| Il manifesto,
25 Luglio 2010
La
morte di Ipazia, filosofa e scienziata LIBRI: MARIA MONETI CODIGNOLA,
IPAZIA MUORE, LA TARTARUGA di Luisa Muraro
Ci sono storie che fanno la storia, nel senso che, a ogni svolta, si ripresentano
per farsi raccontare nuovamente: quella di Socrate, di Alessandro Magno, di Gesù
di Nazaret... Con il femminismo ritorna quella di Ipazia d'Alessandria, filosofa
scienziata crudelmente uccisa nel 415 da un gruppo di cristiani fanatici. E domanda
di essere iscritta in una tradizione finora troppo unilaterale. La storiografia
scientifica storce il naso, ha paura delle idealizzazioni ma sbaglia, il femminismo
infatti ha nutrito studiose di prim'ordine e porta vedute nuove. Ipazia, dal 1984,
ha dato il suo nome alla rivista delle filosofe femministe di lingua inglese,
"Hypatia"; è diventata argomento di rinnovate ricerche, fra le
quali ricordiamo la Ipazia d'Alessandria di Gemma Beretta del 1993, un libro che
vorremmo vedere nuovamente pubblicato, e il saggio breve di Silvia Ronchey, Ipazia
l'intellettuale (1994). E, come già in passato, ha ispirato opere di fantasia,
tra le quali il romanzo storico Ipazia muore di Maria Moneti Codignola, apparso
dieci anni fa e recentemente ripresentato dalla Tartaruga. Ipazia muore scannata
come un agnello, in una città fra le più importanti del Mediterraneo,
all'epoca sconvolta da conflitti laceranti ai quali lei non volle partecipare
e tentò forse di portare risposte ragionevoli, lei donna insigne e venerata,
estranea alla comunità ebraica come a quella cristiana che si detestavano
ma in una cosa erano d'accordo, nell'escludere le donne dalle funzioni sacerdotali.
Non fu uccisa per le sue idee, come si è detto, il cristianesimo infatti
non avversava il neoplatonismo che lei professava, ma per quello che lei era:
una donna indipendente e pura da ogni complicità, in una scena pubblica
occupata da conflitti di potere tra uomini. Di tutto questo parla il romanzo
della Moneti Codignola e di altro ancora, come la distruzione del santuario degli
elleni d'Egitto, il Serapeo, come la vita di Sinesio, l'allievo prediletto di
Ipazia. Qua e là c'è qualche licenza che il genere romanzo storico
ammette, tranne una, l'aver immaginato che Sinesio diventi vescovo senza aver
accettato il battesimo! Ma la scommessa del libro è di ricostruire
gli aspetti storici dando alla protagonista uno spessore di umanità femminile.
Lo fa immaginando che, altera fino a essere algida, ma intimamente agitata e insicura,
questa figlia del padre che sembra la dea Atena, a un certo punto scopre di essere
donna figlia di una donna e si trasforma intimamente. Non è la conversione
da una religione all'altra ma da una personalità ingabbiata nel modello
del filosofo distaccato e superiore, alla pienezza di un pensiero femminile vivo
e sensibile, tramite la celebrazione di "misteri" riscoperti dal femminismo,
la relazione materna e la sacralità del corpo, cui, sempre nel romanzo,
viene ammesso anche un uomo, lo schiavo innamorato Antinoo. Il pensiero di Ipazia,
prima che alla storia della filosofia, ha scritto Silvia Ronchey, appartiene a
quella, pagana non meno che cristiana, del rapporto fra la donna e il sacro.
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