| Repubblica
- 18 Luglio 2008 In
esilio con Omero. Rachel e la forza della guerra di
Nadia Fusini Nei
guerrieri greci non vede né buoni né cattivi, ma il segreto dell´esistenza.
Una visione che non le bastò: morì suicida nel ´49 La
pensatrice ebrea Bespaloff sbarcò a New York nel ´43, come Simone
Weil. E, come lei, trovò nell´Iliade la chiave per capire le tenebre
Se il conflitto distrugge ciò che tocca, restituisce alla vita suprema
importanza La poesia omerica e quella biblica avevano la facoltà di ricostituire
il cuore umano Due
donne negli stessi anni leggono lo stesso libro, l´Iliade. Fatto di per
sé interessante, osserva Laura Sanò nel suo bel libro Un pensiero
in esilio. La filosofia di Rachel Bespaloff (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici).
È così: in un libro, l´Iliade, che non cancella, ma accompagna
l´altro, la Bibbia, Simone Weil e Rachel Bespaloff, trovano la luce per
comprendere le tenebre dei loro giorni. Due donne, entrambe ebree, entrambi
esuli, entrambe destinate a una morte precoce, entrambe in procinto di lasciare
l´Europa, fissano lo sguardo su un testo che è all´inizio della
civiltà e tradizione in cui le donne si riconoscono: la coincidenza, ripeto,
non può passare inosservata. E la nota difatti l´amico caro Jean
Wahl nella prefazione a De l´Iliade, che viene pubblicato in francese a
New York nel 1943. Nel 1947 appare la traduzione in inglese On the Iliad, ad opera
di Mary McCarthy, con introduzione di Hemann Broch. In italiano il testo esce
per Città Aperta Edizioni nel 2004. Simone Weil e Rachel Bespaloff non
si conoscono. Ma si sfiorano più volte. Nella primavera del 1938 Rachel
viene a curarsi nella stessa clinica svizzera per malattie nervose, dove l´anno
precedente era stata ricoverata Simone. A Ginevra entrambe sostano a lungo a una
mostra di quadri di Goya. Negli stessi giorni del maggio 1942 sono entrambe
a Marsiglia in attesa di un visto per fuggire dalla Gestapo, e dunque dall´Europa,
direzione New York, dove giungono nella medesima estate. Ma non viaggiarono
sulla stessa nave, né capitò loro di incontrarsi in terra americana.
Simone ripartì presto per Londra, perché voleva che il proprio destino
si compisse nel bel mezzo della lotta; Rachel si trasferì al College di
Mount Holyhoke, dove Jean Wahl le aveva trovato un incarico di insegnamento. E
lì rimarrà, fino alla morte che si diede di sua propria mano nell´aprile
1949. Le due donne, ripeto, non si incontrano, e tuttavia una trama di coincidenze
le avvicina. Prima di partire per gli Stati Uniti Simone aveva consegnato ai Cahiers
du Sud il saggio su L´Iliade, poema della forza, che uscirà a Marsiglia
nel numero del dic.1940-genn.1941. Aveva iniziato la stesura dello scritto nel
'39. Nello stesso anno Rachel rileggeva l´Iliade insieme con la figlia,
che seguiva con materna sollecitudine negli studi. Una passione la prese per quel
libro meraviglioso, e cominciò a prendere appunti, ad accumulare note su
note; sentiva in Omero il tono, l´accento della verità. Sì,
l´Iliade è davvero, come la Bibbia, un libro ispirato, disse. Scoprì
tardi, quando ormai il suo testo nelle sue linee fondamentali era quasi compiuto,
il saggio di Simone. A spedirlo al suo indirizzo fu un amico, che lei ringrazia
con impeto, grata e meravigliata. Confessa: «Vi sono intere pagine delle
mie note che potrebbero sembrare un plagio». Ma non si tratta di plagio.
Né di identità di vedute. E´ qualcosa di più straordinario:
è la corrispondenza misteriosa e profonda di due intelligenze e sensibilità
diverse, ma della medesima qualità rabdomantica, che leggendo un testo
del passato rispondono del loro presente. Sì, anche per Rachel il mondo
di Omero è il mondo della forza. Attenzione, però: la forza, così
come la legge Rachel, non è né bene né male. Non si tratta
di condannare né di assolvere la forza. Essa è, come la vita è.
Gli eroi di Omero non sono né bellicisti né pacifisti. La forza
di Ettore, come la forza di Achille sono rami del medesimo tronco. Achille e Ettore
sono una sola cosa agli occhi di Zeus, come di Omero. Nel mondo di Omero, come
in quello di Platone, l´ingiustizia o la si impone o la si subisce. Non
c´è in Omero, né tantomeno in Rachel, nessuna apologia della
medesima; Omero, al contrario, è «il poeta dell´infelicità»,
dichiara Rachel. Non dei trionfi, né delle apoteosi. Amarezza, vi aveva
trovato Simone: «il tono non cessa mai di essere intriso di amarezza»;
proprio questo sentimento della «miseria umana», aveva dichiarato
sicura, suscita un «amore doloroso» per ciò che è minacciato
dalla forza. Di «tenerezza verso le cose periture» parla Rachel. Entrambe
intuiscono in Omero una compassione "che conosce". Sì, è
vero, continua Rachel, l´eraclitea: Polemos è padre e re di tutte
le cose. La guerra non dà tregua. Si nutre dell´infelicità
degli uomini. Ha questo solo e unico appetito e di questo appetito prospera. Gode
del proprio abuso. Enorme il sacrificio umano che Ares esige. Ma è anche
vero che Ares è, a suo modo, imparziale, e uccide chi ha ucciso. E alla
fine la guerra arriva a consumare le differenze; tanto che il vincitore assomiglierà
a tutti i vincitori, il vinto a tutti i vinti. E non si può nascondere
che v´è una certa qual "bellezza della forza", un suo «fascino
ipnotizzante», addirittura narcotizzante, come la stessa Weil aveva riconosciuto.
Si potrebbe addirittura dire, anzi Rachel lo afferma, che Omero «divinizza
la sovrabbondanza di vita che massimamente rifulge nel disprezzo della morte,
nell´estasi del sacrificio». Nella violenza, insomma. Ma anche: come
non accorgersi nello stesso momento della fatalità che muta quella stessa
forza in inerzia, in impulso cieco, maligno? Non bisogna né stupirsi,
né indignarsi, continua Rachel: non ci sono buoni e cattivi; nessuna falsa
e semplicistica dicotomia servirà a rincuorarci. Chi si appassioni alla
giustizia, dovrà convivere con il lutto della medesima. Si badi bene: non
stancarsi di piangerla, di evocarla, ma nel riconoscimento che la vita non si
lascia giudicare, misurare, condannare o giustificare dal vivente. In altri
termini, Rachel scopre (è qui che Omero le "serve") che "polemico"
è il carattere costitutivo dell´essere. La realtà è
polemos. La contraddizione è principio ontologico. Il dolore non è
accidentale. In questo senso, la guerra tra Ettore e Achille non decreta un vincitore:
l´uno non può togliere l´altro. Rachel è anti-dialettica,
il suo pensiero è radicalmente tragico. Ha inoltre un temperamento melanconico.
Per lei la contraddizione non potrà mai essere superata, non si darà
sintesi dialettica delle differenze che Achille e Ettore sono. Ma se la guerra
distrugge ciò che tocca, al tempo stesso restituisce alla vita che divora
un´importanza suprema: questo la poesia di Omero dimostra. Nella poesia
di Omero si risolvono e pacificano i contrasti. E´ la poesia di Omero a
trasportarci altrove, in quei momenti di smarrimento in cui avvengono le scelte
morali e religiose, anche quando siano dettate dal destino, e perciò inevitabili;
quei momenti, o quelle svolte della vita, quelle crisi, in cui l´uomo incontra
se stesso, anche quando la decisione sia imposta. E´ in quella spazio di
interiorità, in quell´istante che si manifesta per tutti e ciascuno
il segreto dell´esistenza. A sorprendere questo segreto è la poesia,
per Rachel: una poesia che abbia, come quella omerica, come quella biblica, la
suprema facoltà di ricostituire quel cuore umano. Per Simone, era l´amore,
ricordate? l´amore di Dio, naturalmente; l´amore che l´uomo
prova per Dio. E di Dio per lui. Mentre per Rachel è la poesia. In quanto
«la poesia rapisce alla bellezza il segreto della giustizia vietato alla
Storia». Come ho detto, Rachel non tornò dall´esilio americano.
In un certo senso Rachel era Ettore: provava affetti di un´esigenza terribile
che le si imponevano come a Ettore la patria; sentiva responsabilità che
la legavano al paese in cui l´esilio le si confermò come un destino
- "cronico" lo definì. «Vivere qui» disse «è
come un´amputazione». «La guerra vista da qui non ha realtà». Ma
la guerra dové viverla dentro di sé, e la violenza l´assaporò
fino in fondo, quando all´età di 55 anni si suicidò. Sigillò
bene le porte e le finestre e aprì il gas. Quanto a Simone, lei era
Achille. Tornò in Europa e fino alla fine dei suoi giorni non pensò
ad altro, se non a come combattere l´infamia nazista. La morte le giunse
per fame. Nel chiasmo della violenza, il cui cuore di tenebra entrambe avevano
illuminato, le loro esistenze alla fine si strinsero. Perché se «uccidere
è sempre uccidersi», non vale anche il contrario?
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