Libreria delle donne di Milano

il manifesto - 28 Luglio 2004

De Sanna, la passione dell'arte
di Lea Vergine

Iole De Sanna all'arte ci credeva. Durante i poco più di cinquant'anni di vita che le sono toccati (prima di un tragico incidente automobilistico) non ha fatto che perseguire il segreto dell'anima dell'arte. De Sanna aveva molti talenti: li esercitava in modo che noi tutti del micromondo dell'arte contemporanea ne rimaniamo privi, al di là di ogni retorica constatazione. Storica dell'arte, inappuntabile per onestà e precisione, appassionata degli scritti degli artisti (si pensi alla sua lettura di Medardo Rosso o a quella di Lucio Fontana, libri entrambi usciti nel 1985 e nel 1993 per Mursia editore) debuttò, giovanissima, lesta come una gazzella e soavemente sexy per la chioma color ruggine, con la mostra Apatico (Museo di Verbania a Pallanza) nel 1976. Mostra e libro costituirono, e ancora costituiscono, una vera e propria summa nel senso della scultura interpretata da Fabro, Nagasawa, Trotta, Staccioli e Tonello; quel che ne fece un unicum fu che seppe mescolare sapidamente testi e citazioni che contrapponevano e mescolavano le affermazioni dei contemporanei con quelle di Gian Lorenzo Bernini, Canova, Medardo Rosso, Gemito, Melotti, Fontana, Paolini, Melani e un incredibile Brancusi.

Nei circoli dove si fanno e si disfano i destini degli artisti e dei critici si parlava poco di Jole De Sanna, sebbene i suoi testi sugli autori che ha amato fossero di primissimo ordine. Così come il libro Forma-L'idea degli artisti 1993/1997, uscito nel 1999 per Costa & Nolan, rimane un excursus esemplare sul lavoro di quegli anni.

De Sanna non sgomitava, anzi si defilava appena possibile: se chiedeva qualcosa, si trattava solo di informazioni per l'«Archivio dell'Arte» dagli anni `50 ad oggi, una delle tante imprese cui lavorava. Aveva anche fondato, insieme ai suoi sodali artisti e discepoli, «La Casa degli Artisti» a Milano, nel `78. Era poi riuscita a ottenere il restauro dell'opera di De Chirico, Bagni Misteriosi, un dipinto su pietra alloggiato, nel 1973, al parco Sempione, sempre a Milano.

La si ricorda trasognata o, più spesso, eccitata da ardori filologici, gioiosamente sorpresa per avere scoperto un documento artistico e te lo raccontava col suo sorriso un po' infantile, sotto gli occhi lustreggianti da Minerva. Ha vissuto tra noi come se vivesse altrove: era l'impressione che ti lasciava. A metà tra invenzioni poetiche come Ariel e Clorinda, è stata, a suo modo una sorta di figura mistica: era, a tratti posseduta da impeti di passioni e di dedizioni. Ne sanno qualcosa gli artisti per cui ha impiegato la vita e chiunque abbia avuto bisogno di assistenza e conforto, materiale o spirituale che fosse.

In anni più recenti aveva ripreso a studiare opere e scritti di De Chirico (è tutto reperibile presso le edizioni Bompiani, Scheiwiller, Rizzoli, Abscondita, Quaderni della Fondazione De Chirico). Faceva il suo lavoro, e anche quello degli altri; nella sua discrezione magistrale, spesso firmava solo le postfazioni.

Nessuno, fino ad ora, a Milano (all'Accademia di Belle Arti, per esempio, dove è stata per quasi trent'anni mitica e adorata docente) ha trovato il tempo o l'occasione di ricordarla. Strano. O forse no?