| Il manifesto,
21 Luglio 2010
STOP AID «Ora
basta con la carità, l'Africa è schiava degli aiuti»
di
Linda Chiaramonte
Parla l'economista zambiana Dambisa Moyo, autrice di
un best-seller che condanna la dipendenza del continente dai donatori occidentali È
lucida e senza esitazioni Dambisa Moyo, economista africana autrice di Dead Aid
uscito in Italia per Rizzoli con il titolo Quando la carità uccide. La
sua tesi è tanto forte quanto ovvia, sostiene, il suo pensiero ruota intorno
all'analisi attenta e documentata del fallimento del sistema degli aiuti allo
sviluppo al continente africano, da non confondere con gli aiuti di emergenza
come quelli per calamità naturali ad Haiti o dopo lo tsunami. Un pensiero
che potrebbe rischiare di essere strumentalizzato da chi cerca un pretesto per
tagliare tutti gli aiuti, che secondo la Moyo sono spesso causa di dipendenza
economica e ulteriore povertà, oltre che complici di corruzione, guerre
civili e regimi dispotici. Gli aiuti diventano un fattore importante della tragedia
africana alimentando molti governanti con l'unico scopo di arricchirsi. La prova
sta nel miliardo versato all'Africa dall'Occidente negli ultimi sessant'anni e
che non ha dato grandi risultati. Moyo, nata e cresciuta in Zambia, ha un curriculum
brillante: master ad Harvard, dottorato in Economia ad Oxford, per molti anni
analista in Goldman Sachs. Il suo Dead Aid nel 2009 è entrato nella lista
dei bestseller del New York Times. La domanda che si pone con insistenza è
perché l'Africa non sia stata in grado di uscire da una condizione di povertà
grave e cronica. Per Moyo la colpa è da individuare anche nell'elemosina
che costringe il continente africano ad una «perenne adolescenza economica».
Per questo lo invita a liberarsi dall'Occidente. L'abbiamo incontrata a Bologna
ospite della rassegna Molteplicittà. Com'è
nato il suo interesse per l'economia e in particolare per il sistema degli aiuti? Credo
sia difficile crescere in Africa, aver visitato molti paesi nel mondo e non porsi
la domanda «perché l'Africa è economicamente peggiore di tutti
gli altri?». Ricordo molte chiacchierate fatte con la mia famiglia a proposito
di economia e politica. L'economia è una questione di sopravvivenza per
milioni di persone in tutto il continente ed è necessariamente qualcosa
a cui interessarsi. Per molti in Occidente è una materia di cui non ci
si occupa perché si vive una vita confortevole. In Africa fin dal mattino
la gente lotta per portare il cibo in tavola; per questo l'economia è un
elemento conduttore della vita di tutti i giorni. Ho viaggiato quasi in ogni continente,
mi sento molto grata per questa opportunità, l'aspetto più interessante
è stato andare in Asia, in America Latina, in alcuni paesi dell'Est Europa
e vedere ciò che hanno fatto negli ultimi 30 anni, un tempo relativamente
breve. Questo è stato fondamentale per formare il mio pensiero. Perché
l'Africa è così in difficoltà, diversamente da quanto accade
in Cina o in altri paesi che sono riusciti a sollevarsi? Si può spiegare
con il ruolo che esercitano i governi. In tutto il continente la maggioranza dei
presidenti sono inefficienti, hanno cattive politiche, non difendono gli interessi
e i diritti della loro gente. Sembrano molto più concentrati nella loro
crescita personale e nel riempire le proprie tasche e sfortunatamente il mondo
tollera tutto questo che viene fatto a spese di centinaia di milioni di persone.
In questo gli asiatici sono stati diversi, anche se in molti paesi dell'Asia la
corruzione è alta, la gente investe ancora nelle proprie economie cosa
che non accade nel continente africano. Nel
libro si parla dell'ipotesi di tagliare gli aiuti all'Africa nell'arco dei prossimi
cinque anni. Com'è possibile? Non ho mai detto questo. Nel libro uso
il condizionale «cosa accadrebbe se...» per stimolare una discussione
sul tempo in cui l'Africa dovrà «svezzarsi» dal sistema degli
aiuti. Non avrebbe senso tagliare gli aiuti a tutti i paesi africani. I paesi
hanno raggiunto diversi livelli di sviluppo economico: l'Etiopia è diversa
dallo Zambia e dal Ghana, un taglio drastico sarebbe insano. Non potrei mai immaginare
una proposta simile che prevedesse di tagliare gli aiuti nel giro di soli cinque
anni. Alcuni paesi hanno avuto incredibilmente successo nel farlo: Sudafrica e
Botswana; in altri paesi la leadership è quasi sul punto di svezzarsi dal
sistema degli aiuti come il Ruanda. È giusto parlare dello «svezzamento»
dell'Africa dagli aiuti, ma è assurdo parlare di un programma da realizzare
in cinque anni. Tuttavia c'è un'urgenza sempre maggiore che riguarda anche
i paesi donatori: gli Stati uniti, l'Inghilterra e molti altri stati europei che
non possono più affrontare lo sforzo di dare all'Africa altro denaro perché
hanno seri problemi strutturali che riguarderanno le loro economie anche in futuro.
Non ci sarà abbastanza denaro per mandare aiuti ai paesi africani. La
sua tesi sembra essere un po' controversa... Non capisco cosa ci sia di controverso,
penso sia ovvia. Tutto il resto del mondo sta operando sul modello che descrivo,
ovvero finanziare programmi di sviluppo basati sulla combinazione di mercato,
investimenti stranieri diretti ecc... È così che l'Italia, gli Stati
uniti e la Cina sopravvivono, perché è così controverso per
l'Africa usare lo stesso modello economico che ha generato successo? Non sono
la prima a fare una critica al sistema degli aiuti, anche Peter Bauer, a cui ho
dedicato il libro, sosteneva queste tesi già negli anni '50 oltre a Bill
Easterly, grande economista americano autore di «White Man's Burden»
che ha espresso il suo punto di vista. Quali
sono le soluzioni e le alternative a questo sistema? Non chiedo all'Africa,
agli africani o alle comunità internazionali di sviluppare un nuovo sistema.
Ciò di cui ha bisogno l'Africa è copiare ciò che ha fatto
il resto del mondo, incoraggiare una forte e responsabile relazione fra la gente
e i governi. In questo senso gli aiuti creano una frattura fra i singoli cittadini
e i governi, non ritenuti responsabili dalla gente locale. In quasi tutto il continente
i politici al potere sanno che i paesi donatori danno aiuti all'Africa sebbene
sappiano che i governi non si impegnano nel ridurre la povertà e per favorire
la crescita. Il presidente Obama o Berlusconi o chiunque altro, sa che ha bisogno
di avere il supporto degli elettori per essere in carica nel suo paese. Sfortunatamente
un gran numero di persone nel mondo sviluppato crede si possa aiutare l'Africa
solo attraverso gli aiuti, e questo è un problema. L'alternativa dovrebbe
essere la microfinanza, il mercato, gli investimenti stranieri diretti, incentivare
le tasse e le rimesse. Si tratta di copiare ciò che ha fatto il resto del
mondo. Se non si vuole guardare al modello europeo e americano si può prendere
come riferimento la Cina, l'India, la Russia, il Brasile. Come questi paesi hanno
tirato 300 milioni di persone fuori dalla povertà? Non certo affidandosi
agli aiuti. Come potrebbe cambiare
l'economia mondiale? Credo ci siano molti problemi strutturali; sono stati
fatti molti errori politici in merito al lavoro, all'accesso all'istruzione; ci
sono molte questioni che i paesi occidentali in particolare devono trattare, necessari
per trasformare le loro economie in declino. Il
suo libro ha avuto un qualche impatto su chi decide le politiche degli aiuti? Ho
trascorso molto tempo con rappresentanti dei paesi donatori, ministri dello sviluppo
internazionale, ma anche con presidenti e politici di molti paesi africani. Molti
governi riconoscono che il sistema degli aiuti non è sostenibile, così
come i donatori sanno che a causa dei loro problemi economici non possono continuare
a mantenere gli aiuti, ma la questione è: come spiegare agli elettori che
quello degli aiuti non è il sistema giusto dopo che per 60 anni abbiamo
convinto la gente che lo fosse? Ha
mai incontrato Bob Geldof e Bono Vox, promotori di grandi campagne umanitarie
a favore dell'Africa come Live Aid? Sì. Non discuto le loro motivazioni,
ma non penso stiano offrendo una soluzione sostenibile e a lungo periodo. Finché
non ci sarà una crescita economica in Africa tutte queste iniziative saranno
soluzioni tampone. Di cosa tratterà
il suo prossimo libro? How the West was Lost uscirà a gennaio e continua
ad occuparsi del tema delle conseguenze involontarie, le cose che facciamo credendo
giuste, ma le cui conseguenze non lo sono. Tratta di circa 50 anni di politiche
in Europa e negli Stati uniti che hanno buone intenzioni, ma i cui risultati non
lo sono affatto. |