![]() |
|
il Manifesto
- 28 Ottobre 2005 Luisa Muraro lascia l'università e pronuncia oggi nella Facoltà di filosofia dell'ateneo di Verona quella che in gergo accademico si chiama lectio magistralis, ma che la pratica di Diotima, la comunità filosofica femminile da lei e altre fondata in quello stesso ateneo nell'84, renderà un'occasione di discussione politica. Non per caso la lezione si tiene all'interno del "grande seminario" di Diotima di quest'anno, un ciclo intitolato "L'ombra della madre", e non per caso consisterà in una retractatio, una ri-trattazione, de L'ordine simbolico della madre, un notissimo libro pubblicato da Muraro nel `91 che è stato e resta cruciale per il pensiero della differenza sessuale. "Più che nella mia opera - ha scritto di sé una volta Luisa - ho sempre confidato nel contributo di chi la legge. Più dell'argomento, per me ha sempre contato l'ordine simbolico che è e che fa la scrittura". Ne L'ordine simbolico della madre di questo precisamente si trattava: dell'ordine simbolico che la lingua materna - ovvero la capacità di tenere insieme corpo e parole, esperienza e linguaggio che impariamo nella relazione primaria con la madre - sa fare. Un ordine rivoluzionario, giacché la relazione figlia-madre è cancellata nell'ordine patriarcale; e imparare a praticarla nella vita adulta, sostituendo all'avversione la gratitudine per la madre e per le altre donne che ne continuano l'opera, apre lo spazio per la dicibilità dell'esperienza femminile, altrimenti sottoposta all'adeguamento alla norma e al potere maschile. Questo in estrema sintesi il nocciolo del libro, che dunque metteva al centro del discorso non il materno inteso come qualità etica o psicologica, ma la relazione con la madre come forma simbolica, generatrice di forme sociali improntate alla mediazione linguistica più che alla legge. L'ordine simbolico della madre è stato un libro importante ma controverso. Molte controversie, io penso, derivano dal fatto che questo nocciolo formale è stato invece scambiato per un nocciolo sostanziale; come se la proposta del libro consistesse nella riproposizione del modello materno e delle sue qualità, invece che nella costruzione di una genealogia femminile che è forte proprio in quanto sa contrattare con la madre e le altre donne in presenza di disparità e conflitti... Il libro tenta di far interagire con i discorsi filosofici un vissuto di donna, quello della sua relazione con la madre, non previsto nella tradizione filosofica, anzi tacitato ed escluso. Francesca Solari (la regista di Addio Lugano bella) parlerà di un'opera "terapeutica", in quanto mette in comunicazione quello che la nostra cultura separa. Come dici tu, ad alcune è piaciuto molto e ad altre è dispiaciuto molto. C'entra sicuramente l'equivoco che segnali, a valle, ma a monte c'entra un'altra cosa, io credo, che il libro fa una scommessa, senza vincerla, e chiede a chi lo legge di entrare nel gioco. Quello che ha contato dal primo momento, per me, era la società femminile che si stava formando: questo libro era rivolto specialmente alle donne perché prendessero su di sé il mio tentativo nel suo insieme, compresa la parte non riuscita, compresa la parte a me stessa oscura. Molte lo hanno fatto e continuano a farlo (il libro si legge ancora, si traduce e circola), ma altre, specialmente fra le pensatrici di professione, no. Io ne ho dedotto che non volessero partecipare al gioco, forse perché non ci vedevano il loro guadagno, forse perché non avevano capito (come supponi tu), forse perché avevano capito e non erano d'accordo... Ci sono tante ragioni per cui la moglie di Lot volge la testa indietro. Altre sostengono che il libro propone un ordine della madre simmetrico, parallelo e perfino mimetico, nella sua verticalità, rispetto a quello del padre. Personalmente sono convinta di no: leggendo L'ordine simbolico della madre in sequenza con Maglia o uncinetto, penso che si tratti piuttosto, per dirlo con una formula, di un ordine della metonimia, cioè della contiguità fra corpo e linguaggio, esperienza e dicibilità, che taglia, non imita, l'ordine metaforico dell'astrazione proprio della legge del padre. Ma se è così, perché l'interpretazione "simmetrica" ha avuto tanto spazio? Hai messo il dito nella piaga, la questione della asimmetria tra i sessi. Definita con le parole di una psicanalista che ha scritto poco e che ammiro molto, Sigrid Günzel, la asimmetria la dà il fatto che per la bambina il primo oggetto d'amore è dello stesso sesso, non così per il bambino. Nelle culture in cui la relazione gerarchica e complementare tra donna e uomo è diventata insostenibile, nella nostra cultura dunque, la tendenza dominante è di cancellare quella asimmetria. Si è arrivati a farne un sinonimo di disuguaglianza e discriminazione antifemminile. Verso questo esito di concellazione convergono il diritto, la scienza, il femminismo di stato e anche una parte del femminismo autonomo. Quando ho scritto L'ordine simbolico della madre avevo un senso molto marcato della asimmetria tra i sessi, ma non l'ha tematizzata. Oggi, ovviamente, lo farei. Ma non cambierei la posizione che traspare nel libro: io continuo ad associare strettamente quella che sono al privilegio di essere nata dello stesso sesso della madre. Nel libro il padre quasi non c'è, e qui per me comincia qualche problema. Perché non c'è? Per ragioni biografiche, per tua scelta o per tua rimozione? Oppure il libro rispecchia una rimozione collettiva, una certa onnipotenza della relazione fra donne che pure abbiamo attraversato? Secondo me, però, un ordine simbolico della madre in cui non c'è posto per il padre, e per l'amore per il padre che è anch'esso un dato dell'esperienza femminile, è un ordine simbolico mancante, un ordine che non ordina la relazione con l'altro e con la legge dell'altro. Il padre quasi non c'è perché io non ho trovato in me una figura paterna alla pari con quella materna, per forza simbolica: credo di appartenere a quella categoria di donne e uomini che sviluppano una certa creatività ignorando la figura paterna, e mi piace pensare che Einstein, che faceva le boccacce a sessant'anni passati, sia uno di questi. Quando nel libro compare, il padre è l'uomo che si affianca a una donna e alla sua maternità, e che lei indica ai suoi figli: questo è vostro padre. È troppo poco? Sì, riconosco che manca tutta la parte di rapporto diretto tra quell'uomo e i figli e della donna, che grazie a lei sono diventati anche i figli di lui, con tutte le differenze che entrano in gioco, in primis quella sessuale che tu richiami: è vero, c'è un amore femminile del padre. Ma tutto quello che si può dire oltre a questo, per me, rientra nell'ordine patriarcale. In altre parole, io non trovo nessuna ragione per difendere la necessità di padre, dell alegge del padre, pur ammettendo che un uomo, gli uomini possano invece avere questa necessità. Sono d'accordo con te che un simbolico materno che esclude ogni altro amore, ogni amore dell'altro, sarebbe gravemente difettoso, ma non penso che questo "altro" debba essere il padre. Non dimentichiamo che, sotto la legge del padre, le donne non avevano senso per sé stesse, ma solo in funzione di dare figli a lui, come dice bene sant'Agostino e come si è continuato a dire con i cognomi patrilineari. Fuori da questa funzione, le donne o perdevano valore o perdevano la loro differenza per essere assimilate a uomini. Tuttavia, io non sono contro la paternità, anzi. Sono contro le teorie della sua necessità, ma sono favorevole per più motivi alla possibilità della figura paterna. Ai motivi già detti (essere di aiuto alla donna che diventa madre), aggiungo quello che porti tu, l'amore femminile del padre (ma noi sappiamo che, se una donna si gioca l'amore del padre contro la madre, è perduta), e quello, per me principale, che la paternità responsabilizza e gratifica gli uomini che si affiancano alle donne nella cura della vita, dà loro modo di risignificare la propria differenza dalla madre e di confermare la loro virilità in termini meno distanti dal materno. Ne L'ordine simbolico della madre, come in altri tuoi lavori, è cruciale la figura dell'isterica. L'isterica, tu scrivi, "interpreta la differenza sessuale": l'isteria è il sintomo di un attaccamento alla matrice della vita che nell'ordine patriarcale non trova modo di esprimersi e si traduce in rivolta contro la madre, ma che invece può e deve tradursi in gratitudine. Il lavoro sull'isteria è stato importantissimo per il femminismo. Potremmo dire che le nostre pratiche, e in particolare il lavoro che abbiamo fatto sulla relazione con la madre e quindi sulla relazione di disparità fra donne, ha funzionato come terapia sociale dell'isteria femminile? Gli psicoanalisti dicono che oggi il sintomo isterico è in via di sparizione, mentre si diffonde quello anoressico... Sì, forse il sintomo isterico è sparito perché la cultura lo ha recepito. Mi viene in mente che, nel Seminario sul "rovescio" della psicanalisi, Lacan attribuisce all'isterica il merito di aver inventato un nuovo tipo di legame sociale, quello tra analista e analizzante, che rompe con la logica del dominio (sono parole mie). Dell'isteria parlo in un librino, La posizione isterica e la necessità della mediazione (Palermo 1993) che cito per ricordare colei che lo ha curato, Mimma Ferrante, un'architetta che morirà uccisa da un rapinatore (o chi per esso) nel suo cantiere vicino alla Zisa di Palermo. Quanto alla tua prima domanda, io direi che il femminismo è stato per l'isteria femminile come un teatro che dava senso ai sintomi senza la presenza congelante di uno sguardo medico, sostituito invece da un ascolto e da un'interlocuzione femminile plurale. Possiamo chiamarla terapia sociale? No, è semplicemente la politica: le terapie cambiano le persone in funzione della realtà, la politica fa il viceversa. E a chi mi correggesse: tu ti riferisci alla politica delle donne, risponderei che la politica è la politica delle donne. Possiamo dire allora che, nell'ordine simbolico della madre, ogni patologia mentale abbia un suo risvolto politico risolutivo? Mi piacerebbe pensarlo, ma non so, molto dipende da quello che sarà della figura della madre da qui in avanti, in una cultura non più patriarcale. Che cosa sarà? L'ordine simbolico della madre si può considerare, da questo punto di vista, un testo di passaggio: il discorso muoveva ancora da una critica del patriarcato, ma indicava nella relazione con la madre un altro inizio, logico e politico: il principio di un altro ordine del discorso e l'apertura di un altro ordine sociale. Pochi anni dopo (nel 1996, con il "Sottosopra" intitolato E' accaduto non per caso) abbiamo cominciato a ragionare in termini di fine del patriarcato. Che cosa comporta la fine del patriarcato nel modo di pensare la madre? Non lo so. Un giorno, sul treno, silenziosa al mio posto, ho seguito una giovane madre, che parlando al telefonino dirigeva le operazioni di un marito-padre a proposito di una loro bambina rimasta a casa dall'asilo perché malata. Sono rimasta impressionata dalla durezza imperiosa di lei, un generale sul campo di battaglia non avrebbe retto il confronto. D'altra parte, le mie amiche pedagogiste mi parlano di donne che stanno perdendo ogni competenza materna per mettersi nelle mani di pediatri e psicologi. La figura della madre mi appare come schiacciata tra questi due mostri, la negazione di ogni possibilità di padre, da una parte, lo specialismo che elimina ogni competenza simbolica delle persone in carne ed ossa, dall'altra. Entrambi i mostri sono già all'opera, pensiamo alla povertà simbolica delle associazioni dei padri, pensiamo a tutta la vicenda della legge 40. Eppure, da qualche parte, la strada è già aperta, da sempre. Mi spiego: il passaggio di cui tu parli, non dobbiamo immaginarlo dal passato al futuro, ma dal presente morto, quello dei mostri, al presente vivo, quello che rende possibile il guadagno di essere. Per usare una formula che tu conosci, la rivoluzione è simbolica. L'ultimo libro di Diotima si intitola La magica forza del negativo e a mio avviso è un libro importante. Alcuni contributi, penso a quello di Diana Sartori, mettano in luce i limiti di un approccio tutto positivo all'ordine della madre, che espunge o rimuove il negativo che pure vi opera. In altri termini: la pratica della relazione fra donne e dell'autorità femminile ci ha emancipate dalla politica della rivendicazione e del risentimento, ci ha insegnato a fare leva sul positivo di origine femminile che la madre significa, ci ha dato autorità. Ma sia la relazione con la madre reale, sia le relazioni fra donne restano contrassegnate anche da un limite di negatività che non si elimina, non va in pareggio, e che se non viene a sua volta "trattato" minaccia di andare a male. In verità, a me che vengo dal femminismo dell'autocoscienza pare che il negativo del rapporto con la madre e con l'altra donna non abbia mai cessato di esserci presente - ma forse è vero che la proposta dell'ordine della madre l'aveva per una certa fase messo in ombra, o dato per risolto. Chi viene dalla pratica dell'autocoscienza, come te, sa che il negativo è sempre stato presente e parlante-parlato nel nostro percorso. L'impressione che ad un certo punto esso sia stato messo tra parentesi o dato per risolto, proviene, secondo me, dalla tendenza ad illuderci, ogni volta che sia possibile. Lo stesso titolo del libro di Diotima che tu citi, obbedisce a questa tendenza, tant'è che qualcuna in Diotima ha protestato per quella "magica forza". Aveva ragione, suppongo, ma possiamo noi sottrarci al bisogno di illuderci? Leopardi, per me un pensatore di riferimento, risponde che no. Io aggiungo che in quella parola, illusione, c'è la radice del latino ludus, gioco, e che possiamo tentare di fare come le bambine e i bambini che giocano senza ingannarsi. L'idealizzazione è un inganno, questo va detto. Quando una madre prende in braccio la sua creatura sofferente e le dice: va tutto bene, va tutto bene, questa è illusione senza essere inganno. Anche l'ultimo film di Benigni, La tigre e la neve, ha le caratteristiche di un'illusione che non inganna... Questo che vado dicendo domanda un orizzonte di pensiero che non è quello del pensiero critico dominante nella filosofia dei nostri giorni. I tuoi scritti sono sempre anche un corpo a corpo con la filosofia. Fare filosofia a partire dalla differenza sessuale è stata per molte di noi, anche grazie a te, la via per reimpostare il rapporto con una disciplina che prima ci metteva in scacco. Il tuo rapporto con la filosofia oggi lo senti risolto? E quello con l'accademia? Fa ridere - o piangere, dipende - che una filosofa come te così importante per l'opinione pubblica femminista italiana e internazionale concluda la sua carriera da ricercatrice... Non ho un rapporto speciale con la filosofia, alla filosofia mi hanno portato le circostanze, il mio rapporto speciale è con la scrittura, ma non ho mai pensato a scrivere poesie o romanzi. La difficoltà della filosofia sarebbe che si comincia da niente, il suo vantaggio è che usa la lingua comune, non ha un linguaggio specialistico. Se ci pensi bene, le due cose si completano magnificamente. Il meglio del mio lavoro filosofico, poco o tanto che valga, viene da questo niente che si popola di parole comuni. A me piace portare parole comuni in luoghi che queste non hanno mai frequentato. Quanto alla carriera, dopo qualche tentativo penoso, ho scoperto che ci sono parecchie donne che rinunciano a farla. Così ci ho rinunciato anch'io, che credevo di doverla fare. Per il resto, intendo le soddisfazioni e gli incoraggiamenti, la carriera l'ho fatta nel movimento delle donne. Secondo te il pensiero della differenza sessuale ha segnato e in che modo il pensiero politico di oggi? O si ripresenta, aggiornato, il rischio che tu segnalavi nell'Ordine simbolico della madre, che i filosofi si ispirino all'opera della madre, ma presentandola come una copia della propria? Il pensiero corre per il mondo su strade che sono molte, poco controllabili e a volte inimmaginabili, Internet non ha fatto che imitarlo, alla sua maniera. Oggi il pensiero politico delle donne (che il c. d. pensiero della differenza ha cercato di imparare ed insegnare, fondamentalmente) sta permeando quello maschile con idee come il partire da sé, la differenza, la relazione, il conflitto relazionale, il dono e la riconoscenza, la fiducia e l'affidarsi, l'autorità invece del potere, la rivoluzione simbolica, la possibilità di altro... Cito le idee che riconosco, ma altre ci sono, per esempio nel filone dell'ecofemminismo e in quello della teologia femminista. Nessuna è padrona di queste idee, perché le idee non hanno padroni, sono di coloro che le condividono, lo dico in polemica con l'ordine (o disordine) capitalistico che oggi più che mai pretende di farne delle proprietà private, ma anche con la tendenza che abbiamo noi "intellettuali" a credere di avere inventato quello che invece ci è stato comunicato. Il pericolo che tu segnali è un'altra faccenda, nasce da un certo rapporto cannibalico dell'uomo con la donna-madre, mi riferisco agli uomini che si dedicano all'arte, alla scienza... Le biografie di simili personaggi sono piene di esempi di questo cannibalismo, che può estendersi alle figlie e ai figli. I filosofi non fanno eccezione. Secondo me il punto non è che ci siano dei riconoscimenti (io ne ricevo, devo dire) ma che si stabiliscano relazioni di scambio tra donne e uomini, e che si dissolva anche per questa via la pseudomistica della creatività personale. Il lavoro del pensiero è duro e selettivo, non c'è dubbio, e comprende anche una parte che possiamo chiamare ispirazione o disposizione innata, ma proprio questa parte è più direttamente riconducibile alla relazione materna e, come tale, traducibile in riconoscenza verso il mondo delle donne. Infine. Luisa Muraro è propriamente una maestra - talvolta perfino con i modi sgradevoli di una maestra. Non ti mancherà l'insegnamento? Secondo me continuerai a praticarlo, in qualche forma. O no? Hai indovinato, a me piace insegnare ed è vero che, insieme a qualche qualità, ho parecchi lati sgradevoli della maestra, all'università le/gli studenti li sopportavano ma ora dovrò correggerli, perché Lorenzo, un mio carissimo amico di otto anni al quale vorrei insegnare un sacco di cose, non sopporta i lati sgradevoli delle maestre. Vorrei anche insegnare a scrivere, non a Lorenzo che ha le sue brave maestre, ma a persone adulte; la base del mio insegnamento sarà la sintassi, "tagliata" dalla retorica. |