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il manifesto
- 5 ottobre 2004
Se
Simona non fa rima con vittima
di Ida Dominijanni
«Sono
donne e dovrebbero stare zitte. Sono pacifiste e dovrebbero vergognarsi.
Sono vive e avrebbero dovuto tornare solo come salme per una bella cerimonia
di unità nazionale, come prova evidente che la guerra di civiltà
è scoppiata davvero». Non c'è molto da aggiungere
alle parole con cui il direttore dell'Unità Furio Colombo ha commentato
domenica il linciaggio a cui Simona Pari e Simona Torretta sono state
sottoposte sui giornali della destra (codiuvati, sia pure con toni più
moderati, da alcune firme dei grandi giornali indipendenti) per avere
osato sostenere, dopo il loro rilascio, che l'invasione dell'Iraq deve
cessare, che le truppe willing vanno ritirate, che i sequestratori le
hanno trattate con rispetto; per avere osato affermare che vogliono tornare
ancora in Iraq; per avere osato ringraziare, oltre al governo, l'opposizione
e le manifestazioni pacifiste. Il linciaggio, da cui lo stesso Silvio
Berlusconi ha sentito il bisogno di prendere a un certo punto le distanze,
ha avuto nei giorni scorsi - e ancora ieri, nell'editoriale del Tempo
- toni di una volgarità insopportabile, di quella che di tanto
in tanto spunta dalle viscere dell'Italia in transizione e dovrebbe farci
interrogare sull'inciviltà che abita le nostre democrazie prima
che sullo scontro di civiltà fra Occidente e Islam. Frasi come
«se vogliono tornare in Iraq rispediamocele con due calci nel sedere»,
«la prossima volta si paghino da sole il ricatto», «tacciano
e intanto ritiriamogli il passaporto» non depongono a favore né
di chi le pronuncia né della sfera pubblica in cui circolano. Sono
diventate pronunciabili nella sfera pubblica italiana anche o in primo
luogo perché erano indirizzate a due donne? Credo di sì
e non lo dico per alimentare il vittimismo femminile ma in senso esattamente
contrario: tanta foga si è scatenata proprio perché le due
Simone hanno smentito lo stereotipo della donna vittima. Se fossero state
vittime e basta, vittime e morte, vittime e perse, vittime e vinte, vittime
e piegate, vittime e stuprate, chiunque, compresi i direttori di Libero,
del Giornale e della Padania nonché gli zelanti deputati leghisti
che ne hanno seguito i suggerimenti, le avrebbero invece piante e compiante,
commiserate e santificate. Ma così non è stato. Molti lati
restano e resteranno oscuri del loro sequestro e del loro rilascio, motivi
e modalità, ma un punto è chiaro ed è che le prime
ad aver creato le condizioni per la propria liberazione sono state loro
stesse, Simona e Simona: parlando con i sequestratori in una lingua che
li ha saputi raggiungere, convincendoli che avevano preso un abbaglio,
posizionandosi politicamente laddove stavano e stanno, cioè con
e non contro la popolazione irachena. Il primo spazio di trattativa, senza
nulla togliere a Berlusconi Frattini e Letta e Scelli, lo devono a se
stesse, alla pratica politica che a Baghdad avevano costruito e all'esperienza
e alla conoscenza dell'altro che avevano accumulato. Due donne libere,
non due donne vittime. Due donne che fanno politica in prima persona,
non o non solo due donne posta in gioco della politica istituzionale.
Due donne amiche, non due donne in competizione fra loro. E' quanto basta
per spiazzare tutti gli stereotipi che mezza Italia del terzo millennio
- e non solo, ci si può giurare, il suo lato destro - non solo
mantiene nelle sue viscere ma alimenta e rinverdisce.
Si aggiunge
a questo la loro resistenza a diventare, come ha osservato Ilvo Diamanti
su Repubblica, l'icona vivente dell'unità nazionale sperimentata
durante il loro sequestro. Ma qui siamo già nel regno della ragion
politica; l'essenziale viene prima, su quel piano prepolitico, o forse
postpolitico, su cui tutto l'essenziale della guerra in Iraq si sta giocando
mettendo in scacco la ragion politica. Lo spiazzamento dei ruoli sessuali
- in questo caso come in altri, compreso quello dolente e di segno opposto
delle torturatrici di Abu Ghraib - continua a essere un segmento decisivo
di questa guerra, combattuto senza esclusione di colpi.
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