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per Pedagogika n. 3 anno XII, "Istituzioni e democrazia" Tra
la crisi del padre e l'ombra della madre: (oltre) i limiti della democrazia Marco
Deriu Università di Parma, Ass. Maschile Plurale
Negli
ultimi anni nel nostro paese stiamo vivendo una situazione politica imbarazzante,
un misto di impotenza e disaffezione che attraversa gran parte della società.
L'insoddisfazione verso le istituzioni democratiche è un dato universale
in tutto il mondo occidentale, ma in Italia si aggiunge anche un profondo degrado
del sistema politico: della cultura, dello stile, delle pratiche. A mio avviso
non si tratta solo di un abbassamento della qualità del ceto politico,
ma del fatto che si è arrivati ad un fondo, ad un nocciolo problematico
e fintanto ché non sarà affrontato qualsiasi cambiamento ne sarà
impedito. La nostra situazione in effetti può essere descritta nella forma
di un dilemma - o meglio di un "doppio vincolo" che occorre prima di
tutto comprendere bene per poi tentare qualche superamento creativo. Si può
dire che l'attuale condizione riveli allo stesso tempo lo sfaldamento di un sistema
politico basato su un modello paterno e patriarcale e contemporaneamente le paure
e le angosce che attraversano sotterraneamente la nostra società di fronte
all'idea di una politica (e di un potere) femminile-materna. Dunque l'insoddisfazione
per uno stato di cose e insieme angoscia per il cambiamento che in opposizione
a questo sistema si può profilare. Una doppia negazione dalla quale occorre
uscire creativamente.
La
fondazione maschile delle istituzioni politiche In
particolare occorre domandarsi in che misura gli attuali sistemi politici statuali,
compresi quelli democratici, siano segnati fin dalle fondamenta da un'organizzazione
e da un ordine simbolico fondamentalmente maschili. Secondo Carol Pateman, ad
esempio, il racconto originario del "contratto sociale" evocato dalla
teoria politica moderna a fondamento della sfera pubblica della libertà
civile nasconde il racconto di subordinazione e soggezione del "contratto
sessuale". Il sistema e l'immaginario politico moderno si costituiscono attraverso
questa separazione e opposizione tra privato e pubblico che rimanda all'opposizione
tra donne e uomini e tra ambito naturale (femminile) e ambito civile (maschile).
Le due sfere della società civile - nota Pateman - sono allo stesso tempo
separate e inseparabili, ovvero l'ambito pubblico della politica non può
essere compreso pienamente in assenza della sfera privata definita come di competenza
e responsabilità femminile (Pateman, 1997, p. 7). Diverse studiose
italiane hanno sottolineato come la stessa la democrazia sia il risultato di una
fondazione teoretica che in nome dell'universalismo ha trasformato la potenzialità
delle differenze, in primis quella sessuale, in connotati identitari allo scopo
di ridurle ad una norma unica che definisce implicitamente una gerarchia e una
condizione di inferiorità femminile (Cavarero, 2007; Boccia, 2002). Le
donne sono riconosciute come cittadine, ma allo stesso tempo - a causa della loro
emotività, passionalità e instabilità - sono considerate
poco razionali ed affidabili e dunque inadatte alle responsabilità politiche.
Molti autori e autrici hanno sottolineato inoltre il legame storico tra l'allargamento
della cittadinanza e la leva di massa, ovvero la partecipazione degli uomini alla
guerra. Dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dalla Francia all'Italia, in tutti
gli stati moderni l'allargamento della cittadinanza è proceduto parallelamente
al coinvolgimento degli uomini nel servizio militare armato. A questo proposito,
Jean Bethke Elshtain (1991) ha elaborato l'idea di "virtù civica armata".
Dunque nel Dna delle democrazie contemporanee rimarrebbe questa connessione profonda
tra cittadinanza e uso delle armi, della forza. Ancora oggi le donne che si candidano
ad avere un ruolo politico devono dimostrare di saper all'occorenza far uso in
modo spregiudicato della forza e del linguaggio bellicista. Il fondamento stesso
del potere politico può essere rintracciato, secondo alcune analisi, in
un principio maschile avverso e in opposizione al mondo delle donne. Ida Dominijanni
ha sottolineato, per esempio, la "struttura sacrificale e "intrinsecamente
e costitutivamente polemologica" del contratto sociale moderno, incentrato
sulla scena primaria della congiura fraterna per il parricidio che fissa una volta
per tutte in termini di senso di colpa, rimorso e nostalgia per il padre, endemicità
della guerra fratricida il prezzo della libertà (maschile) [
]"
(Dominijanni, 2001, p. 65). Tutte queste analisi hanno in comune il fatto
di sottolineare la dimensione strutturalmente maschile nella nascita e nella definizione
delle istituzioni politiche moderne e conseguentemente l'allontanamento non contingente
dell'altro sesso. Dunque la sfida non è semplicemente estendere questo
sistema alle donne o di includerle uniformandole a questo sistema ma comprendere
questa inimicizia con l'universo femminile per agire un conflitto capace di modificare
l'ordinamento esistente e le sue implicite opposizioni. Come ha notato Lea Melandri,
si tratta di non diventare "più realiste del re, andando a rafforzare
istituzioni cadenti, che sono all'origine della nostra cancellazione come persone.
Vogliamo essere soggetti politici a pieno titolo, ma soggetti di una "politica
ripensata" in tutti i suoi aspetti" [
]" (Melandri, 2007,
p. 114). Dopo
il padre. La malinconia della politica maschile Circa
quarant'anni fa, il medico e psicologo Alexander Mitscherlich pubblicò
un libro, Verso una società senza padre, destinato a diventare un punto
di riferimento nei decenni successivi. In quel lavoro Mitscherlich faceva i conti
con la storia novecentesca della Germania e dell'Europa in generale, con i fenomeni
dell'autoritarismo, del fascismo e del nazismo, e con il clima "antitautoritario"
che aveva iniziato a soffiare alla fine degli anni sessanta. Dalla sua visuale
era chiaro che su un piano simbolico ci si stava incamminando nella direzione
di una "società senza padre" ovvero una società priva
di quelle tutele offerte da un modello gerarchico e autoritario di organizzazione
politica che aveva nei fatti impedito un'assunzione di responsabilità e
stimolato un atteggiamento acritico e massificato della società europea
affascinata dal carisma di gerarchi e dittatori spregiudicati. Lo studioso tedesco
aveva ben presente contemporaneamente il rischio che a fianco della giusta reazione
ai modelli politici di paternalismo autoritario si profilasse anche la realtà
di un'infanzia senza padri, ovvero di una gioventù privata di un modello
paterno autorevole, fattore che secondo la sua opinione non poteva che compromettere
l'evoluzione del destino individuale. La società senza padre riguardava
la fine di un principio gerarchico ma anche di un modello di autorità identificato
nel simbolico paterno. Si può dire che ancora oggi noi ci dibattiamo
all'interno di quella stessa problematica. Che tipo di società e anche
di maschilità succede a quella tradizionale patriarcale? E quale tipo di
autorevolezza può nascere una volta disconosciuta la sacralità dei
modelli patriarcali e messo in crisi il fondamento dei modelli gerarchici? Se
alla prima di queste domande abbiamo una pur parziale risposta, la seconda continua
invece a tormentare la nostra condizione. Almeno in una prima fase, infatti, il
tipo di società che è seguita al modello patriarcale è quella
che qualcuno ha chiamato "fatriarcato", ovvero un modello orizzontale
in cui il meccanismo fondamentale non è più la regolazione gerarchica
delle tensioni sociali con un conseguente conflitto edipico di sostituzione, ma
piuttosto l'invidia fraterna ed una competizione esasperata e apparentemente senza
più limiti. Questa situazione era chiara già a Mitscherlich alla
fine degli anni sessanta: "Il conflitto principale tra di loro non
è caratterizzato dalla rivalità edipica, che contende al padre i
privilegi del potere e della libertà, ma dall'invidia fraterna verso il
vicino, il concorrente che ha avuto di più" (Mitscherlich, 1970, p.
330).
Dal punto di vista dei nuovi fondamenti dell'autorità politica la questione
è più complessa o più problematica. In una "società
senza padri" nessun singolo identificabile tiene in mano da solo il potere
e anche le cariche più importanti dello stato, del governo, delle camere,
dei partiti non hanno più quell'aurea di sacralità istituzionale
che rivestivano una volta. Possiamo richiamare alcune immagini per comprendere
questa profonda trasformazione simbolica rispetto all'ordine patriarcale e ai
suoi modelli. Da una parte possiamo notare l'incapacità dei leader politici
attuali di interpretare un nuovo modello di autorevolezza e di proporre proposte
e progetti e orizzonti di lavoro dotati di un livello minimo di coerenza e senso.
Per definire il proprio ordine del giorno i politici di oggi saggiano, con continui
sondaggi, il clima dell'opinione pubblica per poi assumere e cavalcare alcune
parole chiave o rivendicazioni in modo da garantirsi un consenso e una conferma
prefabbricata nella propria linea. Un secondo esempio paradigmatico di crisi
dei modelli d'autorità tradizionali lo si vede a più riprese nelle
scene e nei comportamenti nelle sedi di rappresentanza istituzionale. In passato
si era visto di tutto, provocazioni, insulti, contestazioni, risse, ma nessuna
immagine quanto quella del senatore di Alleanza Nazionale che brindava alla caduta
del governo esibendo la bocca piena di mortadella e alzando il bicchiere di vino
ha consegnato un'istantanea della fine dell'ordine simbolico e dell'autorità
tradizionali di quelle istituzioni. Un terzo esempio di crisi riguarda il diffondersi
delle contestazioni di fronte a scelte impopolari da parte delle autorità
centrali. Si tratti della localizzazione di impianti di smaltimento, di discariche,
di infrastrutture di qualsiasi genere, si moltiplicano le forme di ribellione
e di opposizione locale, che al di là della loro maggiore o minore giustificazione,
rivelano una sempre maggiore difficoltà a far valere da parte delle autorità
centrali il richiamo ad un principio superiore rispetto agli interessi locali,
se non individuali. Un ultimo esempio di crisi rispetto ai modelli tradizionali
della politica viene dalla rottura del monopolio della forza e dal diffondersi
di autorità locali e di violenze orizzontali. I conflitti microidentitari,
la crescita delle paure sociali, il proliferare delle ronde volontarie dimostrano
come l'autorità in senso tradizionale goda di sempre minore capacità
di regolazione delle tensioni che attraversano la nostra società e come
sia al contrario sottoposta a una contestazione e una sfida crescente da parte
di regimi concorrenti. Non c'è da stupirsi di tutto questo perché
un modello completamente orizzontale lascia aperto il problema del riconoscimento
di un qualche tipo di autorità anche contestuale e desacralizzata che permetta
un principio di organizzazione e di direzione. Insomma la presa di distanza da
modelli patriarcali e autoritari non sembra lasciare il posto ad un sistema fraterno
e pacificato ma piuttosto ad una gestione del potere spregiudicata ed irresponsabile
incapace di reinventare nuove forme di autorevolezza e di riconoscimento. Certo
si può sperare in una qualche reazione o trasformazione, ma come dicevamo
il clima politico nel nostro paese non sembra quello di un'attesa fiduciosa di
cambiamento, quanto un senso di impotenza, di sfiducia, se non adattamento e rassegnazione.
Come ha notato Ritanna Armeni: "Oggi
il potere maschile rimane saldamente in sella non perché convinca davvero,
ma perché non si conosce un altro modo di gestire la cosa pubblica. Perché
l'alternativa non c'è, non è chiara, o meglio non la si vuole vedere
o provare" (Armeni, 2008, p. 74). Questa
situazione di scacco e al contempo di continuo ritorno del medesimo introduce
un tono malinconico e grottesco più che tragico alla nostra situazione
politica. Con questo non intendiamo disconoscere il potenziale di liberazione,
di emancipazione, di autodeterminazione implicito nella rottura dei sistemi simbolici
patriarcali di regolazione verticale e nel passaggio ad un sistema democratico
di tipo egualitario-orizzontale. Quello che ci pare di poter mettere in dubbio
è l'illusione di una politica interpretata come luogo di individui autonomi
che si sono per un verso emancipati dal modello autoritario paterno, per un altro
dalla dipendenza materna e che ora devono finalmente decidersi a trovare un accordo
e un riconoscimento reciproco in una condizione di uguaglianza affermata. Il conflitto
tra i sessi nello spazio politico e la perdurante alterità delle donne
sta li a ricordare che i conti da questo punto di vista non tornano, e che i problemi
sono lungi dall'essere risolti. C'è un angolo oscuro nell'immaginario democratico
moderno che continuiamo a non voler vedere. Occorre dunque indagare più
a fondo il rimosso del nostro sistema politico per comprendere le difficoltà
e gli ostacoli che impediscono agli attori e alle attrici sociali di cambiare
le carte e di riaprire finalmente il gioco. L'ombra
della madre In
precedenza abbiamo visto che i sistemi politici statuali e democratici sono nati
sotto il segno di un simbolico maschile. Ma l'altra faccia di questa condizione
è stata la rimozione e il bando del simbolico femminile e materno in particolare.
Il modello originario del parricidio andrebbe riletto piuttosto come un matricidio
originario. Come ha notato Diana Sartori: "Sulla
questione del materno si struttura, infatti, la stessa definizione di politico.
L'esclusione della madre dal politico in grande misura si sovrappone storicamente
e logicamente a quella della differenza sessuale stessa e dell'esclusione femminile.
Va osservato, inoltre, che nel corso del tempo il materno si è dimostrato
il nucleo più resistente e irriducibile nella vicenda dell'inclusione delle
donne nella sfera pubblica e politica. I confini stessi della sfera del politico
sono disegnati in modo tale da tenere fuori dal suo orizzonte l'ombra della madre,
con il risultato che questa è diventata così l'ombra stessa della
politica" (Sartori in Diotima, 2007, p. 35). Dunque
se il modello padre-figlio come orizzonte simbolico dell'autorità politica
è sostanzialmente crollato e con esso il principio sacro di un potere gerarchico
e indiscusso, se d'altro canto il modello fraterno delle relazioni orizzontali
- in cui viviamo oggi - non ha portato a una forma di pacificazione e riconciliazione
ma piuttosto ad una maggiore e più disordinata conflittualità, che
dire della figura e del modello della madre? Quella del materno è una
carta che non sta più a posto in nessun mazzo, che rimane fuori posto e
fuori gioco, ha affermato Chiara Zamboni (Zamboni in Diotima, 2007, p. 32). Si
tratta dunque di una carta che si può riproporre come un'alternativa simbolica
da far giocare in questo quadro di crisi politica come suggeriscono diversi interventi
nel volume collettaneo L'ombra della madre (Diotima, 2007)? Certamente il simbolico
materno può interrogare la politica maschile, ridiscutendo e forzando le
fissazioni e le coazioni della politica maschile. Tuttavia la mia impressione
è che difficilmente potrà essere proposto e rigiocato in opposizione
al principio paterno, senz'altra mediazione, per sbloccare l'attuale situazione. Proprio
perché il materno rappresenta la linea d'ombra della politica, ovvero il
suo confine e il suo limite, "che tiene fuori di sé, definendosi per
differenza, insieme ciò che esternamente lo nutre e lo sostiene ma, ma
anche lo minaccia" (Sartori in Diotima, 2007, p. 40) esso va compreso anzitutto
nel suo definirsi come polarità rispetto al simbolico paterno prima di
poter essere risignificato e rigiocato liberamente. Il rischio altrimenti è
di non tener conto di come quella figura sia già presente - e piuttosto
in negativo che in positivo - nell'immaginario politico moderno, e di quali reazioni
e meccanismi attivi inconsapevolmente e profondamente. "Qualcuno ha idea
- ha notato a questo proposito Ritanna Armeni - di quanto lo Stato "madre"
possa produrre angoscia, avversione, profonda ripulsa nell'immaginario maschile
e non solo?" (Armeni, 2008, p. 33). Si tratta dunque di comprendere cosa
evoca nella mentalità maschile e come conseguentemente disinnescare i tradizionali
automatismi di reazione e di difesa. In effetti nello sguardo maschile tradizionale
le donne non sarebbero solo inadatte a gestire il potere ma anche minacciose e
pericolose per l'ordine politico stesso. Una rapida rassegna può facilmente
richiamare alcune di queste minacce rappresentate per gli uomini dal simbolico
materno. In primo luogo evoca un'idea problematica di dipendenza e di mancanza
di autonomia. L'idea delle relazioni, del legame affettivo costituito dai legami
di parentela è percepito come ostacolo ad una possibilità di governo
della cosa pubblica. Non che i governanti uomini non abbiamo sempre sfruttato
anche i legami familiari per costruire il proprio sistema di potere, ma nell'immaginario
maschile un padre - come ci raccontano le storie di numerosi personaggi mitici
da Abramo ad Agamennone a Creonte - può sempre decidere di sacrificare
i propri figli reali o simbolici qualora la legge divina o le necessità
di Stato lo richiedano, mentre le madri anteporrebbero sempre e comunque il legame
personale all'interesse impersonale delle istituzioni pubbliche. Un aspetto
collaterale di questo fatto riguarda la presunta impossibilità per le donne
di scindere i ruoli personali da quelli professionali e istituzionali. Storicamente,
per come è stata vissuta e interpretata la paternità, non si dà
un conflitto tra la funzione e la responsabilità paterna e il proprio impegno
di militanza o il proprio dovere istituzionale. Al contrario qualora una donna
volesse seguire la carriera politica dovrebbe quantomeno rinunciare al proprio
ruolo di madre, assumendo comunque su di sé l'implicito giudizio di aver
rinunciato alla propria funzione principale. Il simbolico materno evoca inoltre
uno stato di fusionalità e di minorità. Come il giovane maschio
deve per diventare uomo mostrare di essersi emancipato dallo stato di dipendenza
verso la madre e di essersi guadagnato una sua autonomia, così la cittadinanza
politica si concepisce in riferimento ad uno spazio pubblico composto da individui
autonomi, virtualmente emancipati dalla cura materna. E ancora, il materno
evoca l'immagine di un universo indifferenziato e debordante di emozioni, passioni,
sentimenti, ingestibili e incontenibili. Una donna politica viene ancora oggi
analizzata rispetto alla sua capacità di mantenere il controllo, e ogni
espressione fuori dalle righe non viene interpretata come segno di personalità
e determinazione - come con gli uomini - ma come sintomo di instabilità
se non di isteria. Marchiare una donna come una "pasionaria", significa
implicitamente non riconoscerle la "freddezza" necessaria per ricoprire
un incarico pubblico e istituzionale. Un ulteriore aspetto fondamentale riguarda
come abbiamo visto la connessione genetica tra politica e forza, tra politica
e guerra. Si presuppone che le donne difettino del realismo e del pragmatismo
necessario per prendere decisioni difficili e assumere su di sé l'autorità
per agire la forza, ovvero per decidere di ordinare non la cura ma la guerra,
non la vita ma la morte qualora lo richiedesse l'interesse nazionale. Se
questi sono i nodi e le premesse che irretiscono gli uomini in un sistema di pregiudizi
e di precomprensioni nei confronti del materno e delle donne, come è possibile
non tanto opporre ma ridiscutere queste polarità in modo da permettere
una libera risignificazione tanto del materno e della differenza femminile, quanto
del paterno e della differenza maschile? Dovrebbe esser chiaro infatti a questo
punto che la crisi del padre e l'ombra della madre non sono aspetti separati ma
le due facce di un vissuto, maschile ma non solo, che ci inchioda tra un senso
permanente di crisi e un'altrettanto ricorrente sfiducia in alternative radicali.
Occorre dunque attraversare in senso lacaniano il "fantasma del materno"
per modificare lo sguardo maschile e aprire nuove possibilità? Certamente
gli uomini devono reinterrogare il loro rapporto originario con il femminile e
con la madre. Devono fare i conti con le proprie relazioni originarie, con le
proprie emozioni e con i propri vissuti ambivalenti. È la lontananza, l'alienazione
degli uomini dalle proprie emozioni e passioni ovvero la propria scissione interna
a formare nel proprio immaginario il pericolo destabilizzante che le donne e la
loro seduzione rappresenta per loro. Ma questo percorso individuale per quanto
fondamentale non è sufficiente. Occorrono, allo stesso tempo, nello spazio
pubblico figure maschili e femminili di mediazione; soggetti capaci di comprendere
le trappole delle proiezioni reciproche, capaci di gesti spiazzanti che mettano
in crisi le polarità tradizionali, capaci anche di mostrare forme di relazione,
di cooperazione e di ascolto reciproco tra uomini e donne che possano disattivare
paure che hanno radici profonde nell'uno come nell'altro sesso. Né
gerarchia né simmetria: processi politici di ricomposizione
Di fronte alla crisi dell'ordine gerarchico patriarcale e al disordine emergente
da un modello orizzontale maschile, emerge effettivamente la possibilità
di riconoscere nuovamente il significato della relazione originaria con la madre
e di farne un uso politico creativo. Tuttavia questa mossa non sarà possibile
senza un lavoro di reinterpretazione, di mediazione e di ricomposizione simbolica.
Quello che voglio suggerire è che in termini politici il superamento della
crisi del padre dipende dalla capacità delle istituzioni di aprirsi alle
donne e alla differenza femminile e dunque dal superamento della paura generata
dall'ombra della madre, ma che, contemporaneamente, il superamento della paura
del materno dipende anche dall'affacciarsi nella realtà sociale e nello
spazio politico pubblico di una nuova e differente presenza maschile (e paterna)
capace di riconoscere creativamente la libertà e l'autorità femminile
senza sentire questo come una minaccia per la propria libertà e autorevolezza.
Ora nel modello patriarcale tradizionale la figura e la funzione paterna
avevano il ruolo di intervenire nella crescita del figlio per staccarlo dalla
relazione con la madre e inserirlo come individuo virtualmente autonomo e indipendente
nella società degli uomini. La sfida per i nuovi padri è viceversa
quella di incarnare un modello di "autorevolezza in relazione" Ovvero
di sviluppare spazi di autonomia e di libertà pur nel riconoscimento imprescindibile
della relazione, senza fingere cioè di sciogliere la dipendenza reciproca
che tiene in vita e permette la riproduzione degli esseri umani a partire dall'unione
dell'uomo e della donna e dalla relazione tra madre e figli. Da questo punto
di vista la difficoltà del simbolico maschile è oggi quella di riconoscere
che l'alternativa non passa solamente tra un modello gerarchico e autoritario
e uno orizzontale ed egualitario, tra una dimostrazione di forza e di sopraffazione
e un atteggiamento di passività e remissività. Si da invece una
terza possibilità nell'idea e nell'esperienza di forme di autorità
non rigide, non gerarchiche, non unidirezionali ma viceversa relazionali, dinamiche
e variabili che presuppongono uno scambio e la capacità di coniugare insieme,
alternandole, forme di insegnamento e apprendimento, di ascolto e di indirizzo,
tra genitori e figli, tra insegnanti e studenti, tra amministratori/trici e cittadini/e.
Si tratta infine di rispondere ai fantasmi maschili sperimentando una politica
che sappia nominare la dipendenza e la gratitudine verso le donne. Che tenga in
conto l'importanza di una competenza emotiva nella gestione di emozioni e passioni
sociali, per riconoscere, ospitare, maturarle e trasformare creativamente le paure,
i risentimenti, l'inclinazione all'odio e alla vendetta. Una politica che sia
capace di reagire al senso di insicurezza e di incertezza non armandosi e militarizzandosi,
ma piuttosto responsabilizzando le persone e mettendole nella condizione (nelle
famiglie, nei condomini, nei quartieri, nelle città, nelle relazioni tra
paesi) di prendendosi cura della fragilità, della vulnerabilità
di ciascuno/a. Bibliografia Ritanna
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il secondo sesso, Ponte alle grazie, Milano. Maria Luisa Boccia, 2002, La differenza
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Peyrot, 2006, La cittadinanza interiore, Città aperta, Enna, Troina. Emma
Schiavon, 2005, "Riflessioni su genere, nazione, guerra, cittadinanza. Una
lettura di Jean Bethke Elshtain e Rada Ivekovic", a cura di Carla Colombelli,
La guerra non ci dà pace. Donne e guerre contemporanea, Edizioni SEB 27,
Torino.
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