Libreria delle donne di Milano

il manifesto - 27 febbraio 2005

Nel vento infernale la parola dell'amore
Divina, umana commedia L'ultimo numero di "Dwf" offre spunti di riflessioni a partire dal V canto dell'Inferno. Oltre e fuori dall'inganno della fusionalità a due, la politica dell'amore come relazione interroga il mondo abitato da guerra e terrore facendo della fragilità umana un'apertura all'altro
CATRIN DINGLER

L'orizzonte è coperto di nero. Le bandiere di pace hanno perso colore, sbiadite e arruffate pendono nel vento. Un vento di guerra, una tempesta di immagini terribili, scandalose, insopportabili. Rischiamo di essere travolte, senza nulla speranza. In questa bufera infernal l'ultimo Dwf invita a riflettere sul canto V della Divina Commedia. Il canto in cui una donna, Francesca, prende la parola e parla d'amore; l'amore che "non porta a visioni consolatorie ma piuttosto a indagare tensioni e contraddizioni della realtà", come sottolineano le curatrici del numero, Rosetta Stella e Federica Giardini, nella nota introduttiva. In effetti, nella bufera infernal sono le donne che cercano "la forza di sottrarsi alla forza", come ha scritto Luisa Muraro sul manifesto qualche tempo fa, e le parole per parlare d'altro - dell'amore appunto. Ne ha parlato già nell'autunno scorso, prima sulle pagine di questo giornale e poi in una lezione al "grande seminario" della comunità filosofica "Diotima" di Verona (che riproporrà giovedì prossimo alla Casa internazionale delle donne di Roma), Ida Dominijanni, partendo anche lei dalla tempesta di guerra dei nostri giorni che ci costringe a fare i conti con la nostra vulnerabilità, con l'esperienza del dolore e del lutto, con una violenza espropriante cui Dominijanni contrappone la potenza espropriante dell'amore, l'unica in grado di volgere la fragilità e l'esposizione delle nostre vite precarie, come le definisce Judith Butler, alla relazione con l'altro e non al suo annientamento.

Dwf riprende e rilancia quindi un tema già presente tra le pensatrici femministe - non a caso proprio "Diotima" pubblica da qualche mese un giornale on-line che s'intitola Per amore del mondo (www.diotimafilosofe.it) - per indagare "sullo stato delle relazioni amorose tra uomini e donne, ma poi anche più ampiamente sull'amore". Rosetta Stella comincia la serie di riletture intrecciando il canto dell'inferno con il mito del paradiso, e ci offre una interpretazione della Genesi secondo la quale Dio non avrebbe creato la donna "per complementare, quanto piuttosto per limitare" l'eccesso di giubilo del maschio: "Un troppo nel senso di sé e della sua potenza totalizzante; troppo incline a diventare strapotere". La donna avrebbe dovuto risvegliarlo al vero senso del conoscere e dell'amare: farlo "fuoriuscire dall'orgoglio privo di infinito del suo troppo pieno, per avventurarsi nell'infinito possibile delle creature umane". Sappiamo come è andata la storia: dopo la cacciata dal paradiso, di questa sapienza femminile poco sembra essere rimasto. Anzi, guardando all'oggi vediamo come "pulsioni emancipatorie" portino anche molte donne all'eccesso di "sostenere un ordine `fallico' anche a costo della propria rovina". Nulla speranza? Nonostante queste notizie pessime Stella insiste su "un di più femminile nell'amore", con riferimenti a mio avviso molto problematici alla sessualità della donna. Mi trovo più d'accordo con lei quando scommette su una "scoperta" politica più recente, la libertà femminile e la possibilità "di servirsene per cambiare lo stato delle cose nel mondo".

A questo proposito è suggestiva l'idea di Federica Giardini di pensare l'amore e la storia intrecciando la rilettura del canto dantesco con la tesi benjaminiana sull'angelo della storia. Sebbene in questo tempo di terrorismo e di guerra ci troviamo tutti, uomini e donne, in una condizione comune diesposizione alla violenza, la tempesta - scrive Giardini - non travolge "il due-in-uno dell'angelo, travolge un uomo e una donna e li travolge in modi diversi", giacché donne e uomini "non hanno la medesima genealogia e, al presente, non occupano le stesse posizioni". Non penso, tuttavia, che la differenza permetta alle donne di chiamarsi fuori dalle catastrofi del passato e del presente. Il mucchio di rovine non rimanda semplicemente a una "verità maschile" andata in frantumi. Il mucchio di rovine segna il crollo dell'ordine politico moderno e chiede - ha sottolineato Dominijanni al seminario di "Diotima" - di ripensare l'antropologia politica. Il soggetto nella tempesta è un soggetto fragile, vulnerabile ed esposto alla violenza a discapito delle sue pretese di sovranità e autonomia. La sfida è quella di riconoscere e rendere riconoscibili l'offesa, il dolore e il lutto anziché irrigidirsi in un narcisismo aggressivo o chiudersi in una depressione malinconica. Ed è proprio qui che rientra in gioco la differenza sessuale. Perché se da un lato - dice Dominijanni - questa condizione di fragilità offre l'occasione di ripensare la relazione tra uomini e donne sulla scala della debolezza e della mancanza e non della forza e del potere, dall'altro sembra evidente il vantaggio femminile rispetto a una concezione del soggetto non più sovrano. Le donne conoscono e sanno sopportare di più la fragilità propria e quella altrui. E nella piega del presente - Dominijanni lo scrive in Approfittare dell'assenza, l'ultimo libro di Diotima - la cultura femminile ha il vantaggio di aver elaborato tempestivamente una critica all'individuo sovrano della politica moderno e lavorato a "una strategia basata sulla differenza e sulla relazione".

Dopo il taglio femminista insomma "chi è nella tempesta è tempesta a sua volta" (Giardini), può prendere una posizione diversa e far valere il pensiero e la pratica della differenza. Nel vento c'è la singolarità sessuata, un corpo che si forma e riforma mettendosi in relazione (non necessariamente secondo la matrice eterosessuale, prevalente nei contributi di Dwf ) e che si lascia trasportare dall'amore. Un amore che - Giardini lo evidenzia - "non ha più per oggetto un uomo, non le basta, ha a che fare con il mondo intero". Per amore del mondo la donna si lascia coinvolgere, alza la voce in mezzo alla tempesta.

L'amore come pratica politica dunque. È un passaggio difficile e, come dimostra l'insieme dei contributi, tutt'altro che acquisito. Nelle stesse pagine di Dwf ricorre la nostalgia per quell'infernale amor che a nullo amato amar perdona. Nel desiderio di vivere un'"attrazione irresistibile", sentimento "che porta a dimenticare se stessi" (Scaraffia) appare ciò che Stella chiama "l'illusione dell'identico e del fuso", "che è tutto immanenza", destinata a morire, perché "sul bordo dell'immaginario fusionale nessuno dei due è libero". Anzi, restando fedele a un'idea dell'amore non toccata dalle faccende mondane, riappaiono puntualmente pregiudizi quasi sessuofobici (Scaraffia) e quella scissione fallologocentrica tra corpo e mente, passione e ragione (Fiori, Vantaggiato) che la critica femminista dovrebbe aver smentito da tempo.

La persistenza dell'ideale di un amore privato e privatizzato va letto come sintomo. Il desiderio della passione a due è la fuga dell'immaginario da una società in cui gli affetti vengono telecomandati: una passione oltre limite in realtà fa tremare. Rosa Rossi accenna a questa "esistenza mancata" che non riesce a tenersi aperta alla chiamata dell'altro/a "perché in lui i canali della ricezione e dello scambio sono come otturati". Ma non c'è soluzione privata: il personale è politico, recitava il primo slogan femminista. La paura di trovarsi esposto/a all'altro/a non si vince ripristinando il narcisismo offeso, individuale o statuale che sia, bensì mettendo in gioco quel desiderio finora inibito di trovare l'altro/a. La crisi che travolge l'individuo è quella che investe lo statuto della soggettività moderna. Il politico è personale: sembra - dice Dominijanni - che il circolo si stia completando e il pensiero femminista venga sollecitato a un nuovo intervento.

L'idea di una politica d'amore tenta di ricambiare il desiderio di perdere se stessi con l'espropriazione del sé e l'ansia di essere travolto/a con il piacere paradisiaco "che si rinnova ogni volta che ci si lascia andare alla perdita, che si acconsente, pur nel dolore, a separarsi". Il passo nuovo riguarda la necessità di farsi spiazzare, di accettare la perdita dell'identità acquisita, di rinunciare al riconoscimento nei propri termini, di imparare altri gesti, di sopportare lo scacco. L'amore per l'altro/a vuol dire buttarsi nella corrente in cui si confondono le lingue, saper "smettere di declinare ciascuno la propria lingua" e dare ascolto all'altro/a, alla lingua corrente. Con un gioco di parole risuona così nel testo di Stella l'espressione di Muraro. Non a caso: proprio Muraro ha richiamato già qualche anno fa (in Duemilauna, Il Saggiatore) l'attenzione all'intelligenza dell'amore: quella capacità di fare della mancanza che muove l'amore un'apertura all'altro, alla conoscenza, al mondo, andando contro la tradizione filosofica che separa la conoscenza dalla sensorialità. Può passare anche da qui l'apertura di un altro orizzonte nella politica. Le risorse di una politica d'amore sembrano tante, "e - conclude Stella - forse ancora moltissime sono da scoprire per poterci fare leva e non precipitare."