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il manifesto
- 19 Aprile 2005
Nostalgie
totalitarie mentre tramonta l'autorità simbolica
Mentre il delirio nazista spinge alla seconda guerra mondiale,
Jacques Lacan scrive un testo titolato I complessi familiari nella formazione
dell'individuo. La sua tesi è che l'appello delle masse al capo
folle e dispotico è un modo patologico per compensare la crisi
sociale derivata dall'eclissi della figura paterna, che già nel
1938 gli appare debole e dotata di una personalità sempre più
assente e umiliata. E con straordinaria chiaroveggenza clinica anticipa
il legame tra questa carenza e fenomeni psicosomatici, anoressie mentali,
tossicomanie, irriducibili ai sintomi già descritti da Freud
MASSIMO
RECALCATI
Siamo nel
1938: il fanatismo nazifascista spinge irreversibilmente il mondo verso
il baratro della seconda guerra mondiale. I regimi totalitari cancellano
la democrazia nel nome di una causa assoluta, che annulla ogni spazio
critico. Mussolini, Hitler e Stalin si offrono come figure aberranti di
padri primordiali che divorano spietatamente i loro figli. Sulle soglie
di questa apocalisse Jacques Lacan pubblica, come voce enciclopedica interna
al progetto editoriale più ampio dell'Encyclopédie française,
curato dall'eminente psicologo Henri Wallon, un breve ma intenso saggio
dal titolo I complessi familiari nella formazione dell'individuo (Einaudi).
Diversi i temi che rendono questo testo degno di interesse, non solo per
ricostruire il percorso teorico di Jacques Lacan ma anche come contributo
per intendere i problemi attuali del legame familiare. Innanzitutto quello
relativo alla decomposizione della famiglia ordinata attorno al perno
costituito dall'autorità simbolica del padre edipico. Si tratta
del tema - che in realtà Lacan svilupperà in modo adeguato
solo nell'ultima parte del suo insegnamento - del «declino sociale
dell'Imago paterna». La sua attualità è evidente:
la famiglia contemporanea appare senza centro di gravità, stratificata,
disordinata, irriducibile a una formazione nucleare e incline piuttosto
ad assumere organizzazioni tendenzialmente plurali: le adozioni, l'aumento
delle separazioni coniugali e delle relative stratificazioni multiple
dei legami tra diversi gruppi familiari, la gravidanza affidata a una
persona esterna alla coppia, le famiglie monogenitoriali, le adozioni
nelle coppie omosessuali, l'inseminazione artificiale, sono fenomeni che
hanno smembrato il modello della cellula familiare occidentale costituito
da una coppia eterosessuale con figli. Ma anche la crisi generalizzata
del modello educativo fondato sul potere dell'interdizione simbolica introduce
un motivo altrettanto corrosivo nella tenuta dell'unità del legame
familiare. Sostenere oggi la funzione formatrice della rinuncia e del
sacrificio è sempre più difficile: l'assenza o il declino
dei riferimenti normativi all'Ideale finisce per rendere la rinuncia al
godimento pulsionale sempre più priva di senso. Di qui il diffondersi
dei nuovi sintomi della contemporaneità (anoressie, bulimie, tossicomanie,
depressioni) accomunati dal ritiro narcisistico indirizzato verso un godimento
pulsionale chiuso su se stesso, monadico, asessuato e rigorosamente sterile.
Queste trasformazioni,
che investono la famiglia contemporanea, sono un esempio di come le verità
strutturali sostenute dalla psicoanalisi (per esempio il complesso edipico
come complesso cardine nello sviluppo cosiddetto psico-sessuale) sono
inevitabilmente intrecciate con le trasformazioni storiche e politiche
dei legami sociali. Nel testo di Lacan questo intreccio costituisce un
motivo teorico cruciale. La sua prospettiva è quella di immergere
con forza le strutture della psicoanalisi nella dimensione sociale. Innanzitutto
introducendo i complessi familiari (di svezzamento, di intrusione ed edipico)
a partire dall'idea che la pura naturalità dell'istinto sia da
sempre catturata nella rete della cultura che, come tale, non è
una rete fuori dal tempo ma al contrario è soggetta, a sua volta,
a trasformazioni e a stratificazioni sociali articolate.
In tal senso,
questo libretto del 1938, scritto da un Lacan ancora prestrutturalista,
come ricorda puntualmente nella sua lucida post-fazione Jacques-Alain
Miller, contiene già una risposta convincente a coloro (per esempio
Judith Butler) che rimproverano alla dottrina lacaniana di sganciare le
leggi simboliche e le sue figure (tra tutte quella del Nome del Padre)
dalla loro radice sociale per elevarle al rango di idoli fuori dal tempo,
di norme ideali sovrastoriche. Al contrario, Lacan puntualizza come la
nozione stessa di realtà non si costituita affatto sugli elementi
di una natura originaria, ma sia sempre fabbricata dall'azione complessa
delle forme sociali della cultura. La nozione ingenuamente «mentale»
di individuo non può dunque essere scorporata dalla sua esistenza
sociale.
L'istinto
naturale, del resto, non esiste (come non esistono né una maternità
né una paternità naturali ma solo il riconoscimento simbolico,
materno o paterno, di un figlio), ma subisce una trasformazione sociale
preliminare. Questa trasformazione viene enunciata da Lacan come una «prima
sublimazione della realtà » che trova nel complesso Edipico
il suo prototipo fondamentale: perché vi sia accesso dell'individuo
al campo delle relazioni sociali è necessaria una separazione simbolica
dall'ombra mortifera della madre; è necessario passare attraverso
il complesso di svezzamento. Vale la pena notare che questa identificazione
del materno come «fattore di morte» costituisce un altro aspetto
decisivo nell'insegnamento di Lacan, che però non deve oscurare
come il materno vi appaia anche come il luogo originario del dono d'amore,
del segno di riconoscimento essenziale a strappare la vita di ciascuno
dalla sua matrice puramente biologica.
Ma qual è
il problema davvero cruciale e tremendamente attuale di questo saggio?
Di fronte all'affermazione incontrastata del totalitarismo, di fronte
al dilagare di legami sociali istituiti sulla totale sottomissione alla
potenza ipnotica del capo, Lacan constata la carenza simbolica del padre
contemporaneo in netto anticipo su quella letteratura sociologico-psicologica
che negli ultimi vent'anni ha inseguito, con ben più modesti esiti
e mezzi teorici, il tema del padre assente. Già nel 1938 il padre
appare a Lacan come debole, carente, dalla personalità sempre più
«assente, umiliata o posticcia». Tale carenza è generatrice
di un malessere inedito, irriducibile ai quadri sintomatici classici studiati
da Freud. Appaiono nuovi sintomi, resistenti alla nozione simbolica di
messaggio inconscio da decifrare: fenomeni psicosomatici, anoressie mentali,
tossicomanie. Straordinaria chiaroveggenza clinica di Lacan.
Il nuovo
malessere, la «grande nevrosi contemporanea» che scaturisce
dalla carenza della funzione simbolica del padre conduce la psicopatologia
a passare dalle manifestazioni dell'isteria - forma del disagio psichico
eminentemente simbolica - verso modi della sofferenza sempre più
sordi allo scambio simbolico con l'Altro e sempre più dominati
da una irresistibile «tendenza psichica alla morte». È
ciò che Lacan evoca come «suicidio differito» e che
ritroviamo in tutta la sua centralità drammatica nella clinica
contemporanea. Ma, forse, ancora più attuale è la paradossale
convergenza tra questo declino della funzione simbolica del padre e l'affermazione
politica dei padri primordiali del totalitarismo. È su questa contraddizione
- straordinariamente attuale - che Lacan punta in realtà il dito.
Carenza del padre simbolico e affermazione dispotica dei fondamentalismi
esaltati sono due facce della stessa medaglia. La sua tesi è che
l'appello delle masse al padre folle e dispotico, al padre della distruzione
e della guerra, è un modo patologico per compensare la crisi sociale
dell'imago paterna. Dove in effetti manca la funzione simbolica del padre
- che come Freud e Lacan ci insegnano ha il compito di accordare la legge
col desiderio senza opporre sterilmente l'uno all'altro - dove cioè
questa funzione declina e inevitabilmente si indebolisce, può fare
la sua apparizione la nostalgia umana per una legge forte, assoluta, inumana
capace di rimpiazzare immaginariamente l'impotenza paterna. In questo
senso, la tentazione totalitaria, il miraggio della fusione e dell'armonia
universale, l'utopia tragica di una comunità che inghiotte le particolarità
in un assorbimento reciproco capace di annullare ogni differenza, sono
modi patologici per recuperare la forza titanica e ideale del padre, che
però in realtà non fanno altro se non esibirne il declino
irreversibile e rivelare l'impasto di questa forza con l'ombra terribile
di un matriarcato arcaico e mortifero. L'essenza del totalitarismo è
infatti la riabilitazione inconscia del potere folle di un padre primordiale
che si confonde con quello cannibalico di un matriarcato arcaico. «La
più oscura aspirazione alla morte» permea, scrive Lacan,
«il miraggio metafisico dell'armonia universale, l'abisso mistico
della fusione affettiva, l'utopia sociale di una tutela autoritaria».
Per un verso, dunque, nel legame totalitario l'ombra del padre cade sul
soggetto, ma per un altro questa caduta avviene proprio come moto nostalgico
di ricupero di una matrice perduta da sempre. Il padre primordiale del
totalitarismo non è solamente il complemento necessario del padre
carente di cui Lacan formula il ritratto, ma è anche il prolungamento
del legame vischioso del soggetto con l'Imago materna.
Nondimeno,
questa crisi psicologica relativa al tramonto dell'Imago paterna non è
estranea, ci ricorda ancora Lacan, all'affermazione della psicoanalisi
stessa la quale, appunto, ha contribuito a detronizzare la funzione ideale
del padre. Più precisamente, Lacan ci invita a cogliere il doppio
filo che orienta la riflessione di Freud sulla funzione paterna. Da una
parte l'esperienza biografica di Freud appare marcata dall'incontro con
uno sfaldamento e una stratificazione della famiglia coniugale che anticipa
le sue più attuali articolazioni. La Vienna di fine ottocento sintetizza
paradigmaticamente questa decomposizione dei legami familiari. «Centro
di uno stato che era un melting-pot di forme familiari diversissime, dalle
più arcaiche alle più evolute, dagli ultimi raggruppamenti
agnatizi di contadini slavi fino alle forme più ridotte del focolare
piccolo-borghese e quelle più decadenti della coppia instabile,
passando per i paternalismi feudali e mercantili». Ebbene, in questo
contesto non è un caso che il complesso di Edipo sorga nella mente
di un «figlio del patriarcato ebreo».
Dall'altra
parte - ecco il secondo filo della riflessione freudiana sulla funzione
paterna - Freud opera il maggiore sforzo per riabilitare la centralità
della sua funzione simbolica ponendola al centro dello sviluppo psichico
dell'essere umano. L'Edipo appare, infatti, come il complesso familiare
cardine che opera quella «prima sublimazione della realtà»
senza la quale il soggetto resterebbe schiacciato dall'ombra terrificante
del cannibalismo materno.
Non è
dunque lo stesso Freud a solidificare il riferimento al padre nell'Edipo
proprio nel contesto storico e culturale della decomposizione della sua
realtà sociale? Non è forse l'Edipo di Freud una risposta
nostalgica e sintomatica a questo nuovo teatro della realtà? Per
questa ragione Lacan non si schiera con coloro che si «affliggono
per il cosiddetto rilassamento del legame familiare», ma ritiene
un compito etico della contemporaneità abitare creativamente questo
nuovo orizzonte. Come attraversare la carenza del padre senza evocare
la nostalgia del suo ideale? «Attorno alla nascita si stringerà
sempre un vincolo familiare» - dichiarava in una recente conversazione
con Elisabeth Rudinesco, Jacques Derrida. Le forme storico-culturali che
assumerà questo vincolo non potranno però riesumare le spoglie
del padre simbolico anche perché, come scriverà più
tardi Lacan, «la tomba di Mosè è per Freud altrettanto
vuota quanto quella di Cristo per Hegel».
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