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manifesto - 25 Marzo 2004
Erotico
ed eretico, il graffio di Rama Una grande retrospettiva alla Fondazione
Sandretto Re Rebaudengo rende omaggio a Carol Rama, un'artista irriverente e innovatrice
che ha saputo anticipare le più importanti neoavanguardie contemporanee.
Fino al 6 giugno ELENA DEL DRAGO
La grande antologica dedicata dalla
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Carol Rama si è aperta così:
con la gente in fila per entrare, i bambini che correvano verso l'artista, ben
riconoscibile al centro della sala, a chiedere un autografo e un clima riscaldato
da un affetto diffuso. Meglio tardi che mai, questa artista torinese, oggi ottantacinquenne,
ha così ricevuto l'omaggio della sua città, dopo i lunghi anni di
isolamento seguiti all'ormai celebre chiusura, per oscenità, della sua
prima mostra personale. Era il 1943 e allora, nel rigido clima fascista del «Ritorno
all'ordine», le figure «erotiche ed eretiche» di Carol Rama
facevano scalpore: erano corpi femminili e maschili mostrati senza tabù,
senza alcuna patina di piacevolezza, in pose oscene e volgari. Un'autentica rivoluzione,
che contemporaneamente, segnò per sempre il percorso creativo dell'artista
e ne preparò la successiva, definitiva, consacrazione. Perché questi
lievi acquarelli, la splendida serie intitolata Appassionata innanzitutto, che
raccontano di donne nude, a gambe divaricate, private degli arti, su sedie a rotelle
oppure sdraiate su letti d'ospedale, ma sempre coronate da ghirlande di fiori
colorati, erano un attestato di libertà estrema che dovette in qualche
modo segnare anche l'artista stessa. La quale, infatti, preferì allontanarsi
da questa materia bollente per decantare altrove il proprio vissuto. Eppure proprio
su queste opere, così incredibilmente contemporanee, vicine alle postavanguardie
di fine secolo e all'eterogenea tendenza Post Human, è stata edificata
la rinascita di quest'artista, la sua nuova considerazione critica culminata con
il Leone d'Oro alla carriera assegnatole in occasione della scorsa Biennale di
Venezia. Una rilettura cominciata però molto prima, nel 1983, con l'ormai
mitica rassegna curata da Lea Vergine e intitolata L'altra metà dell'avanguardia,
che, ben prima che diventasse una moda, poneva l'attenzione sull'arte femminile
dal cubismo alle neo-avanguardie. E continuata poi, sempre su iniziativa di Lea
Vergine, con la sua prima personale nel sagrato del Duomo di Milano. Ed è
proprio il lavoro viscerale attorno al corpo, il filo conduttore dell'intero percorso
di Carol Rama, dagli anni Trenta a oggi, e dunque di questa mostra che, curata
da Guido Curto e Giorgio Verzotti, ne rilegge la straordinaria forza espressiva
aldilà dei tentennamenti e della disunità che certamente lo caratterizzano
(fino al 6 giugno, catalogo Skira). Il
corpo dunque, che non ricomposto, diventa il paradigma visivo di un'impossibile
riconciliazione esistenziale: un feticcio attraverso il quale mettere in scena
le proprie difficoltà e il proprio dolore. «Dipingo per guarirmi»,
ha detto nel 1981 l'artista in un incontro con degli studenti voluto da Corrado
Levi, e deve essere sempre stato così. Sempre un continuo travaso di materia
esistenziale su fogli bianchi. La dura storia famigliare - il tracollo finanziario
prima, la separazione dei genitori e il suicidio paterno poi - ma anche gli oggetti
osservati in casa - scarpe dal tacco alto e dentiere, «scopini del cesso»
e pennelli da barba - tutto viene trasformato in personaggio e reso protagonista
di una rappresentazione autobiografica insieme elegantissima e oscena, «fra
eleganze liberty e insulti espressionisti» come scrisse Albino Galvano.
Perché l'indubbia fascinazione per Egon Schiele, è trasformata da
una visionarietà femminile prepotente. Quella realizzata da Carol Rama,
infatti, è una rivoluzione sessuale, che attraverso un'elaborazione grafica
tenue e delicata, inverte i ruoli e le abitudini sociali più consolidate,
racconta di una natura femminile sofferente ma fiera. «L'erotismo per me
è il rifiuto di ogni pruderie. E' sensualità, rapporto con i sensi,
col corpo, femminile e maschile, visto e sezionato, in tutte le sue parti e funzioni.
Chi vive una libertà intimistica è libero, è fuori dall'iconografia,
dalle convenzioni», ha detto l'artista a Guido Curto. Una necessità
poetica talmente forte da riemergere a intermittenza, ma costantemente, negli
anni. Anche dopo quell'appassionata adesione al Movimento Astratto concreto, al
Mac, che sembrò essere dettato più da necessità esistenziali
che artistiche. «Quando ho aderito al Mac, negli anni Cinquanta, credevo
di dover guarire da quell'eccesso di libertà che mi era stato rimproverato.
Lì avevo trovato un rigore, una possibilità di riordinare il mio
lavoro». Un rigore, come testimoniano diverse tele esposte, Composizione
n 9 del 1955 oppure Paesaggio del 1951, comunque mediato da una natura poco incline
a un procedere sistematico. E
infatti l'adesione all'astrattismo dura poco e presto ricompaiono gli elementi
favoriti di un lessico personalissimo: sono gli anni dei Bricolage, secondo il
titolo voluto da Edoardo Sanguineti che dell'artista è amico carissimo,
tele apparentemente vicine al movimento Informale, in cui però il segno
astratto non è solo tracciato dal colore sulla tela, ma anche sottolineato
dalla presenza di oggetti, occhi finti comprati da un imbalsamatore a Milano,
siringhe, cannule vaginali oppure denti. Poi all'improvviso compaiono le ormai
celeberrime gomme di bicicletta, con le quali Carol Rama crea dei collage che
fanno pensare immediatamente ai Cellotex di Burri, anche se a ricomparire è
sempre un interesse prepotente per il corpo: in Organismi ancora ben definiti
ma vulnerabili (1971), per esempio, le gomme su sfondo nero, tracciano un arto,
surreale, ma ben riconoscibile. Gomme che servono a Carol Rama anche per realizzare
uno degli ultimi cicli, di chiara attualità, quello della Mucca Pazza.
In questo caso sono parti anatomiche animali a essere tracciate su una superficie,
anch'essa realizzata con materie industriali, come il sacco postale. |