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il Manifesto
- 19 novembre 2010
La mia amica Adriana
Rossana Rossanda
Si è
spenta ieri notte Adriana Zarri, teologa, mistica, donna inflessibilmente
libera e solitaria. Stava male da tempo, da quando una caduta pareva avere
spezzato d'un colpo l'energia che la spingeva dalla cascina piemontese
dove abitava, il suo orto, i suoi animaletti e le sue rose, in giro per
l'Italia, saltando sulla sua vecchia macchina o su un treno, a partecipare
alle battaglie civili, e custode d'una lettura corretta delle scritture
che le permetteva, anzi le comandava, di essere anche cittadina. Si batteva
conversando, riunendo altri nella preghiera, scrivendo. Sino alla fine,
già assai malandata, ha continuato a scrivere per noi, come per
Rocca, o per Concilium o Il regno: alternando gli interventi o le rubriche,
per noi le agili Parabole, ai saggi e ai romanzi. Tutti in verità
parabole, l'ultima è del 2008 Vita e morte senza miracoli di Celestino
VI, favola moderna su un papa che non fu - come lei aveva sperato fosse
in Ratzinger, dagli esordi assieme a Hans Kung nel Vaticano II - e che
si inverava in un colto parroco di campagna deciso a servirsi della indiscutibile
autorità, e non perché credesse alla propria infallibilità,
ma perché liberava la chiesa di Roma dai suoi ori materiali e dai
suoi orpelli devozionali. Nel romanzo non li definisce «idolàtrici»,
ma che fosse un'«idolatria» lo pensava e diceva. E vi ha fatto
perfino uno dei suoi convegni.
Adriana è stata fra i molti credenti cui il Concilio Vaticano II
aveva aperto il cuore alla speranza. Sono molti, e a tutti i livelli,
dal fedele a certi parroci a qualche vescovo e fin cardinale, che non
si mettono fuori della chiesa, ma ai margini e in mezzo alla gente. La
chiesa preferisce ignorarli, e benché siano di sinistra, la sinistra
ne fa come la chiesa, ben poco conto: quando Berlinguer, dopo Togliatti,
pensò a un'alleanza con i cattolici, la cercò nella Democrazia
cristiana, cioè in chi più lontana da questi cristiani di
base non poteva essere. Adriana della Dc, come peraltro del Pci, non fece
mai parte, né è mai stata di quelli che si potevano incontrare
ai meeting di Comunione e Liberazione, che definì, in un celebre
libretto, «i guardiani del sabato». In gioventù era
stata tentata di entrare in un ordine, ma vi aveva rinunciato per mantenere
liberi i suoi pensieri e la sua parola: «Se non prendo gli ordini,
mi diceva, loro più che scomunicarmi non possono, e scomunicare
un laico non usa più». Loro, cioè il Vaticano, la
curia. Così preferì vivere da laica come una monaca, anzi
- amava dirsi - da eremita, del suo orto e dei suoi conigli, lavorando
come poteva senza rinunciare alla solitudine, e con l'aiuto dei suoi amici
- ne aveva molti, amici che in lei cercavano e da lei avevano la parola,
gli incontri di riflessione estivi nella pace della campagna, o la preghiera
nella veglia pasquale di cui aveva ritradotto le parole con Fabrizio Frasnedi.
Un giorno le dicevo che del cristianesimo mi interessava la disciplina
interiore, protestò con veemenza: disciplina era un termine che
non tollerava. Né esteriore né interiore. E' stata di quelli
che più hanno attaccato la svolta impressa alla chiesa da Karol
Woityla, Giovanni Paolo II.
Non ne apprezzava affatto la derivazione dalla chiesa polacca, non trovò
accettabile che stringesse la mano a Pinochet (non lo perdonò neanche
a madre Teresa), trovò indegno che cacciasse da sé con un
gesto della mano il teologo della liberazione Boff che gli si era gettato
ai piedi. Mi aspettavo che la sua scrittura, sempre corretta anche nei
passaggi più severi, prendesse come obiettivo anche Ratzinger,
ma su Ratzinger ha quasi taciuto. Stava già male, le era rimasto
caro il Ratzinger degli inizi, le piaceva la leggenda romana del suo amore
per i gatti, e certo la sua predilezione per il rituale latino. Predilezione
condivisa: Adriana la trasgressiva pregava e cantava con una bella voce
limpida, il rituale di oggi, trovava giusto che il sacerdote dicesse messa
senza dare la schiena ai fedeli, ma non avrebbe rinunciato al gregoriano.
Di quel che conosco in questi ultimi anni su di lei da vicino non so altro.
Gli amici perfetti di Ivrea l'hanno accompagnata sino alle fine. Era ormai
così fragile che si è come addormentata. In letizia, spero,
perché aveva molto amato la bellezza del mondo, i giorni, le stagioni,
le creature, il cielo. La sua era una mistica della vita e sono certa
che così - agile, alta, ostinata, attiva, i capelli tirati indietro
dal bel viso acuto, vestita sempre con qualche colore perché amava
che di colore fosse adorno l'universo - vorrebbe essere ricordata.
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