| il
manifesto - 21 gennaio 2004 Tecno-corpi,
materiale in transito «In
metamorfosi» di Rosi Braidotti per Feltrinelli. Una mappa filosofica per
leggere le trasformazioni, con Irigaray e Deleuze come guida, che rimette al centro
il pensiero della differenza sessuale oscurato dalla teoria del genere CHIARA
ZAMBONI
Il libro di Rosi Braidotti intitolato In metamorfosi. Verso una
teoria materialistica del divenire (Feltrinelli, pp. 360, € 38) ) si situa
nel dibattito contemporaneo, entrando in più di un conflitto. Situarsi
è quello che vuole fare Braidotti, scrivendo quelle che lei chiama cartografie
politiche e teoriche, che sono poi le mappe del pensiero ricostruibili dal luogo
parziale dal quale ci si guarda attorno. Ci invita a considerare il suo libro
come una mappa attraverso cui orientarsi. La mappa ha un perno, fare della differenza
- sessuale, etnica, locale - qualcosa di positivo e creativo, sottraendola a quella
tonalità negativa che le viene dal fatto che ogni differenza è l'Altro
dello Stesso, il che poi significherebbe che una donna è l'altro dell'uomo,
l'immigrato è l'altro del cittadino e così via. Come fare della
differenza qualcosa che apre uno spazio di soggettività intensiva, di aumento
della consapevolezza e della percezione? Per questa scommessa Braidotti mette
in campo il pensiero sia di Luce Irigaray sia di Gilles Deleuze, che le fanno
da guida. Questo
legare il pensiero di Irigaray a Deleuze è uno dei punti più interessanti,
e volutamente polemici, del libro. Significa innanzitutto rimettere al centro
il pensiero della differenza sessuale di Irigaray, in un periodo in cui esso è
stato posto ai margini per il prevalere, soprattutto negli Stati uniti, della
«teoria del genere». Braidotti lo dice chiaramente: il pensiero di
Irigaray negli Stati uniti è stato letto malamente. Secondo la teoria del
genere, il genere femminile come quello maschile sarebbero solo costruzioni sociali
e storiche. Il pensiero della differenza sessuale invece è materialista,
parte dal corpo e pone al centro quello che Braidotti chiama un «femminile
virtuale», ovvero un femminile che non è un contenuto dato ma è
continua apertura al divenire. Braidotti entra così in polemica con le
teoriche del genere che definiscono il pensiero di Irigaray essenzialista, cioè
fondato su una concezione statica e chiusa dell'essere donna. E infatti come si
fa a definire essenzialista Irigaray se il «femminile virtuale» è
invece continuo divenire? Braidotti
si rifà ad Irigaray - soprattutto di Speculum - anche per l'altra grande
polemica che ingaggia con buona parte del femminismo statunitense. Della psicoanalisi
quest'ultimo ha ripreso solo ciò che può rinforzare la volontà
razionale - e dunque l'io - nel costruire nuove pratiche politiche discorsive.
L'inconscio finisce così per essere un concetto teorico «morto»,
di fatto superfluo. Braidotti considera invece l'inconscio come ciò che
scombina la linearità dei procedimenti dell'io così come della volontà
guidata da ragione, aprendo il movimento della soggettività a contraddizioni,
paradossi, punti di non ritorno, che hanno a che fare in particolare con la differenza
sessuale e soprattutto con il legame con la madre. A
Braidotti interessa il potenziamento del divenire e lo riconosce in Irigaray come
lo vede nel femminismo, là dove esso crea la passione della libertà,
dignità, giocosità e leggerezza. Scrive che la politica inizia dalle
nostre passioni e dai desideri che ci muovono: lo trovo molto vero così
come è vero che il femminismo ha creato momenti di felicità. Io
ho vissuto un intensificarsi della mia vita e un'allegria della mente nell'esperienza
del femminismo. Non posso tuttavia dimenticare che proprio in Speculum Irigaray
porta l'attenzione sulla confusione inconscia, sofferta e senza parola tra la
madre e la figlia, che fa avvertire il bisogno di parole «scambiate»
tra di loro. Nemmeno posso dimenticare che agli inizi del femminismo, almeno in
Italia, si è parlato di «scacco ragionato». Segnalo con questo
un punto delicato del libro di Braidotti, che insiste sull'allegria e la giocosità
come potenziamento d'essere, che è poi il legame profondo che lei vede
tra il pensiero di Irigaray a quello di Gilles Deleuze. Punto delicato proprio
perché il potenziamento d'essere, che il femminismo effettivamente ha rappresentato
per molte donne, è andato di pari passo con gesti sofferti quali ad esempio,
nei suoi inizi, il separarsi dai contesti maschili. E accanto a questo ci sono
stati altri gesti necessari e patiti, che pure hanno generato modificazioni, metamorfosi
di divenire. I
conflitti che Braidotti apre in questo libro sono davvero tanti e non risparmiano
neppure Deleuze, con il quale l'autrice ha un debito sin dai tempi di Dissonanze
e dal quale riprende l'idea di «nomadismo filosofico», che l'ha guidata
anche in altri suoi testi precedenti. Il nomadismo filosofico è un intensificare
il piacere come linea guida del pensiero, dove le idee schiudono impensate vie
del reale. Braidotti riprende da Deleuze l'idea di immanenza radicale, che riguarda
una corporeità in divenire che va oltre i confini dell'io e che ci lega
in una rete di incontri con multipli altri, dove parti di sé contaminano
e influenzano altre parti di sé. Dov'è allora la critica a Deleuze?
È vero che Deleuze è fondamentale per il femminismo perché
mostra un materialismo corporeo immanente che si sottrae al «fallologocentrismo»,
termine che sta ad indicare il dominio regolativo delle pratiche discorsive di
potere di matrice maschile; e in questo modo Deleuze contribuisce a suo modo alla
stessa azione femminista di sottrarsi a tale dominio. Tuttavia
per altri versi i conti non tornano. E non tornano per Braidotti proprio nel concetto
del «divenire-donna». Il «divenire donna» è per
Deleuze un movimento potenziale sia per le donne sia per gli uomini, che permette
di sottrarsi ai discorsi dominanti, rende possibile il rendersi impercettibili,
non riconoscibili come identità costituite socialmente. E qui la critica
di Braidotti si fa stringente: nella prospettiva di Deleuze il divenire donna
è semplicemente il divenire altro, non riguarda le donne in carne ed ossa,
ed è solo il segno di trasformazioni in atto. In questo modo Deleuze suggerisce
una simmetria tra i sessi: per entrambi vi sarebbero gli stessi itinerari psichici,
concettuali e d'esperienza. Braidotti invece è molto netta nel riprendere
il pensiero della differenza: la asimmetria tra i sessi indica che c'è
una radicale differenza tra donne e uomini sia per quanto riguarda il pensare,
la scrittura, sia per l'atteggiamento nei confronti della storia e della politica.
Ed è proprio nella politica che il pensiero della differenza sessuale mostra
l'importanza di tenere in circolo lotte concrete e determinate, orientate dalla
condizione storica delle donne, con il piano di un divenire aperto ad ogni modificazione
che va oltre le identità e apre a metamorfosi impreviste. La forza viene
dalla circolarità tra un piano e l'altro. Ora
proprio la figura della metamorfosi è l'altro grande perno del libro: il
divenire animale come il divenire materia senza forma, che disgrega le identità
per aprire a strade ambigue e nomadi. Così come le nuove tecnologie fanno
del corpo un relais di una rete tra umano e inumano, o con innesti chirurgici
artificiali o con la riproduzione della vita in provetta o altro. E anche in questo
contesto Braidotti apre un conflitto questa volta con l'immaginario maschile che,
da sempre spaventato dal materno femminile per la sua materialità concreta
e simbolica al medesimo tempo, si difende ricacciandolo in un altro da sé
statico. E perciò esso femminilizza le macchine mostruose nella narrativa
di fantascienza, così come controlla con la scienza la riproduzione della
vita. Le
angosce che qui emergono come fantasmi fluttuanti sono segno anche dell'affiorare
di nuove possibilità di divenire. Sono luoghi ambigui, che nel reale aprono
tracce impreviste. Tuttavia quando Braidotti cita un esempio di «divenire
altro», divenire animale, materia senza forma, questa volta però
in un testo dell'immaginario femminile, mostra come ne sia ben diverso l'esito,
che non riproduce la logica maschile di fare dell'alterità l'altro da sé,
difendendosi nella propria identità. Braidotti rilegge La passione secondo
G.H., di Clarice Lispector, luogo «mitico» di scrittura femminile,
sul quale sono tornate tante pensatrici. Il divenire scarafaggio della protagonista,
il mangiare la materia biancastra fuoriuscita dal suo corpo, il partecipare all'essere
nella sua mostruosità senza forma porta la protagonista a scoprire l'animale
e il divino legati. Braidotti lega questa esperienza narrativa al femminile materno
per quel che di modificazione di sé la maternità come gestazione
rappresenta: perdita di confini, sdoppiamento, apertura al senza forma, che disgrega
l'io, accettazione di un divenire mostruoso, senza rigettarlo sull'altro da sé,
ma accogliendolo come esperienza di diventare effettivamente altro. Ho
trovato coraggioso giocare sull'immaginario di un corpo femminile generante visto
come la via di un divenire mostruoso. Questo offre alle donne la possibilità
di interrogare i propri fantasmi legati al corpo che si trasforma nella maternità
e permette di leggere il potenziale orrore che questo provoca nell'immaginario
maschile, che per lo più se ne difende con tutti gli strumenti a disposizione,
non ultimo quello delle tecniche scientifiche di riproduzione. Rimane una perplessità
di fondo una volta terminato il libro: perché Braidotti si misura con il
femminismo francese e quello statunitense, tralasciando di confrontarsi con quello
italiano, così articolato su molti dei temi da lei proposti, e che ha dimostrato
negli anni attenzione e simpatia nei confronti del suo pensiero? |