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il manifesto
- 21 Aprile 2005
L'Europa
sotto il segno del sacro
Ida Dominijanni
Il nome è
la cosa, e Benedetto XVI è il nome che significa la scelta della
Chiesa cattolica di puntare sull'Europa: sulle radici cristiane dell'Europa,
ben più solide di qualsivoglia Costituzione laica; sull'identità
dell'Europa, minacciata in primo luogo dallo spleen di disamore per se
stessa che la abita; sulla rievangelizzazione dell'Europa, scristianizzata
da troppi secoli di secolarizzazione e di laicità. E se Benedetto
XV, gran politico e gran diplomatico, passato alla storia per la famosa
frase del `17 «Con la pace niente è perduto, con la pace
tutto può esserlo», è un antecedente «europeista»
significativo, ancor più lo è l'altro e più antico
omonimo, San Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo occidentale,
che dell'Europa è il grande patrono. Globalizzata da Wojtyla con
l'ausilio della fine del mondo bipolare, del trionfo populista e dell'esplosione
massmediatica, la Chiesa cattolica si avvia a una riterritorializzazione
a dimensione continentale? E' presto per dirlo, e non è affatto
da escludere che il nuovo Papa concepisca il suo progetto dichiarato di
rifondazione di un'identità cristiana europea come base di dialogo
e non necessariamente di chiusura fondamentalista nei confronti di altri
continenti e altre religioni: non sempre i «pensieri forti»
sono più ottusi di quelli deboli. Questo si vedrà. Ma intanto
la scelta europea è palmare e, in tempi di costruzione europea
a rischio di rapida regressione, politicamente significativa. Se il cardinale
Ratzinger aveva perso la battaglia sull'inserimento delle «radici
cristiane» nel testo della Costituzione europea, papa Benedetto
XVI potrebbe puntare a vincere la guerra della rivincita di quelle radici
antiche sulle più recenti radici illuministe della laicità.
Ma attenzione, quello che si può intravedere all'orizzonte non
è tanto uno scontro frontale con i laici, quanto una guerra di
conquista, basata non sulla rozza visione di un'abissale distanza, ma
sulla più raffinata ipotesi di una inedita vicinanza fra laici
e cattolici, preparata dalla crisi di senso che attanaglia il vecchio
continente e che sta lavorando ai fianchi la fiducia nelle magnifiche
sorti e progressive della secolarizzazione. «L'Europa, proprio nell'ora
del suo massimo successo, sembra svuotata dall'interno, come paralizzata
da una crisi circolatoria, una crisi che mette a rischio la sua vita affidandola
a trapianti che ne cancellano l'identità», scriveva il cardinal
Ratzinger in Senza radici, il manifesto della nuova e santa alleanza fra
cattolici e laici composto a quattro mani con il presidente del senato
Marcello Pera poco meno di un anno fa. La vittoria della secolarizzazione
e della tecnica sul sacro è l'elemento principale della crisi circolatoria,
cui si uniscono il declino etnico, la mancanza di voglia di futuro, la
mancanza di amore per se stesso del vecchio e decadente continente; nonché
i fallimenti storici delle utopie politiche progressiste, dalla laicità
che ha aperto la strada alla dittatura nazista al comunismo che ha cancellato
la dimensione religiosa (ma al quale Ratzinger concede l'onore delle armi
di un'impronta redentiva ed escatologica, scomparsa dall'orizzonte laico
dopo l''89). Infine, terzo ma non ultimo elemento, l'intera storia del
pensiero europeo novecentesco, reo da Nietzsche a Wittgenstein a Derrida
di aver aperto le porte al relativismo culturale che - si badi - è
penetrato anche nella teologia cristiana post-conciliare.Ed è proprio
il relativismo culturale il nemico comune contro il quale la nuova alleanza
fra laici e cattolici può fiorire, nel segno del ritrovamento di
una comune identità cristiana, anzi cristiano-europea. Un'identità
che ritrova le radici divine della ragione e non esclude il dialogo fra
religioni e culture diverse: purché mediato dalla comune misura
del sacro, laddove il relativismo «non riconosce nulla come definitivo
e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie»,
disse Ratzinger nell'omelia pro eligendo romano pontefice. Nulla di più
relativo, va detto, della definizione di relativismo che l'ormai eletto
romano pontefice ci fornisce, identificandolo nel «lasciarsi portare
qua e là da qualsiasi vento di dottrina»: marxismo, liberalismo,
libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, ateismo, misticismo
religioso, agnosticismo, sincretismo, tutte «mode del pensiero»
che non solo hanno cxorrotto il mondo laico, ma hanno agitato «la
piccola barca del pensiero di molti cristiani». «Una fede
chiara, secondo il Creddo della Chiesa», è secondo Benedetto
XVI la soluzione del problema, non tacciabile di fondamentalismo. La Chiesa
scossa dalle troppe domande aperte - e lasciate senza risposta - dal pontificato
di Giovanni Paolo II e dalla tumultuosa trasformazione del mondo globale
può darsi che ne tragga rassicurazione. Di certo ne trarranno giovamento
quanti scagliano l'arma della lotta al relativismo nell'arena dello scontro
di civiltà. Del resto, quando volge la mente ai modelli politici
di organizzazione del rapporto fra Stato e Chiesa, l'europeista Ratzinger
non è al vecchio ma al nuovo continente che guarda con maggiore
interesse. Lì sì che, se da un lato vige «un rigido
dogma di separazione», dall'altro vale, «al di là delle
singole confessioni, un consenso di fondo cristiano-protestante non definito
in termini confessionali, bensì legato a una particolare coscienza
della missione religiosa nei confronti del resto del mondo». E fra
la missione religiosa e la missione democratica teocon il legame si sa
già qual è.
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