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il manifesto
- 07 febbraio 2006
Infermiere
importate e vendute a pacchetti
Manuela Cartosio
"Ci
sono in giro più importatori d'infermieri nel Nord Italia che scafisti
nel canale d'Otranto e di Sicilia". La citazione, presa dal forum
www.nursesarea.it, è un buon attacco per parlare del boom degli
infermieri stranieri al lavoro in Italia. Il boom è stato innescato
dalla penuria di infermieri professionali autoctoni: le università
ne sfornano 6 mila l'anno, la metà di quanti ne servono per coprire
il turn over fisiologico. E' stato reso possibile da corsie preferenziali
- ingressi "fuori quota" e rapido riconoscimento dei titoli
- a riprova che quando gli immigrati ci servono diventiamo tanto buoni
e persino la Bossi-Fini allarga le maglie. Last but not least, è
stato incentivato dai processi di privatizzazione e di esternalizzazione
in atto in una sanità pubblica sempre più aziendalizzata,
dalla corsa al minor costo del lavoro possibile. L'ultimo fattore, combinato
con il blocco delle assunzioni e la discriminazione istituzionale (senza
la cittadinanza italiana non si entra nei ruoli della pubblica amministrazione),
ha consegnato il reclutamento e l'importazione di infermieri (in prevalenza
donne) alle mani rapaci di agenzie e cooperative. Con gli abusi, le vessazioni,
i ricatti che ne conseguono, agevolati dal divieto per chi è importato
da una cooperativa di cambiare padrone una volta arrivato in Italia. Il
divieto è caduto un anno fa, ma gli "scafisti" hanno
tutto l'interesse che rumene, polacche, moldave non lo sappiano.
Il reclutatore
ciociaro
Nel panorama
della lucrosa attività spicca Luca Giovannone, psicologo ciociaro,
amico di Storace, mancato presidente del Toro (inteso come squadra di
calcio), titolare della cooperativa "Vita serena" che recluta
nei paesi dell'Est il personale da impiegare negli appalti vinti in mezza
Italia. Il personaggio attira l'attenzione delle cronache per ragioni
non solo pittoresche. A Prato e a Parma "Vita serena" è
incorsa in "piccoli incidenti di percorso" (la definizione è
di Giovannone) che le sono costate la revoca degli appalti. Il 12 dicembre
a Torino l'infermiere Abdel Rahim Belgaid, entrato nella sede di "Vita
serena" per reclamare pagamenti arretrati, ne è uscito con
la spina dorsale fratturata: passerà il resto della vita su una
sedia a rotelle. "Voleva aggredirmi, ha perso l'equilibrio e ha battuto
sullo spigolo di un tavolo", sostiene Michele Arcuri, responsabile
della cooperativa a Torino. Versione talmente incredibile che persino
lo spregiudicato Giovannone è stato costretto a esonerare Arcuri
dall'incarico.
Un'accurata
ricerca dell'Ires Cgil sugli infermieri stranieri - realizzata da Maria
Adriana Bernardotti per il IV Rapporto sull'immigrazione che sarà
diffuso al congresso nazionale - ha il merito di fare il punto sul fenomeno
e il coraggio di spostare l'asse visuale. Al centro non ci sono le malefatte
dei boss delle cooperative, ma il difficile rapporto tra infermieri italiani
e stranieri e l'inadeguatezza del sindacato di fronte alla novità.
Si stima
che gli infermieri professionali "non nati in Italia" siano
20 mila. Pochi rispetto ai 326 mila autoctoni, costituiscono però
il 10% degli iscritti all'albo professionale Ipasvi (Infermieri professionali,
assistenti sanitari, vigilatrici d'infanzia). All'albo di Modena, dove
funziona un Help center a cui si rivolgono gli ospedali in cerca di infermieri,
gli iscritti stranieri sono addirittura il 32%. La grossa fetta di donne
tra gli stranieri supera la già alta percentuale femminile (80%)
di casa nostra: dove c'è lavoro di cura, lì ci sono le donne.
Le infermiere straniere sono l'estensione relativamente "privilegiata"
della badanti, il mestiere in assoluto più segregato in Italia.
Il differenziale salariale tra infermieri stranieri ed italiani è
almeno del 25%, il gap dei diritti è ancor più ampio. L'obiettivo
di "far più soldi possibile" prima di tornare in patria
incentiva l'autosfruttamento. La disponibilità a fare più
turni, la scarsa conoscenza dell'italiano, la bassa o diversa professionalità
degli stranieri scatena nei "colleghi" italiani insofferenza
e rifiuto. Nelle interviste fatte sul campo da Maria Adriana Bernardotti
suona più volte il ritornello "Non siamo razzisti, però...".
Però questi abbassano il nostro potere contrattuale e, seppur inconsapevolmente,
agiscono come quinta colonna della privatizzazione della sanità.
Ce n'è
abbastanza per far dire ad Agostino Megale, presidente dell'Ires, che
"siamo forse in presenza del primo caso in cui ci sono le condizioni
oggettive per l'emergere di atteggiamenti potenzialmente ostili o di comportamenti
di chiusura verso la minoranza straniera a difesa di privilegi della maggioranza".
Nelle corsie di ospedali e case di riposo si sfiorano "due mondi
estranei". Toccherebbe al sindacato metterli in comunicazione. Invece,
resta "paralizzato", condizionato "dal clima di diffidenza".
Una fabbrica
di schiavetti
Chiusura
corporativa? Michele Piccoli, ex presidente del collegio Ipasvi di Torino,
si è giocato la rielezione perché troppo poco corporativo.
Eppure ritiene "inevitabile" una reazione corporativa "finché
gli infermieri stranieri saranno comprati e venduti a pacchetti".
Pensa che gli italiani proteggano se stessi e, nello stesso tempo, i pazienti.
"Che qualità può garantire chi non sa una parola d'italiano
e al suo paese usa ancora la siringa con l'ago di ferro?". Degli
infermieri stranieri abbiamo bisogno. Su questo non ci piove. "Facciamoli
venire in un modo degno e solidale, formiamoli alla professione e anche
alla difesa dei loro diritti. Una volta rientrati nei loro paesi, sarebbero
dei formidabili veicoli di democrazia. Invece, i paesi dell'Est noi li
rapiniamo. In più, appaltiamo la nostra sanità a degli Al
Capone che hanno scoperto l'America con l'intermediazione di manodopera.
All'università di Torino il 10% degli iscritti al corso di scienze
infermieristiche non ha la cittadinanza italiana. A spese dello Stato
prepariamo schiavetti per Giovannone e simili. E' pazzesco". Abbattere
il muro della cittadinanza, secondo il dottor Piccoli, è un obiettivo
giusto ma, visti i tempi, non realistico. Lo si può aggirare imponendo
alle Asl d'assumere gli infermieri stranieri con contratti di diritto
privato a tempo determinato.
Ma il
sindacato che dice?
Fatti due
conti, è chiaro perché le Asl non aderiscano alla proposta.
Un'ora di lavoro di un infermiere in ruolo costa all'Asl 40 euro. Un'ora
"appaltata" a una cooperativa costa 28 euro (in tasca all'infermiera
rumena ne finisco meno di 10). Le cifre sono queste, ammette Piccoli,
"però un manager pubblico non può usare solo il pallottoliere.
Il costo del lavoro incorpora la dignità. E' intollerabile che
un direttore sanitario, per più donna, dica che preferisce le rumene
perché non mi restano incinte. Restano incinte, e poi sono costrette
ad abortire".
Qualche segnale
fa sperare che il sindacato stia uscendo dalla "paralisi". In
Piemonte, il tragico caso di Abdel Rahim Belgaid ha indotto la Regione
a sottoscrivere un protocollo d'intesa con i sindacati confederali. Si
impegna a ricondurre nelle regole del contratto nazionale di categoria
tutti i rapporti di lavoro "impropri" (scrivere "illegali"
sarebbe stato ammettere che la Regione è corresponsabile di intermediazione
di manodopera). "Spingeremo perché gli infermieri stranieri
vengano assunti con contrattati a tempo determinato rinnovabili",
dice Rossano Gambino, della Cgil Funzione pubblica piemontese. A Brescia,
su segnalazione dell'Ipasvi e con la fattiva collaborazione dell'Ufficio
del lavoro, il sindacato è riuscito a far uscire dalla "schiavitù"
una novantina di rumene ingaggiate dalla Mastercoop per conto di tre cliniche
private: stesso contratto dei colleghi italiani, stessi incentivi e, soprattutto,
documenti e titoli in mano alla lavoratrice o depositati all'Ipasvi (il
sequestro dei documenti è l'arma di ricatto più potente
in mano alle cooperative). A Reggio Emilia nella sanità pubblica
gli infermieri stranieri sono pochi ed entrano solo attraverso le agenzie
di somministrazione (ex interinali) che non regalano niente ma sono meno
peggio delle cooperative.
Secondo Il
Sole 24 Ore il mercato degli infermieri stranieri in Italia vale 300 milioni
di euro l'anno. Il grosso se lo spartiscono con "Vita serena"
le cooperative O.S.A e KCS Caregiver. Obiettivo lavoro, agenzia di Legacoop
e Compagnia delle opere, ha collocato 300 infermieri reperiti all'estero.
L'importarzione di infermieri e la controversa interpretazione di un articolo
della legge Biagi ha accentuato il contenzioso tra le agenzie ex interinali
e le cooperative. Queste ultime, pur prendendo formalmente in appalto
"servizi infermieristici", di fatto si limitano a fornire infermieri.
Usano strutture e materiali non di loro proprietà e non corrono
alcun rischio d'impresa. Di qui l'accusa non infondanta di concorrenza
sleale da parte delle agenzie di somministrazione di personale. I loro
ricorsi al Tar, finora, hanno visto prevalere le cooperative.
Le Molinette
di Torino probabilmente è l'ospedale a più alta densità
d'infermieri "non nati in Italia". Al San Raffaele di Milano,
casa madre dell'impero di don Verzé, sono il 10%: abbiamo bussato
per saperne di più, ma non ci hanno aperto.
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