Libreria delle donne di Milano

La Repubblica-Donna anno 9 n. 131 del 18 dicembre 2004

FUTURO. Amore, censura, povertà, democrazia, corpo
Secondo il filosofo Miguel Benasayag oggi sono queste le parole chiave per cambiare il mondo.
di Maria Grazia Meda

A come amore, C come corpo. D come democrazia, P come povertà, S come sofferenza. Termini che ci rimandano a concetti tanto vasti e complessi quanto ormai svuotati di un significato più concreto e più immediato. Pur facendo parte del nostro quotidiano, li abbiamo relegati continuamente, nel mondo delle idee. Nel suo nuovo saggio “Abécédaire de l'engagement” (in uscita per Bayard), il filosofo e psicanalista di origine argentina (ma naturalizzato parigino) Miguel Benasayag ci propone di ricontestualìzzare queste parole, di leggerle e pensarle attraverso pratiche concrete. Insomma, il libro è quasi un manuale di istruzioni per l'uso della vita, la nostra, qui e ora. «Attraversiamo un'epoca oscura, un'epoca di passioni tristi», commenta l'autore, «ma, mai come in questo momento, tanti si rendono conto che il sistema, questo sistema che ci rende tristi e impotenti, va cambiato».
Miguel Benasayag non propone ricette miracolose per cambiare il mondo. Anzi, è lui il primo a dire che il mondo, e gli uomini, sono quello che sono in ogni singolo istante, in ogni situazione, in ogni epoca. L'importante è chi decidiamo di essere, e come decidiamo di abitare la nostra epoca; ovvero, che cosa facciamo o non facciamo. Impegnandoci, oppure pensando - ma è solo un'illusione - di chiamarci fuori. “L'Abécédaire de l'engagement” non va letto come un'opera militante. II termine engagement, impegno, è usato nella sua accezione esistenziale. Indica che siamo tutti "impegnati" nelle cose del mondo, intellettualmente e fisicamente; impegnati nell'esistenza tout court. Insomma, come sottolinea l'autore: "Impegnarsi significa abitare ogni situazione che ci si presenta, avere un rapporto attivo con l'esistenza".
Queste voci (ne riportiamo una decina, tra il centinaio che compongono il saggio) vanno dunque considerate un primo spunto di riflessione, un primo passo verso una presa di coscienza di come viviamo nel quotidiano tutte le piccole e grandi cose. Non servono a costruire una morale, ma semplicemente a trovare una coerenza tra i nostri pensieri, desideri, necessità, e le nostre azioni.

AMORE
In Occidente confondiamo amore e legami. In un rapporto figli-genitori, l'amore è in sovrappiù: sono i legami ontologici a nutrirlo e a renderlo possibile. L'amore esibito nella nostra società è uno strano miscuglio di narcisismo e di comodità. Questo ci porta a pensare che la nostra libertà risieda proprio nella capacità di lasciare la persona non più amata. Crediamo di amare una persona perché corrisponde a una nostra fantasia, perché rientra in un ruolo preciso. Ma l'amore comincia proprio quando questa persona esce dal ruolo assegnatole; la sua non conformità al ruolo ci rimanda alla nostra, di non conformità. Accettare queste differenze, questo imponderabile nell'altro permette di costruire legami che vanno oltre la fantasia narcisista.

CORPO
Questa società ha cercato di emarginare il corpo, i suoi condizionamenti, i suoi limiti. Ma il nostro punto di vista può esistere solo a partire dal nostro corpo (inteso nel senso più ampio: genere, colore della pelle, epoca, estrazione sociale...). L'errore della società è di considerare il corpo come un accidente e, in quanto tale, di pensare di modificarlo continuamente, nel mondo delle idee.
Non si vuole rimettere il biologico al centro della riflessione, ma semplicemente accettare I'invariabilità del corpo. Le differenze biologiche esistono, e non vanno cancellate. Dobbiamo invece cancellare la loro gerarchia, costruita sul genere, sul colore della pelle, sull'autonomia fisica e così via.

FATICA
Siamo entrati in una logica dove la fatica, la stanchezza sono sempre valori negativi. L'esperienza della fatica è un momento essenziale e necessario in qualsiasi attività. Accettare la stanchezza. Sforzo fisico significa integrare un concetto di temporalità necessario al nostro equilibrio. Non solo: ci ricorda che pensare, agire, leggere un libro, aiutare una persona sono attività che impegnano il corpo, e quindi lo stancano.

POVERTA'
Nel passato, la povertà non era sinonimo di miseria, anzi: era legata all'idea di non attaccarsi troppo ai beni materiali. Un'idea che sottendeva un messaggio semplice: non siamo proprietari di nulla, neanche della nostra vita, al massimo ne siamo gli occupanti. La ricchezza attuale non si limita all'accumulo di beni, ma significa possedere ciò che gli altri non possono avere. Abbiamo strutturato il desiderio basandolo sulla rarità. Dobbiamo quindi lottare contro l'unidimensionalità degli oggetti del desiderio, tutti fondati e sull'sclusività economica.

SOFFERENZA
Bisogna abbandonare questa idea della sofferenza vissuta come qualcosa di esterno alla nostra vita, come qualcosa che ci attacca e ci piomba addosso dall'esterno: la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia l'angoscia. Il primo passo è capire che non esiste un dolore monolitico, uniforme. È smettere di pensare che ci può essere un mondo senza. È assurdo immaginare che da una parte esista la sofferenza e dall'altra no. Cominciamo con l'accettarla come una componente della nostra esistenza, facendo una distinzione tra le sue varie manifestazioni: il dolore dell'adolescente deluso dal primo amore, quello fisico di un ammalato, quello di una popolazione sotto il giogo di una dittatura...