Libreria delle donne di Milano

Dal Manifesto 6 Novembre 2002

POESIA
Nella lingua materna
Radici in rima Si intitola «La poesia tra lingua materna e lingua straniera» il convegno promosso dal dipartimento di filologia dell'università di Siena. Da domani a venerdì
ANTONIO PRETE
Il mercato, che sembra unificare il mondo sotto le sue leggi, di fatto crea divisioni: le guerre, come si vede nelle recenti azioni e minacce, sono tutt'uno con la prepotente strategia del mercato. La lingua, che, nella pluralità disseminata delle sue forme, sembra dividere e separare il mondo e le culture, di fatto, attraverso la traduzione, apre varchi, mette in rapporto popoli lontani ed estranei. Si traduce perché si vuole rendere familiare lo straniero, rispettando la sua fisionomia, il suo timbro, la sua cultura. Ogni traduzione, infatti, mette in relazione due lingue, preservando l'identità dell'una e dell'altra. Per questo la babele delle lingue, interpretata tante volte come una condanna, non è affatto una maledizione, una caduta al di fuori dell'unica comprensiva lingua: è anzi, specialmente oggi, l'occasione perché quel che è diverso possa essere conservato nella ricchezza della sua diversità. Nell'epoca della globalizzazione, il rapporto tra le lingue è un banco di prova - e anche una grande metafora - del rapporto tra le culture. Comunicare restando diversi, ascoltare l'altro senza rinunciare alla propria pronuncia, essere radicati in una tradizione senza fare di questo un elemento di separatezza o di esclusione o di sopraffazione: il rapporto tra le lingue - la compresenza attiva di moltissime lingue - dimostra che è possibile tendere alla comprensione salvando la differenza.

E' triste registrare che nella nostra epoca, come muoiono specie animali e vegetali, così anche molte lingue si estinguono o sono condannate alla sparizione. Per ogni lingua che muore è una cultura, una memoria, a essere abolita. Un universo di suoni e saperi si dilegua. Preservare, allora, le specie linguistiche - nonostante le migrazioni, le egemonie mercantili, le colonizzazioni mascherate - dovrebbe essere il primo compito di un'ecologia della cultura e del sapere.

L'idea di una lingua unica perduta è solo un sogno: «un frivolo sogno» lo definiva già Leopardi nello Zibaldone. E anche l'idea che sia necessaria una lingua unica che permetta a tutti di intendersi immediatamente, non riesce a nascondere il disegno egemonico: disegno che è in particolare d'ordine mercantile. Sia l'imposizione di una lingua sulle altre, sia il malriuscito progetto di una lingua convenzionale e artificiale vorrebbero abolire la lontananza togliendo a essa la sua profondità. Vorrebbero togliere alla diversità la sua stessa radice, e ridurre così la ricchezza del confronto e dello scambio.

Le lingue imposte via via dai colonizzatori hanno sbaragliato e mortificato e distrutto le forme e l'energia inventiva delle lingue locali. Il controllo politico, le ragioni di mercato, i progetti di assimilazione hanno sacrificato tradizioni e culture, suoni e nomi, relazioni profonde tra il sentire e il dire. E tuttavia è più volte accaduto che quelle culture vinte abbiano attraversato le lingue egemoni irrorandole di nuova linfa creativa: è quel che è accaduto meravigliosamente nelle letterature ibero-americane, è quel che accade oggi nelle letterature africane di lingua portoghese, inglese o francese, o nella letteratura nordamericana e in quella inglese. Inoltre le migrazioni hanno dappertutto esportato saperi, confrontato stili di vita e di pensiero, contaminato linguaggi e sogni e memorie. Molti poeti e scrittori del `900 appartengono a una storia di migrazione tra le lingue: da Canetti a Celan, da Nabokov a Brodskij, da Singer a Rushdie, da Gombrowitz a Naipaul.

Tra le diverse forme di scrittura, la poesia - per via del suo rapporto intimo e assoluto con il linguaggio - vive l'intero ventaglio delle questioni fin qui accennate. La prima lingua della poesia è la lingua materna, il dantesco «parlar materno». Una lingua abitata anzitutto dai silenzi che stanno all'ombra delle sillabe e nel cuore stesso delle vocali. Una lingua abitata da una voce: segreta tessitura che resisterà, sotto ogni futura pronuncia del poeta, come risonanza di un timbro, di una presenza. Hölderlin, a proposito della formazione del poeta, ricordava questa muta pedagogia materna. La lingua materna è, per l'in-fante, soprattutto lingua di vocali: dunque aerea, leggera, impalpabile. E le vocali sono per il poeta l'anima della lingua. Sono il nesso tra la lingua e il canto. Tra la poesia e il vento.

L'elemento materno per il poeta è anche la terra. La terra considerata nel suo cerchio di necessità e bellezza: situarsi in questo cerchio, con lo sguardo e la passione di chi vuole conoscere e preservare, e non offendere o distruggere, è stato da sempre uno dei compiti della poesia. Nella lingua della poesia coesistono, dunque, la lingua materna - corporale, vocalica, leggera- e la lingua che il poeta ha scelto per la sua scrittura. Questa lingua scelta è sempre in certo senso straniera, anche quando essa è la lingua del proprio paese: è straniera in quanto altra dalla lingua materna. Per alcuni poeti, tuttavia, questa lingua è straniera in senso stretto: l'esilio, la migrazione, il dominio coloniale o mercantile, o qualche volta una scelta personale dislocano il poeta fuori dalla lingua della propria comunità d'appartenenza.

Ma tutti i lettori di poesia sanno che c'è qualcosa che trascorre sotto la lingua dei versi, al di là della sua pronuncia e delle sue parole linguisticamente definite. C'è qualcosa che trascorre sotto la molteplicità delle lingue. Ed è questa sostanza nascosta sotto la lingua - senso e insieme oltresenso, musica e ritmo - che permette alla traduzione, quando riesca a essere una buona traduzione, di sperimentare una sorprendente e miracolosa contraddizione: togliere al poeta quello che ha di più proprio, cioè la sua lingua, e tuttavia riuscire a preservare l'energia e il timbro e la singolarità della sua poesia. Quel che qui si dice della poesia, certo, è in gran parte estensibile ad altre forme del fare letterario, come la narrazione e il teatro. Ma nella poesia questo movimento tra le lingue e questa sostanza che sottende ogni lingua appaiono in tutte le implicazioni - estetiche e antropologiche - e in modo trasparente.