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Il
manifesto - 25 agosto 2009
Berlusconi
story, il fulcro rimosso
Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa
Come sempre il modo è sostanza del
discorso. Lo conferma la strana piega del dibattito mediatico sullo scambio
fra sesso e potere, innescato dalle pubbliche esibizioni della «virilità»
del premier. Sulla «miseria della mascolinità» che
sta andando in scena dovrebbero essere gli uomini a dire qualcosa, ha
osservato giustamente Tamar Pitch (il manifesto, 3 agosto). È un
silenzio, quello degli uomini sulla mascolinità che parla di impotenza
a dare senso alla sessualità. E dunque alle relazioni. E che genera
arroganza, simbolica e fisica, proprio perché quell'impotenza è
negata. Invece di incalzarlo, su Repubblica e su l'Unità si lamenta
il «silenzio delle donne». Torna così la più
classica rappresentazione, maschile, delle donne. Sono loro le responsabili
di quella miseria, sessuale e politica, perché «apprezzano»
(o apprezzerebbero) questa mascolinità. Da qui il dibattito sul
consenso - femminile!- a Berlusconi, l'uomo e il politico. E sull'identificazione,
rassegnata o complice, con l'immagine, degradata e degradante, della donna-oggetto.
Che sarebbe la sola, oltre che la solita, offerta dalla Berlusconi story.
Della quale, inforcando gli occhiali patriarcali dei ruoli tradizionali,
si perde di vista inevitabilmente il fulcro, con quello che di inedito
segnala sulla sessualità e sulla politica. O meglio, come ha scritto
Bianca Pomeranzi (manifesto, 18 agosto), sui fili che costituiscono l'ordito
comune all'una e all'altra. Su questo sì, merita discutere, sui
giornali e non solo. Tra donne, e tra donne ed uomini. Creando, come abbiamo
fatto tante volte in questi anni, occasioni e sedi di una sfera pubblica
che interagisca con i media, senza dipenderne.
Da mesi Ida Dominijanni offre su questo giornale la lettura più
acuta e convincente della vicenda, collocandola nello scenario del «dopo-patriarcato»
e smascherando gli equivoci più comuni, cari a uomini (e donne)
politici di destra, e di sinistra. In breve, sono due i punti sui quali
riflettere. Il primo è il sistema di scambio tra potere, sesso
e denaro. Costruito e imperniato sul premier e la sua corte, chiama in
causa la politica tutta, e la società. Ed è fenomeno con
forti, preoccupanti, connotati nazionali. Ma non è solo e tutto
riducibile ad un'anomalia italiana. Il secondo è che questo sistema
coinvolge, ovviamente, le donne, ma spesso e volentieri queste non stanno
al posto loro assegnato.
Tornando alla parola e al silenzio. Vi è un rovesciamento delle
parti che può apparire singolare (di fatto è ignorato) solo
a chi non ha esperienza o conoscenza delle pratiche femministe. A prendere
parola pubblica sono state infatti donne del e dal privato: la moglie,
Veronica Lario, l'escort Patrizia D'Addario, la figlia Barbara Berlusconi.
Ed altre. Viceversa c'è stato silenzio, pesante, delle donne delle
istituzioni politiche. Soprattutto nell'area dell'opposizione. Rotto solo
tardivamente da alcune, segnalando difficoltà e reticenze. Oppure,
dalle file della maggioranza, c'è stata parola «a difesa»
di Berlusconi. Da una posizione che si può definire «privata»,
perché dettata da e volta a ribadire la relazione con l'uomo. E
a ricondurre le altre, la moglie e l'escort innanzitutto, al loro ruolo.
Privato, per l'appunto.
Comunque, come ha più volte ricordato Dominijanni, se questa storia,
tutta politica, è pubblica, è per quello che ne hanno detto
le donne. Prima tra tutte Veronica Lario. Come ha scritto la redazione
del sito della Libreria delle donne di Milano: «Per noi, a noi,
Veronica Lario ha parlato chiaro e forte, la sua voce è stata intesa
da parecchie persone e altre donne hanno parlato accreditando le sue parole
come parola femminile indipendente dalla logica del potere».
È questo discorso a più voci che ha messo a nudo il sistema
di scambi tra potere,sesso e denaro. E la miseria della mascolinità.
Ed ha altresì evidenziato quanto siano ormai diversificati i modi
femminili di farci i conti. Non tutti, ovviamente, apprezzabili. Vi è
un guadagno prezioso per tutte in questo. Non siamo più costrette
a dividerci tra sante e puttane, tra donne in carriera e mogli. Ma è
un guadagno che va perduto se prevale l'abitudine, dura a morire, a non
riferirsi esplicitamente alla parola di altre. Per confermare e approfondire.
Per correggere o per dissentire. Come non c'è il «silenzio
delle donne» , così «le donne» non parlano all'unisono.
Non è (più) possibile e neppure auspicabile.
Per alcune, invece, c'è parola femminile solo se c'è grido
collettivo. Di più, solo portando «i nostri corpi in piazza»
si vince la passività e la rassegnazione (Lidia Ravera, l'Unità
12 agosto). È stato ripreso da molte nelle lettere al giornale,
il suo invito a «contarsi per ricominciare a contare». Per
riprendere la rivoluzione interrotta del femminismo. Mobilitazione o no,
sono in diverse a leggere la «Berlusconi story» come restaurazione
del maschilismo. Sintomo o effetto del declino del femminismo. Per Eva
Cantarella (l'Unità 26 luglio) è anzi la conferma della
«doppia morale, come se nulla fosse accaduto negli ultimi decenni».
Tanto più sconfortante, per noi, se sono le giovani che «si
lasciano abbagliare da vecchi uomini potenti» (Nadia Urbinati, la
Repubblica 30 giugno).
Ma è davvero così? A noi sembra che la Berlusconi story
parli di altro. Certo, la complicità femminile non è finita.
Certo, il potere è ancora, largamente, nelle mani degli uomini.
E dunque vi sono donne che accettano lo scambio fra sesso e potere. Nelle
forme prodotte dalla pervasiva privatizzazione del pubblico. Contrattano
posti e carriere politiche, non si accontentano dei regali. Ma né
Patrizia D'Addario né le altre «intrattenitrici» sembrano
«lasciarsi abbagliare» da vecchi uomini potenti. Molte di
loro ridono di una sessualità, compulsiva e ossessiva, figurata
più che praticata. Quanto al potere, sembrano adattarsi alla logica
del mercato che ha invaso a piene mani la politica, più che subire
il fascino del maschio potente. A conferma che gli uomini hanno potere
ma hanno perduto autorità. E vi si aggrappano ferocemente, nell'illusione
di compensare questa perdita.
Questa miseria, della politica e della sessualità, ci preoccupa
e ci interroga. Ci preoccupa la paura, di cui ha scritto Pitch, che troppi
uomini hanno della libertà delle donne. Comunque si manifesti.
Nella contrattazione del sesso, nella parola pubblica di una moglie, nell'autonomia
delle scelte di vita. O nella presa di distanza dalla (loro) politica.
Ci preoccupa la diffusa incapacità maschile, in tante situazioni
e rapporti, a cimentarsi in relazioni con donne non subalterne. E la resistenza
ad assumersi l'onore e l'onere di mutare discorso e pratiche della sessualità
maschile. Persistendo nella tendenza a fare dei rapporti tra i sessi un
«problema di donne». Fatta salva la loro pretesa di dettare
legge sui corpi. Ma anche questa, nonostante tutto, è un'arma spuntata
del potere. Può fare male, molto male, ma non fa più ordine.
Se non si collocano gesti e parole, di donne e di uomini, nello scenario
del «dopo patriarcato», non si capisce, alla lettera, quello
che accade. Ed è inutile, oltre che arduo, provare a reinventarsi
i ruoli e le identità di genere. Non fanno più presa sui
corpi che siamo. E non danno più senso e futuro alle vite e alle
storie. La Berlusconi story sancisce la fine non solo della politica di
genere e delle pari opportunità (Natalia Aspesi (Repubblica, 13
maggio). Ma complica anche l'analisi della contrapposizione tra oppresse
e oppressori. E la conseguente ricetta della mobilitazione di massa per
rovesciare il potere.
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