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il manifesto
- 8 novembre 2005
Per chi
brucia Parigi
IDA DOMINIJANNI
Parigi brucia
e c'è poco da fare gli scongiuri contro la facile profezia di Romano
Prodi, quei roghi di periferia lampeggiano per tutti noi abitatori del
centro storico dell'occidente. Noi, i nativi. Gli assimilatori. Gli universalisti.
I dispensatori di promesse di emancipazione e uguaglianza e di certificati
di residenza e di cittadinanza. Tre generazioni sono bastate perché
quelle promesse entrassero nel discredito. Promesse mancate, e di più,
promesse in origine falsate. Non è questione solo dello scarto,
che oggi molti sottolineano, fra il miraggio dell'uguaglianza e la realtà
della discriminazione, nei redditi, nel lavoro, nelle condizioni di vita,
nella qualità dell'ambiente urbano. Jack Lang ha certamente le
sue fondatissime ragioni quando punta l'indice contro la politica "antisociale"
di Chirac e contro "la violenza di stato, il disprezzo, l'abbandono,
l'insulto verso i deboli" che ha caratterizzato il governo antiegualitario
della destra. Ma non è solo questo il punto. Quel governo antisociale
e antiegualitario è lo stesso che con la legge sul velo aveva voluto
lanciare viceversa un estremo segnale ugualitario, in linea con la tradizione
integrazionista della Republique francese. Quel segnale non solo non ha
convinto i suoi destinatari, ma sembra ora rimbalzare come un boomerang
sui suoi mittenti.
Non avevamo
torto a vedere nella vicenda della legge sul velo e nella filosofia che
la sosteneva il sintomo eloquente di una situazione esplosiva. Ribadire
il progetto dell'integrazione non serve quando esso rivela la sua vocazione
più assimilazionista che egualitaria, in una società differenziata
che certo domanda più uguaglianza, ma non sopporta più assimilazione.
Quelle ragazze che portano il velo, figlie di madri che per diventare
brave cittadine francesi l'avevano dismesso, non sono - o non sempre -
il segno di una regressione patriarcale: sono - talvolta - il segno di
una diversità rivendicata, e perfino reinventata, contro la parola
d'ordine dell'integrazionea ssimilatrice. Diventare come noi non è
il loro progetto. La cittadinanza occidentale non ha solo mancato le sue
promesse: ha perduto il suo fascino. Il paragone con quanto sta accadendo
adesso nelle banlieu non sembri azzardato, anche se i casseurs bruciano
e distruggono e le ragazze velate no. Al fondo, c'è il nodo di
emarginazioni frustrate dalla mancata promessa di uguaglianza, e di diversità
culturali rivendicate contro le pretese di assimilazione.
Parigi brucia
e il modello integrazionista anche. La barriera ideologica che la commissione
Stasi, motivando la legge contro il velo, aveva cercato di innalzare contro
il rischio che il comunitarismo multiculturale angloamericano contaminasse
lo spirito della Repubblique e ne minasse le fondamenta universalistiche
non ha retto. Ma nemmeno il comunitarismo ha retto nel frattempo, franando
prima in Olanda con gli omicidi di Fortuyn e Van Gogh, poi in Gran Bretagna
con gli attentatori nati e cresciuti nei sobborghi di Londra. Non era
vero quello che solo pochi anni fa l'ottimismo europeista sosteneva, che
il vecchio continente fosse dotato di anticorpi sicuri per far fronte
all'asprezza dei conflitti delle società globali. Il vecchio continente
mostra oggi solo la vecchiezza esausta dei modelli della politica moderna.
All'universalismo possiamo ottimisticamente pensare che serva solo una
energica cura ricostituente. Quello che è certo è che intanto
gli serve un bagno di umiltà, una immersione senza sconti nelle
faglie che ha aperto, nelle barriere di incomprensione che ha prodotto,
nelle discriminazioni che moltiplica. E' facile giudicare il rogo di una
macchina una violenza distruttiva fine a se stessa. Più difficile
è sapervi leggere il gesto estremo che prende il posto del linguaggio
quando la grammatica e la sintassi universaliste non funzionano più.
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