Libreria delle donne di Milano

il manifesto - 30 maggio 2003

Nel mistero di un incontro
Una relazione dispari ma sempre perfetta, libera e personale lega le donne al divino in un rapporto che scarta famiglia e società, chiese, uomini e sacre scritture. Nel suo ultimo libro, «Il Dio delle donne», Luisa Muraro la interroga a fondo servendosi dell'esperienza delle mistiche e delle parole e dei silenzi della psicoanalisi. Domani, a Roma, la presentazione del volume
ERMINIA MACOLA

Dio è parola che non sembra aver bisogno di una preliminare spiegazione. Apparentemente tutti credono di sapere di che si tratta, in realtà non è così. Non appena il discorso su Dio pretenda un qualche rigore risulta evidente che il termine tiene in sé le funzioni e i significati più diversi. Nel suo ultimo libro Luisa Muraro (Il Dio delle donne, Mondadori, pp. 180, € 15) assegna a Dio un nobilissimo servizio, deve aiutarla a capire di più la differenza femminile, in nome della quale si è costruito tanto discorso. Per farlo avverte l'urgenza di passare per il Dio delle donne. L'autrice torna per questo a riflettere sulle mistiche delle quali ha saputo rievocare con tanta efficacia il percorso, per chiedere loro di contribuire ad un'altra impresa: lasciarsi carpire l'enigma di quella potenza miracolosa che irraggia dalla fase più avanzata della loro esperienza con il divino. Parla del tema con esitazione: «Non ho nessun titolo - dice - per scrivere un libro su Dio, ciò nonostante io volevo parlare di Dio, lo volevo fortemente, per parlare delle donne, parlarne in un certo modo di cui solo Dio mi offriva la possibilità, non so perché e continuo a chiedermelo». Si potrebbe risponderle con quanto hanno spesso sottolineato i teologi più inclini alla mistica: Dio è più vicino a noi di quanto noi lo siamo a noi stessi.

Una volta centrata la domanda, Luisa Muraro fa ripassare attraverso il suo filtro tutto il lavoro sulle mistiche: Margherita Porete in primis, ma anche Hadewijch d'Anversa, Guglielma Boema, Matilde di Magdeburgo, Angela da Foligno, Teresa di Lisieux, Clarice Lispector, protagoniste delle sue anteriori trattazioni, circoscrivendo di più l'obiettivo e puntando direttamente a quell'al di là che attira le donne e apre loro una dimensione di assoluto. La scommessa è molto audace e ve ne è traccia in luoghi cruciali del pensiero moderno, come ad esempio nella vicenda della psicoanalisi. Innanzitutto Freud che, al momento di concludere la sua cospicua opera, si accorge di non avere ancora capito «Cosa voglia una donna»; poi Lacan, il quale risponde al quesito freudiano dicendo che una donna «vuole godere», è spinta a godere; anche con i suoi partner, ma non solo. Proprio perché non sta tutta dentro alla legge e all'ordine, nel rapporto sessuale rimane in lei qualcosa che domanda Ancora, e cerca un'alterità più radicale di quella rappresentata dall'uomo, un godimento non fallico, un'altra soddisfazione.

Proprio a quest'altra scena si dirige Luisa Muraro interrogando il più intimo dell'intimo: il luogo misterioso dell'incontro. E lo fa con lo scopo di rubare alle mistiche un segreto per renderlo ancora disponibile. Vuole vedere se questo Dio può accadere di nuovo, se si può tradurre in parole, se la sua trascendenza si riattiva ancora. Disegno ardito, perché questo Dio non è così facilmente individuabile. Niente ci orienta a coglierne la natura, quindi poco sa la donna di questo suo intimo godere, che non ha cercato, ma in cui è stata portata via di sorpresa come in una prorompente cascata. Il godimento di Dio oltrepassa il soggetto e non è dicibile. Si può dire in cambio qualcosa della relazione.

Luisa Muraro guarda con invidia la libertà, la confidenza, la franchezza che intercorre nel rapporto tra la donna e Dio, in una disparità così grande. Com'è possibile che lei, nonostante la differenza abissale, sia al proprio posto? Sa di essere meno ma non si sente per questo sminuita. «Manca del necessario e riesce lo stesso ad andare al mercato!». E' «niente» e non rimane schiacciata, al contrario ci guadagna! Dobbiamo dire che queste beghine si collocano con pieno agio nella posizione femminile, quindi accettano la differenza, accettano anche la prepotenza dell'altro, purché l'Altro sia Dio, sia cioè illimitato. La relazione così dispari è perfetta, libera e personale, indipendente da mediazioni familiari o sociali, da chiese, da uomini e da sacre scritture, fuori da ogni percorso codificato e guidato da altri, libera anche da Dio, come sostiene il maestro Eckhart, illuminata dall'intelligenza dell'amore.

Quando nel loro rapporto con Dio le donne incontrano il Dio delle donne, cioè la relazione, sospendono l'aspetto rigido, strutturante, sintattico, ordinatore di Dio che organizza visioni fisse delle cose e ordini che vanno conservati, riaffermati, imposti. Sospendono il Dio che santifica quel luogo di vittorie storiche da cui l'elemento femminile sembra sempre dileguarsi; mettono in mora l'oggettivazione di Dio nel discorso teologico e aprono a un altro discorso in cui Dio può accadere ed esse possono partecipare all'evento. Tutto ciò non è esclusivo dell'esperienza delle mistiche, ma le mistiche sono in questo più sfrenate e temerarie e nel momento in cui incontrano il loro Dio, esso non è più il «Dio delle creture», da cui il Maestro Eckhart pregava Dio di liberarci, ma il Dio che crea.

Se tale posizione è raggiungibile, se qualcuno l'ha trovata, perché - si chiede l'autrice - non volerla ancora? Perché «rinunciare al troppo» per essere ragionevoli? Perché non scommettere nell'impossibile? Perché farsi imbrogliare dai mercanti e «dar via le proprie illusioni in cambio di una verità molto relativa e di una felicità molto terra-terra» quando c'è il paradiso?

Si può complicare questa relazione perfetta con quanto l'autrice scrive nel suo libro precedente: «Il Dio delle donne è straripante e non va confuso con quello degli uomini che è trascendente. Lo straripamento non sa e non rispetta. Quando un fiume esce dagli argini non si limita ad oltrepassarli, li rompe».

Lo straripamento è un topos; non si riesce a parlare di mistica femminile, di Dio delle donne, senza nominare l'ingombro, lo straripamento, l'eccesso che è però anche un capitale. L'altro godimento, l'altra scena, appena nominate, si annunciano spesso come forza prorompente e ingovernabile che travaglia duramente i corpi delle mistiche. Nel migliore dei casi, avviene un passaggio: i sintomi fisici vengono letti come una messa alla prova. E a quel punto irrompe la domanda a Dio: «Che vuoi da me?». E Dio comincia ad esistere per quel particolare soggetto. Ciò accade testualmente a Teresa d'Avila, nel cui percorso Dio si sposta da elemento caratterizzante un contesto culturale, a evento decisivo di una pratica, passando attraverso il sintomo fisico e la sua attribuzione al volere di un Altro. Dio è il nome potente che la mette al lavoro verso una dimensione spirituale non sprovvista di ali teologiche.

Il Dio delle donne ha a che fare con il tempo in cui esse vivono. Quello di Margherita Porete non è già più quello di Teresa d'Avila, perché non appartengono alla stessa cultura e alla stessa epoca. C'è più eros in Teresa che in Margherita in quanto la presenza divina comincia già ad affievolirsi e una pulsionalità incontrollabile a volte travolge il soggetto. In entrambi i casi comunque Dio consente che ci sia esperienza, lavoro a partire da sé, relazione. Possiamo allora dire che ogni epoca e ogni donna giunge ad avere il suo Dio? Direi di sì; però c'è anche qualcosa di comune, di trasversale nei tempi per cui le beghine del Duecento hanno potuto mettere al lavoro ora Luisa Muraro, la quale, a giusto titolo, parla di un Dio delle donne.

«Ogni donna ha un Dio per conto suo», recita un detto della campagna veneta. Si tratta in questo caso di un Dio immaginario fatto a misura delle nostre necessità, ma anche dei nostri capricci. Il rapporto con un Dio troppo personale non è facile, perché a volte diventa demoniaco; assomiglia molto all'incubo che nei quadri di Füssli visita le donne durante il sonno e ha l'aspetto di animale mostruoso. Il possesso di questa sconcertante estraneità viola, annulla; il godimento che genera si trasforma in «rabiamiento» e necessita l'urgente soccorso di un mediatore, un terzo, che imponga regole e obbedienza, per correggere l'immaginazione.

Nell'orizzonte delle mistiche medioevali e anche in parte successivamente, l'esperienza superava in modo trasgressivo i limiti imposti e consentiva di accumulare un'energia che veniva resa nell'evento di Dio. Ma oggi con un godimento sbattutto in faccia a tutti, uomini e donne, ad ogni angolo di strada, dove si crea questa forza? Le mistiche producono una loro severissima disciplina. Teresa rifonda l'ordine del Carmelo troppo rilassato e corrotto; disobbedisce alla priora, al confessore; compra di nascosto una casa per aprire un nuovo convento e scrivere regole più rigorose. Ricostituisce la trama di un evento che eccede qualsiasi disciplina e regola. Ma oggi dove sono le reti di costrizioni da superare e da assumere per farne il corpo di un incontro con il divino? Oggi risulta più difficile, per un verso confliggere, e per un altro fare delle regole e delle leggi una forma di libertà per giungere all'unione con Dio, che è fonte di regola, ma anche radicale ulteriorità. Senza una grande articolazione e senza differire il godimento, le Hadewijch, le Margherite e le Terese non ritornano. E' difficile conciliare tutta questa complessa esperienza con una «divinità» immediata della donna, senza che essa abbia fatto a tempo, o abbia voluto, togliersi dalla mente tutto un immaginario femminile realizzato in fabbrica e spedito per televisione.

Eppure l'indicazione di Luisa Muraro è che dobbiamo «diventare donne» il che vuol dire che non lo siamo ancora. «Diventare donna - aggiunge l'autrice - sarebbe sbagliato prenderlo come una metafora».

«Il dio delle donne» verrà presentato a Roma, domani alle 16,30, presso la casa internazionale delle donne «Buon Pastore» (via della Lungara, 19). All'incontro - organizzato da «Donna ascolta donna» e da «Zora Neale Hurston» - sarà presente l'autrice. Il volume, inoltre, sarà oggetto di discussione del XII incontro di Mistica e Politica, organizzato da Laura Guadagnin per l'Associazione Terradilei il 12-13 luglio a Orvieto, Sala degli archi del Palazzo dei Sette (lauraguadis@libero.it)