il manifesto - 28 Agosto 2005

La pericolosa vita della candidata
Intervista a Dawi, passata dalla scuola clandestina al giornale femminile, alla campagna elettorale
Shukria Barakzai, detta Dawi, è una delle candidate alla Wolesi Jirga, oltre che fondatrice nel 2002 del primo giornale afghano per donne. Il giornale femminile We News di Kabul l'ha intervistata.
RASHA ELASS

La scuola clandestina. «Ero andata dal medico quel giorno di maggio del 1999. Mentre tornavo a casa i talebani mi assalirono. Tentai di spiegare che ero malata, ma non ascoltarono, e mi colpirono con lo shalock, la frusta di gomma usata dalla polizia morale talebana per punire i civili, principalmente le donne, con una fustigazione sulle gambe e sul dorso». Dawi fu battuta perché si trovava all'esterno della propria casa. Quel giorno vi tornò determinata a sfidare la nuova oppressione che era caduta sul suo popolo. «Pensai che avrei aperto una scuola clandestina per le bambine arruolando come insegnanti tutte le mie amiche che avevano un'istruzione. Anche io divenni un'insegnante. Ho amato molto quel lavoro perché capii subito quanto avevamo bisogno di assicurare un'istruzione alle bambine. Ne avevamo bisogno forse più che del cibo». In circa tre anni Dawi e le sue amiche volontarie, sostenute dalle proprie famiglie, hanno insegnato a centinaia di ragazze di tutte le età. «Le bambine arrivavano una per volta», racconta. «Mai in gruppi, altrimenti avrebbero potuto essere prese e punite dai talebani. Nascondevano i libri e la cancelleria negli indumenti intimi, sotto i burqa. Alcune erano così giovani che non capivano perché dovevano nascondere tutto. Abbiamo dovuto spiegarglielo noi».

La scuola segreta funzionò. Molte delle studenti di Dawi sono oggi al liceo o all'università, oppure già lavorano come impiegate e giornaliste. «L'altro giorno ero all'Università di Kabul e i professori mi hanno detto che erano sorpresi dal fatto che molte ragazze avessero frequentato solo `scuole domestiche'. Erano impressionati dal livello di istruzione delle studentesse della nostra scuola».

I nuovi ostacoli. Ora nessuna legge impedisce alle bambine di avere un'istruzione, ma altri ostacoli permangono. «La mancanza di sicurezza - dice Dawi - rende alcuni aspetti della vita ancora più terrificanti di quanto lo fossero sotto il regime talebano. L'Onu ha di recente rilasciato una dichiarazione assai preoccupata per il peggioramento delle condizioni delle donne in Afghanistan. Il paese ha uno dei più alti tassi al mondo di mortalità correlata al parto: le statistiche Onu riportano che una madre su nove e un bimbo su sei muoiono a causa di svariate complicazioni durante il travaglio. Nelle zone più povere una madre deve camminare otto o nove ore per raggiungere l'ospedale più vicino. E quando e se ci arriva, spesso scopre che l'ospedale stesso non è attrezzato per aiutarla. Alle donne sposate, anche se sono giovanissime, non viene permesso di frequentare scuole assieme alle ragazze nubili. Ci sono oltre un milione di donne sposate che chiedono istruzione e formazione, ma ben poco dei fondi destinati all'istruzione delle donne vengono indirizzati verso questa richiesta. Ci sono solo due piccole scuole, a Kabul, con due classi ciascuna, che servono circa 500 donne. Niente. Eppure gli Usa le indicano e dicono: `Guardate cos'abbiamo fatto, come abbiamo aiutato le donne afghane' ».

Lo specchio delle donne. Oggi la trentatreenne Dawi , nata e cresciuta a Kabul, oggi madre d tre figlie, dice che i suoi sforzi per contribuire alla ricostruzione dell'Afghanistan sono solo all'inizio. Pochi mesi dopo la scomparsa dei talebani da Kabul, aveva già dato vita al giornale Aina-E-Zan («Lo specchio delle donne»), un settimanale pubblicato nelle due lingue nazionali del paese, pashtu e dari. Era il primo giornale femminile afghano. Per questo Dawi è stata insignita a maggio del premio giornalistico dell'Organizzazione Mondiale della Stampa. Lo «Specchio delle donne» ha una tiratura di tremila copie e informa le donne a proposito dei loro diritti rispetto alle leggi dello Stato e all'Islam. Pare che anche gli uomini apprezzino la pubblicazione.

«Un giorno una coppia, marito e moglie, sono venuti nel mio ufficio per dirmi che, grazie a me, la loro unione era più forte. Lui voleva divorziare, ma aveva letto un articolo sul mio giornale che spiegava come l'Islam non permetta ai mariti di maltrattare le mogli: anche se un marito pensa che la moglie abbia sbagliato ne deve discutere con lei, e gentilmente. Quest'uomo fece così: cominciò a parlare con sua moglie e parlando insieme riuscirono a risolvere i loro problemi».

Guardando al futuro, Dawi ha le idee chiare: «Le cose che servono alle donne, le cose importanti, sono l'istruzione, la democrazia e la libertà. Senza la partecipazione delle donne, il processo democratico sarebbe come un essere umano senza occhi».

* di We News, Kabul.

Tratto da Peace Reporter, 27 agosto 2005. Traduzione di Maria Grazia Di Renzo