Libreria delle donne di Milano

il manifesto - 17 settembre 2003

Lettera apparsa sulle pagine di Milano

Una prof lavapiatti
Lena Timberi

Vi chiedo di pubblicare quello che riesco a rendere di un'esperienza di lavoro, forse emblematica di come si muove il nostro sistema economico. Sono un'insegnante di lettere precaria. Questo significa che, quando mi va bene, ottengo una supplenza sino a fine giungo, e riprendo a insegnare a ottobre. Se voglio avere delle entrate anche i mesi di luglio e agosto, devo cercarmi altri lavori. Così ho sempre fatto. Quest'anno dalle agenzie di lavoro temporaneo mi è arrivata un'unica proposta: lavapiatti per dieci giorni. Retribuzione: 5, 86 euro lorde all'ora, 4 nette, dalle 20fino all'una/due di notte, prefestivi e festivi compresi. Un'assunzione in regola, con inquadramento gruppo C al sesto livello. Ho una curiosità: si può essere pagati meno di così? All'agenzia di lavoro mi spiegano che ci sono contratti nel settore artigianale in cui il lavoratore viene retribuito circa 3 euro all'ora. La colpa è degli accordi sindacali, mi viene-precisato. Non mi è mai capitato di prendere così poco, penso che sia ingiusto, un vero sfruttamento ma accetto perché in fondo si tratta di poco più di una settimana. Durante gli anni universitari ho lavorato nel settore ristorazione. Penso perciò di saper affrontare quello che mi aspetta. E invece no. Il ritmo di lavoro non consente tregua, neppure per bere un po' d'acqua, altrimenti i piatti e tutto il resto da lavare si accumulano. Uno pensa che la lavastoviglie faccia tutto. No: dopo averli ripuliti, i piatti devono essere passati a mano, assieme a tutti i contenitori, utensili, teglie, padelle, tazzine, bicchieri e posate, insomma tutto quanto si usa in un ristorante. Di cui faccio volentieri il nome: "Capoverde", in via Leoncavallo. Una s.r.l. denominata "L'albero del pane". Per quanto mi riguarda potrebbero anche chiamarsi L'albero delle monete d'oro", perché il modo di guadagnare lucrando sulla pelle dei dipendenti l'hanno decisamente trovato. A lavare in cucina siamo infatti in due, io e Laliih, un signore cingalese che fa questo lavoro da tre anni a 6, 30 euro all'ora assunto. Ma facciamo in due il lavoro di almeno tre persone. Quando Lallih ha proposto un terzo lavoratore gli è stato risposto che non c'era spazio sufficiente. E poi c'è l'esempio di una signora albanese che a mezzogiorno se la cava (egregiamente, dicono) da sola. Eppure, io che l'ho provato, so che il ritmo è così pesante da non poter aver il tempo di fermarsi neanche un minuto. Perché Lallih è disorganizzato, mi dicono gli chef, che però non danno neppure una mano quando vedono una donna portare i sacchi dell'immondizia. Perché forse il punto è proprio questo: anche gli altri lavoratori hanno ritmi "da profitto", ma fare i lavapiatti li autorizza a considerarci i paria degli sfruttati. Non si tratta più di un lavoro è la schiavitù del 2003. La conseguenza della legge del profitto del nostro sistema economico. So che c'è di peggio, "lavoratori" che sottostanno a condizioni peggiori, e non hanno scelta. Finita una giornata di lavoro, con la schiena a pezzi e le mani rugose per essere state in ammollo tutto il tempo, ma soprattutto dopo essere stati costretti a ritmi di lavoro inumani, credo che non ci sia spazio per tutte le "cose amene" che normalmente si insegnano a scuola. Cosa c'è di più lontano dalla letteratura, o anche solo dalla voglia di ricreare se stessi con l'otium? E chi l'ha detto che un lavapiatti non debba leggere? Tutto questo fa male alla nostra società (e anche alla nostra economia) perché crea "brutte persone", che conoscono solo la necessità del lavoro e non hanno modo di coltivarsi. Il lavoro non nobilita più l'uomo, lo abbruttisce. Sono fortunata a poter scegliere di non fare la lavapiatti. Giudicate se è bello ridursi a pensare che fare l'insegnante non è facile né gratificante, ma almeno non ci pagano 4 euro l'ora...