Libreria delle donne di Milano
il Manifesto - 15 gennaio 2005

La via alla civiltà di Franca Basaglia
Con la morte di Franca Ongaro Basaglia, giovedì a Venezia, se ne va una figura di riferimento di tutte le battaglie civili e culturali che hanno investito l'istituzione psichiatrica, cercando un nuovo senso comune su follia e ragione, salute e malattia, eguaglianza e diversità, diritti e bisogni
Maria Grazia Gianichedda

Se la società italiana degli anni'60 ha cominciato a girare lo sguardo verso le centomila persone recluse nei manicomi, se la democrazia italiana ha potuto guardarsi e giudicarsi a partire dalla condizione dei malati di mente e di quanti patiscono forme analoghe di esclusione e discriminazione, se il processo di costruzione della cittadinanza ha potuto avanzare nel nostro paese mediante il principio che un trattamento sanitario non può sospendere né offendere diritti e dignità delle persone, tutto questo lo si deve in modo speciale all'impulso di un gruppo di intellettuali, e di Franca Ongaro Basaglia tra questi, che hanno cominciato a pensare, studiare, fare ricerca in modo nuovo e diverso rispetto alla cultura scientifica dominante. Intellettuali che si sono anche assunti la responsabilità di mettere alla prova dei fatti, cioè della pratica sociale e dell'azione politica, le proprie scoperte e le ipotesi che andavano formulando. Quel gruppo iniziale ha poi "fatto scuola" e ha stimolato, nel rapporto con i movimenti degli anni'70, la crescita di generazioni di intellettuali e di operatori che hanno proseguito il lavoro di ricerca e di innovazione sociale, di culture professionali, di un nuovo diverso senso comune su follia e ragione, salute e malattia, eguaglianza e diversità, diritti e bisogni, e infine anche di un modo diverso di concepire il rapporto tra il lavorare, il vivere e il fare politica.

Ripensando oggi a tutto questo attraverso la vita di Franca Ongaro Basaglia - il piccolo gruppo di Gorizia, il composito movimento che scosse le istituzioni psichiatriche in tutta Europa e che in Italia provocò la riforma del 1978, la "legge 180", gli anni difficili in cui la riforma psichiatrica nonostante tutto prendeva corpo e si radicava - si ha la sensazione di una estrema lontananza e di una straordinaria attualità. Quel tempo in cui la distruzione del manicomio era parte della lotta per rendere più sostanziale la democrazia e più reali i principi della costituzione può sembrare infatti lontanissimo, oggi che la politica dominante pensa che la costituzione sia un arnese obsoleto e che la democrazia sia un rito fatto di deleghe e plebiscito. Ma se guardiamo a Cos'è la psichiatria ( 1967), sentiamo semmai profetiche le analisi sui processi di "psichiatrizzazione della vita" promossi dalle multinazionali del farmaco, così come i Crimini di pace ( 1975 ) di oggi ripropongono il problema degli "intellettuali e dei tecnici come addetti all'oppressione", e carichi quindi una responsabilità politica che persone come Franca Ongaro Basaglia ci hanno insegnato a riconoscere e agire.

Nelle prime pagine di un libro per ragazzi, Manicomio, perché? (1982) Franca Basaglia descrive le sue prime visite nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, dove era arrivata nel 1962, giovane moglie di uno psichiatra colto e inquieto, Franco Basaglia, che dopo tredici anni passati in clinica universitaria a Padova coltivando un eccentrico e impopolare orientamento fenomenologico, aveva fatto la scelta rischiosa, e anche un po' polemica, di andare a lavorare nel manicomio pubblico di una piccola città di periferia.

Quell'incontro con la realtà estrema del manicomio dirottò la vita di Franca Basaglia non lasciando più spazio alla vocazione letteraria che anche tra gli impegni della famiglia aveva continuato a coltivare. Aveva scritto infatti il testo di una bella edizione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, con i disegni e i colori dell'amico Hugo Pratt, uscita a puntate sul Corriere dei Piccoli, per il quale aveva scritto anche alcune favole e una riduzione del romanzo di Louise May Alcott Piccole donne.

Le immagini con cui Franca Basaglia ricorda il suo impatto col manicomio mostrano grande dimestichezza con i meccanismi istituzionali e grande abilità nel cogliere i giochi di potere, e decodificarli, attraverso i dettagli e i riti della quotidianità, attraverso il linguaggio dei corpi, degli oggetti, degli spazi. Questa particolare "cultura dell'istituzione" era in un certo senso causa ed effetto del rapporto con la cultura anglosassone della "Community Therapy".

Tra l'altro, Franca Basaglia era stata nel 1963 a Digleton, in Scozia, da Maxwell Jones, dove aveva potuto osservare da vicino quel primo esperimento di comunità terapeutica. Quasi subito però il gruppo di Gorizia aveva preso le distanze dall'esperienza anglosassone, esplicitamente lo fece in un testo che uscì nel 1967, con un titolo coraggioso e diretto: Che cos'è la psichiatria? In quel volume collettivo, che nella prima edizione portava in copertina un autoritratto di Hugo Pratt in divisa da internato, destinato a diventare una sorta di logo del movimento anti-istituzionale, Franca Basaglia commentava, ma per meglio dire spiegava a uso degli psichiatri, il saggio La carriera morale del malato di mente del sociologo americano Erving Goffman, in realtà un capitolo del suo più vasto lavoro Asylums, che Franca Basaglia stava traducendo per la prima volta in Italia e che uscì nel `68, seguito nel `71, dalla traduzione del Comportamento in pubblico. Questi lavori su Goffman fanno parte di un impegno di lavoro che in quegli anni tra il `66 e il `70 cominciò a diventare vorticoso. Franca Basaglia partecipò al lavoro di Gorizia e contribuì a quel testo straordinario che è L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico ( 1968 ), libro ancora oggi coinvolgente perché in quelle pagine le parole hanno la potenza delle cose che accadono, di una trasformazione che le parole descrivono e producono.

L'istituzione negata riuscì a conquistare, su un argomento così specialistico e fino ad allora marginale, un pubblico vasto e variegato, anche se probabilmente all'epoca fu più amato che capito. La denuncia di quelle che venivano definite "le istituzioni della violenza" e la scelta di negare con l'istituzione manicomiale il ruolo oppressivo e il potere che essa offriva, non ponevano in prospettiva relazioni finalmente liberate, luoghi compattamente "anti", rivoluzioni risolutive. Nel suo contributo intitolato Rovesciamento istituzionale e finalità comune, Franca Basaglia anticipava temi che le furono sempre cari e su cui avrebbe lavorato negli anni successivi: "Mettere in questione i ruoli istituzionali induce una problematizzazione della situazione, una messa in crisi generale e individuale insieme" nella quale si oscilla continuamente "tra il bisogno di un'autorità che elimini o diminuisca l'ansia prodotta dalla dimensione in cui l'intera istituzione tende a muoversi, la responsabilizzazione, e il bisogno di conquistare una libertà che però passa inevitabilmente attraverso la conquista della propria responsabilità. Questo vale per i malati e vale per i medici." La prospettiva non poteva (e non può) essere "una semplice democratizzazione di rapporti, che rischierebbe di riproporre i ruoli e di simulare una fine della diversità", ma una continua ricerca che "non presume di risolvere i conflitti ma di affrontarli a un altro livello".

Il conflitto come necessità, la diversità come ricchezza: in questa ottica Franca Basaglia avrebbe cominciato a lavorare anche su quella che avrebbe costituito una trama della sua vita: il rapporto tra uomini e donne. L'inizio, come lei racconta nel libro Una voce, era stato emblematico: aveva scritto nel `67 un articolo "un po' sfasato rispetto alla politicità del momento, sulle difficoltà del rapporto privato uomo - donna". L'articolo venne pubblicato su Che fare? , una rivista importante degli intellettuali critici milanesi con cui il gruppo goriziano collaborava; ma la redazione si dissociò con un titolo inequivocabile: Confessione sbagliata.

Per alcuni anni Franca Basaglia non scrisse più sulla questione femminile, certamente a causa del grande impegno che le richiedevano i temi della psichiatria e nel movimento crescente: Psichiatria Democratica esordì nel `74, nel frattempo c'erano state le dimissioni drammatiche da Gorizia per i dissensi con l'amministrazione democristiana, la breve e difficile parentesi di Parma, dove Basaglia era stato chiamato da un'amministrazione di sinistra che, nonostante le mediazioni dell'assessore Mario Tommasini, entusiasta e amico, non aveva retto l'impatto con un lavoro di deistituzionalizzazione il cui stile era troppo "giacobino" per i comunisti emiliani. E c'era poi stato l'avvio dell'esperienza di Trieste, dove Franco Basaglia avrebbe lavorato fino al `79.

In quegli anni, la grande casa di Venezia dei Basaglia era continuamente attraversata dalle persone e dalle occasioni più diverse: i figli Enrico e Alberta crescevano tra discussioni fino a notte e riunioni nei fine settimana, sempre intense, a volte conflittuali, spesso allegre, con poca distinzione tra vita privata e pubblica, tra compagni di lavoro e amici di tutte le età. Franca Basaglia era un punto di riferimento fondamentale di tutto questo progettare e realizzare, con un suo stile insieme aristocratico e affettuoso, anticonformista e accogliente.

Anche il suo rapporto con il marito era attraversato dalle trasformazioni sociali che loro stessi stavano trainando. Nel 1980, quando Franco Basaglia era morto da poco, lei scrisse in un breve testo che fa parte di Una voce: "ora che la mia lunga lotta con e contro l'uomo che ho amato si è conclusa, so che ogni parola scritta in questi anni era una discussione senza fine con lui, per far capire, per farmi capire. Talvolta era un dialogo. Talvolta l'interlocutore svaniva, e io restavo sola, sotto il peso di una verità che si riduce a un'arida resa dei conti con il bilancio in pareggio, se l'altro non la fa anche sua." Nel '77 Franca Basaglia riprese a scrivere sulle donne, e tra i suoi molti lavori si dedicò alla introduzione di un libro che avrebbe segnato un momento importante della battaglia culturale nel nostro paese, Un processo per stupro ( Einaudi, 1979), resoconto di un processo che si era svolto a Latina nel 1978 e che, registrato e mandato in onda, aveva mostrato il gioco del dibattimento che trasforma la vittima in imputata, con le madri a difendere i figli stupratori e quella che Franca Basaglia definì "l'atmosfera da caserma" che avvolge il tribunale in una complicità tutta maschile. Poi, nel 1983, accettò la candidatura al Senato, dove avrebbe lavorato per due legislature, sino 1992, nel gruppo della Sinistra Indipendente, occupandosi di temi diversi ( trapianti, bisogni e consumi sanitari, tossicodipendenze, carcere, violenza sessuale) ma ricoprendo, com'era logico, un ruolo leader nella battaglia parlamentare per l'applicazione della legge di riforma psichiatrica. Il suo impegno, e certamente il suo successo principale, sta nel disegno di legge di attuazione della 180, che presentò per la prima volta nel 1987 con le firme di tutto il gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente, costruito e discusso - a lungo, con pazienza, nei dettagli - con due interlocutori sociali: da un lato il vasto e diversificato mondo degli operatori psichiatrici "riformisti", ovvero quei gruppi e associazioni che, con diversi accenti e da diverse provenienze, erano convinti che l'impasse e i drammi della psichiatria italiana non fossero causati dalla riforma ma al contrario dalla sua non applicazione; e dall'altro lato i gruppi di familiari che stavano sorgendo numerosi, soprattutto donne, che l'assenza di servizi di salute mentale consegnava, come in altri campi, al ruolo di servizio socio sanitario gratuito e non riconosciuto.

I buoni argomenti di questo disegno di legge sono stati le pratiche di realizzazione della riforma che nonostante tutto in Italia si moltiplicavano, basate su risorse, intelligenze e volontà politiche locali. Così, quella che familiarmente si chiamava "la 180 bis" non diventò legge - cosa che del resto non si voleva affatto - ma riuscì a conseguire l'obiettivo per cui era nata, quello di stimolare provvedimenti di programmazione dei servizi di salute mentale a livello nazionale e regionale.

Il primo Progetto Obiettivo Salute Mentale (1989) arrivò due anni dopo il disegno di legge di Franca Basaglia e in gran parte lo ricalcò, e da quella data si moltiplicarono i piani regionali, fino al provvedimento di definitiva chiusura dei manicomi approvato nel 1994 e infine al Progetto Obiettivo allegato al Piano Sanitario Nazionale approvato lo scorso anno, a più di vent'anni dalla riforma sanitaria. Oggi, accanto ai tentativi finora vani di cancellare la legge 180, vediamo come si cerca di eliminarla nei fatti. Anche questa fase Franca Basaglia l'ha vissuta e affrontata, continuando a sostenere quelle esperienze, grandi e piccole, in Italia ma non solo, che continuano a produrre senso - istituzioni, servizi, culture: segni, questi, del fatto che è realistico, oltre che necessario, realizzare quell'altro mondo possibile che persone come Franca Basaglia hanno cominciato a indicare.