| Il
manifesto, 11 Ottobre 2006
Lesbiche
in Iran, un diario dal web "Il giardino di Shahrzad" presentato
oggi a Roma presso la Casa delle donne Paola Desai
È un racconto
a più voci Il giardino di Shahrzad, uscito per Il dito e la luna (traduzione
di Virginia Gorgan, pp. 160, euro 13). Le autrici sono quattro giovani iraniane,
tre lesbiche e una transessuale, che si celano dietro un acronimo collettivo,
Vida, perché l'omosessualità, e quella femminile in particolare,
resta uno dei tabù più profondi nella società iraniana. Il
racconto ruota attorno a Sharhrzad, una giovane donna che racconta una visita
in Iran dopo anni trascorsi all'estero a studiare. Nel suo diario ci sono numerosi
flashback - l'adolescenza, l'amore per un'amica d'infanzia, il non facile percorso
verso il coming out - e il presente, la difficoltà di vivere le dimensioni
dell'amore e della sessualità in una società omofobica. Shahrzad
scopre altre donne come lei e scopre il web, un mondo virtuale sempre più
affollato, soprattutto in Iran dove lo spazio pubblico è rigidamente controllato.
La seconda parte del libro dunque è un intreccio di messaggi presi dalla
rete Lgtb (lesbian, gay, transgender, bisexual) alimentata da iraniane e iraniani
nel paese e nella diaspora. Sullo sfondo, le vicende degli ultimi anni: le speranze
suscitate dall'elezione del religioso riformista Mohammad Khatami (nel 1997),
la rivolta degli studenti (nel '99) brutalmente repressi dagli apparati di sicurezza
dello stato, e poi la disillusione: giornali chiusi, intellettuali arrestati,
fino all'avvento del presidente Mahmoud Ahmadi-Nejad, figura emersa dalle Guardie
della Rivoluzione, cioè dagli apparati dello stato. Alcune delle autrici
vivono all'estero, almeno una vive in Iran, e tutte dialogano attraverso il web.
E alla rete si deve l'intervista che segue: l'interlocutrice è I. Z., una
delle autrici, che abbiamo raggiunto per e-mail. La
vostra è un'opera a più voci, ma nella prima parte domina la figura
di Shahrzad. Chi è? Shahrzad è uno pseudonimo, ma il personaggio
in parte corrisponde a una persona reale, una di noi, che vive in Italia. In quel
nome c'è un riferimento letterario: è l'eroina delle Mille e una
notte, che con i suoi racconti si salva. Ma è anche l'anti-Shahrzad, perché
non corrisponde ai canoni dell'orientalismo. La nostra Shahrzad teneva da tempo
un diario, scriveva racconti, tra noi è quella che ha lavorato di più
sulla scrittura. Era inevitabile che il libro prendesse avvio da quel diario,
in cui lei racconta la sua esperienza fino all'incontro con noi, cioè fino
a un percorso condiviso. Proprio come la Shahrzad letteraria, la sua storia fa
da innesto alle altre. Come
è nato il libro? L'idea ci è venuta dopo le elezioni presidenziali
del giugno 2005. Siamo un piccolo gruppo, avevamo cominciato a dialogare attraverso
un blog. Quando si è insediato il nuovo governo temevamo che si preparasse
un'ondata di censura, e avevamo ragione. In Iran avevamo già visto arrestare
giornalisti della rete, ma ora i siti oscurati sono sempre di più. E poi
il web è precario, le pagine scompaiono, e noi volevamo affidare a un mezzo
più duraturo la nostra esperienza. Così dopo mesi di dialogo virtuale
ci siamo incontrate di persona ed è nato il libro. Voi
avete scritto in farsi, ma "Il giardino di Shahrzad" è uscito
in Italia: perché? All'inizio pensavamo di tradurre tutto in inglese
e pubblicarlo negli Usa, dove la comunità Lgbt iraniana è più
numerosa e organizzata. Invece poi , grazie al fatto che la nostra Sharzad vive
nel vostro paese e aveva trovato i contatti necessari, il libro è uscito
prima in Italia. Pubblicarlo in Iran? Impossibile. Da noi l'omosessualità
è punita con la morte: un libro che parla di lesbiche sarebbe impensabile.
Non
deve essere facile la vita per una persona che si dichiara omosessuale, in Iran. Nei
vent'anni dopo la Rivoluzione islamica oltre quattromila persone sono state condannate
a morte perché omosessuali. Questo riguarda uomini e donne, ma il lesbismo
è un tabù ancora più profondo dell'omosessualità maschile.
Shahrzad racconta che da piccola sentiva la madre e la zia dire che le lesbiche
non hanno le mestruazioni: come dire che non sono davvero donne, sono "contro
natura". Il libro è nato anche per questo, per dare più visibilità
alle lesbiche, di cui in Iran si nega perfino l'esistenza. Per quanto possa sembrare
strano, in Iran la legge permette di cambiare sesso. Il problema è che
prima dell'operazione il/la transessuale rischia l'accusa di omosessualità,
e una volta cambiato sesso è emarginato. Detto questo, mi pare che anche
in occidente l'omofobia sia diffusa, soprattutto in Italia. Sarà perché
avete il Vaticano? Pensa
che un paese musulmano come l'Iran non sia ancora pronto ad accettare l'omosessualità? La
religione è spesso invocata come legittimazione superiore da chi vuole
reprimere comportamenti definiti "devianti". Del resto si invoca il
Corano per negare i diritti delle donne, mentre molti sono convinti che la parità
di uomini e donne non sia incompatibile con l'Islam. Forse l'Iran non è
pronto ad accettare l'omosessualità, ma credo che in questo la tradizione
conti più della religione. In ogni caso, troverete molti che si dichiarano
allo stesso tempo musulmani credenti e omosessuali. L'autrice di uno dei primi
blog scritti da lesbiche in Iran, citata nel nostro libro, dice: "Credo in
Dio e nel Corano, ma non in tutte le regole che sono venute dopo. L'Islam è
per tutti, anche per gli omosessuali. È per tutti gli esseri umani, e io
sono un essere umano". Ma non c'è un dibattito simile nei paesi cristiani?
Non credo che l'omofobia sia un'esclusiva dell'Islam, anche se da noi è
più forte che nei paesi occidentali.
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