installazioni e azioni finalizzate non soltanto all'immaginazione di un altro mondo possibile, ma anche alla sua costruzione. Compito tanto più difficile e urgente dopo l'implosione drammaticamente spettacolare dell'11 settembre, l'attacco ? come ha detto Enrico Ghezzi ? "all'immagine culmine della storia dell'umanità".