| Manifesto
10 dicembre 2009
"Rossa"
OSTROM di Vincenzo Lauriola Oggi
a Oslo sarà consegnato il Nobel per l'economia per la prima volta ad una
donna, Elinor Ostrom, l'economista eterodossa che si batte per la difesa dei "beni
comuni", naturali e collettivi Il 12 Ottobre 2009 per la prima volta nella
storia una donna, la statunitense Elinor Ostrom dell'Università dell'Indiana,
nata nel 1933 a Los Angeles, è stata insignita del premio Nobel per l'Economia.
Il premio condiviso col connazionale Oliver Williamson - che sarò consegnato
oggi a Oslo -, è stato motivato dai loro lavori sulla governance economica.
A differenza del co-premiato Williamson, padre dell'economia neo-istituzionalista,
il quale pur adottando un approccio originale dell'impresa, fondato sull'analisi
dei costi di transazione, non si sgancia radicalmente dalla matrice neoclassica
"ortodossa", Ostrom ha seguito un itinerario atipico, spiccatamente
interdisciplinare, ed alimentato da ricerche empiriche, evidenziando gli aspetti
"comunitari" del comportamento umano, contrapponendosi nettamente ai
modelli ortodossi dell'homo oeconomicus. Il principale apporto di Ostrom è
una lettura dei meccanismi che governano l'uso di beni comuni come laghi, pascoli,
boschi, ed in generale risorse ambientali difficilmente suddivisibili (per ragioni
tecniche, giuridiche o ecologiche) e per le quali esiste rivalità d'accesso.
Un'analisi che possiede portata più ampia e generale, estendendosi ben
al di là delle risorse naturali. La stragrande maggioranza degli approcci
dell'economia dominante, compresa l'economia ambientale, d'ispirazione neoclassica,
affrontano il tema sulla base di tre modelli paradigmatici fondamentali e complementari:
la "tragedy of the commons", o tragedia dei (beni) comuni, formulato
nel 1965 da Garrett Hardin; il dilemma del prigioniero in teoria dei giochi; e
l'approccio di Ronald Coase sui diritti di proprietà. Hardin dimostra come,
di fronte ad un pascolo aperto a tutti, ogni pastore segue razionalmente una logica
del profitto individuale che, aggregata collettivamente, conduce tragicamente
all'esaurimento della risorsa comune. Il dilemma del prigioniero rafforza le premesse
di razionalità individuale dei comportamenti non cooperativi: di fronte
alla scelta di tradire o cooperare, in assenza di comunicazione, il prigioniero
razionale non può che tradire, mentre collettivamente sarebbe meglio cooperare.
Le possibili soluzioni prospettate da Hardin per la gestione (sostenibile, si
direbbe oggi) del pascolo, sono due: o interviene lo Stato o si privatizza. Coase,
dimostrando l'efficienza della soluzione di mercato mediante definizione di diritti
di proprietà privata ed in assenza di costi di transazione, fa pendere
la bilancia a favore della privatizzazione. Ostrom analizza e contesta alla
radice tale impianto, evidenziandone le falle metodologiche e dimostrandone deboli
le conclusioni. Uno dei suoi meriti principali, sicuramente alla base del riconoscimento
del Nobel, è che la sua critica è mossa dall'interno del paradigma
dominante, utilizzandone strumenti e metodi in maniera rigorosa, per giungere
a risultati opposti. La prima critica al modello di Hardin è che, in
realtà, ciò che lui definisce "commons" non sono risorse
comuni, bensì risorse in libero accesso. Non è una differenza di
poco conto: nella realtà, per risorse importanti, i "commons"
sono spazi e risorse naturali collettive, appropriate e gestite da un gruppo definito,
secondo modalità e norme definite, che in generale, storicamente e geograficamente,
sono la regola, mentre il libero accesso rappresenta l'eccezione. E ciò
nonostante il processo storico di espansione delle recinzioni, in atto sin dall'inizio
della rivoluzione industriale. Come brillantemente descritto da Marx nel Capitale,
i commons, terre non recintate, dalla destinazione compatibile con l'esercizio
di diritti d'uso consuetudinari da parte delle popolazioni locali, che ne consentivano
la sopravvivenza, sono stati espropriati dalle enclosures (recinzioni), meccanismo
che, nell'Inghilterra del XVII secolo, diede inizio all'accumulazione primitiva
del capitale, creando ricchezza privata sulla sottrazione di diritti alle popolazioni
rurali locali, permettendo la sostituzione di un sistema di produzione locale
e diversificato, fatto di produzioni locali di sussistenza ed esportazione di
lana tessuta artigianalmente a domicilio, rimpiazzato dalla monocultura capitalistica
della lana (pascolo per l'allevamento delle pecore), per fornire alle industrie
tessili urbane non solo la materia prima, ma anche masse di contadini espulsi
dalle terre comunali recintate, l'esercito industriale di riserva di cui il capitale
aveva bisogno per espandersi. Se le critiche dei materialisti storici non diedero
molta attenzione ai danni sociali ed alle devastazioni ambientali prodotte dalla
distruzione delle proprietà comuni, forse in parte perché considerate
forme primitive di organizzazione della società, Ostrom ha il merito di
richiamare l'attenzione su questo dato che, nella crisi ambientale globale, mostra
oggi tutta la sua rilevanza. In sintesi, la tragedia di Hardin è una
tragedia del libero accesso: se in assenza di regole le previsioni tragiche del
modello sono corrette, la "proprietà comune" rappresenta in realtà
una delle possibili risposte alla tragedia, le soluzioni della quale non si limitano
a Stato e/o mercato: esiste una "terza via", le cui possibili forme
concrete sono molteplici e diverse, ma che gli studi empirici in tutto il mondo,
evidenziando l'esistenza di istituzioni collettive spesso millenari che gestiscono
con sorprendente efficienza e sostenibilità sistemi e risorse ambientali
estremamente complessi, ci impongono di analizzare e comprendere a fondo. In tale
prospettiva, durante gli ultimi 3 decenni, Ostrom dimostra il ruolo fondamentale
della diversità istituzionale - e quindi socioculturale, non solo biologica
- per rafforzare la resilienza dei sistemi socio-ambientali per la sostenibilità,
sviluppando ed ispirando non solo una molteplicità di studi empirici sui
sistemi locali di gestione delle risorse comuni, ma anche studi sperimentali sul
comportamento umano, modellando situazioni di uso di risorse naturali comuni in
teoria dei giochi. Il modello del dilemma del prigioniero è seriamente
criticato per le ipotesi di gioco a turno unico ed assenza di comunicazione, semplicistiche
ed irrealistiche, su cui fonda le sue previsioni. La realtà non è
avulsa dalla storia, dai processi di apprendimento fondati sugli errori, e gli
attori possono comunicare tra loro. Introducendo progressivamente, nel dilemma
del prigioniero applicato alla gestione di risorse comuni, giochi a turni ripetuti
e comunicazione, le soluzioni si allontanano parecchio dalle previsioni tragiche
iniziali, tendendo a risultati intermedi rispetto all'ottimo teorico. Nella realtà,
gli attori sono inoltre in grado di definire regole, meccanismi di controllo del
loro rispetto, e sanzioni per la loro infrazione. Introducendo tali possibilità
nei modelli sperimentali di teoria dei giochi si raggiungono risultati di oltre
il 90% dell'ottimo teorico. Ciò, non solo è coerente coi dati di
studi empirici in tutto il mondo, che evidenziano grande efficienza economica
ed ambientale di sistemi fondati su regole definite autonomamente dal gruppo dei
"comunisti" (membri della comunità di utenti della risorsa) con
sistemi di controllo e sanzione, ma dimostra anche, in termini formalmente rigorosi,
che esiste una terza alternativa, dalla grande diversità istituzionale
interna, alle soluzioni inizialmente prospettate: Stato o mercato. Ciò
obbligherebbe i tradizionali versanti politici contrapposti, fautori dell'una
o dell'altra soluzione, le cui controversie possono essere sintetizzate attorno
al modello di Coase sull'esistenza e/o sull'entità dei costi di transazione
per ogni caso specifico - riducendosi a preferire la privatizzazione se il mercato
consente minori costi di transazione, o la nazionalizzazione nel caso inverso
- a confrontarsi con un universo di alternative possibili a quella che, in entrambi
i casi, costituirebbe un'espropriazione dei commons, considerando modelli di gestione
dal basso, fondati su nuove ed antiche forme di empowerment delle comunità
di utenti di risorse collettive. I lavori di Ostrom hanno ispirato una scuola
di pensiero multidisciplinare sviluppatasi principalmente attraverso l'attività
di un quarto di secolo della Iasc (International Association for the Study of
Commons), nonché con spazi di interfaccia e penetrazione significativa
presso gli economisti ecologici (Isee - International Association of Ecological
Economics, che la stessa Ostrom contribuì a fondare), che si distinguono
dagli economisti ambientali per il rifiuto del paradigma neoclassico, perché
riduzionista della complessità socio-ambientale. Sino ad ora non si può
dire che l'appello intellettuale profondo di tali riflessioni critiche sia stato
raccolto seriamente dalle principali correnti di pensiero economico, siano esse
neoclassiche o d'ispirazione marxista. Speriamo che il nobel rosa-verde del 2009
rappresenti uno stimolo positivo in tal senso: vorrebbe dire che c'è ancora
speranza, per gli economisti e per il futuro di un mondo che sta anche (e spesso
soprattutto) nelle loro mani.
|