Per
parlare del suo libro dedicato ad Hannah Arendt, in questa intervista ("La
Repubblica," 20 marzo 2006) Julia Kristeva introduce una strana contrapposizione
tra femminismo e libertà. Secondo lei il femminismo, dopo la stagione
della differenza a cui lei ha partecipato, "ha finito per ignorare
la libertà individuale" e addirittura rischia di "degenerare
in un altro totalitarismo". Viene in mente il femminismo di stato,
che in Italia è stato criticato da sempre proprio come tomba della
libertà femminile (vedi ad esempio Luisa Muraro, Quando lo stato
diventa femminista, "Via Dogana" n. 5, 1992) e che forse in Francia
oggi occupa tutta la scena. Ma oltre al disprezzo per il femminismo in generale,
dal linguaggio usato sembra anche mancare in Kristeva una concezione della
libertà femminile. Invece poi, parlando del genio femminile, il suo
pensiero ha forti risonanze con la libertà nata nel femminismo. Infatti
la Kristeva dice che "nel genio femminile si esprime sempre un sentimento
del sociale, unito alla necessità di rinnovarlo di continuo. La coscienza
della differenza non si traduce mai in solitudine". E più avanti,
riferendosi al pensiero di Hannah Arendt: "Tramite la maternità,
il corpo femminile diventa una condizione della libertà". Kristeva
quindi ha una concezione della libertà femminile, e una concezione
non individualistica, che assomiglia alla libertà relazionale scoperta
nel femminismo. Tuttavia anche questa concezione le serve per contrapporsi
al femminismo: "Tale riflessione andrebbe ricordata - dice - a quelle
femministe che in passato hanno considerato la maternità solo come
un aspetto della sottomissione al potere maschile". Spiace constatare
che una pensatrice così attenta e profonda quando si accosta all'opera
di alcune donne mostri allo stesso tempo acredine e ignoranza proprio verso
quel movimento che ha aperto, e anche a lei, la possibilità di riconoscere
e apprezzare nelle sue sfumature la grandezza del genio femminile.
(Clara Jourdan)
Repubblica,
20 marzo 2006
Il genio
delle donne
Intervista a Julia Kristeva "Il mio libro sulla Arendt"
Fabio Gambaro
"Il
genio femminile nasce da un´individualità che supera di continuo
se stessa, ma restando capace di condividere la propria esperienza con
gli altri". Psicanalista, semiologa, studiosa di letteratura, Julia
Kristeva è conosciuta in Italia per i suoi numerosi saggi - da
La rivoluzione del linguaggio poetico a Le nuove malattie dell´anima
- ma anche per i due romanzi Samurai e Una donna decapitata. A questi
titoli si è aggiunta ultimamente un´appassionante trilogia
dedicata al "genio femminile", in cui ha analizzato l´opera
e le personalità di Hannah Arendt, Melanie Klein e Colette.
L´editore Donzelli, dopo aver tradotto il volume Colette. Vita di
una donna, ha da poco mandato in libreria quello dedicato alla filosofa
scomparsa nel 1975: Hannah Arendt. La vita, le parole (pagg. 396, euro
23), opera che ha ricevuto il premio "Amelia Rosselli 2006"
per la creatività femminile. In occasione del Premio, Julia Kristeva
martedì 21 marzo sarà a Roma per un incontro a lei dedicato,
cui interverranno tra gli altri Nadia Fusini, Federica Giardini, Pietro
Montani, Elisabetta Rasy e Mariella Gramaglia (Sala Santa Rita del Comune,
ore 17.30).
Per Kristeva, la trilogia sul genio femminile rappresenta l´approdo
naturale di un lungo percorso intellettuale e politico: "Ho partecipato
alla terza stagione del femminismo, quella venuta dopo le suffragette
e gli anni di Simone de Beauvoir. Era il periodo che ha fatto seguito
al Sessantotto, quando il movimento delle donne era focalizzato soprattutto
sulla rivendicazione della differenza femminile", spiega la studiosa
nella sua bella casa di Parigi, proprio di fronte ai giardini del Lussemburgo.
"Per via di questa passata militanza, mi è stato spesso chiesto
di scrivere un libro sulle donne o sul femminismo. Io però, sebbene
mi sia spesso occupata di scrittrici, ad esempio Marguerite Duras, o di
questioni relative alla psicanalisi delle donne, non ho mai voluto lanciarmi
in un´opera globale sulla questione femminile. Anche perché,
oggi, una divergenza profonda mi separa dal movimento femminista".
Quale?
"Tutti i movimenti profetici nati dopo la crisi delle religioni,
si sono illusi di realizzare il paradiso in terra, ponendosi in un´ottica
collettiva. Anche le femministe. Ma volendo liberare un gruppo umano nella
sua totalità, si finisce per ignorare la libertà individuale.
Come già le rivoluzioni passate, anche il movimento femminista
ha dimenticato che la libertà si declina sempre al singolare. Per
me è una questione essenziale. Non a caso, mi sento molto vicina
alla lezione di Duns Scoto, il monaco filosofo del medioevo, per il quale
verità e libertà sono sempre figlie della singolarità.
Occorre sempre rispettare la specificità, i desideri e la creatività
d´ogni individuo. Anche il femminismo deve tenere conto della singolarità,
altrimenti rischia di degenerare in un altro totalitarismo. Ecco perché,
più che parlare delle donne in generale, ho preferito ricordare
il genio di alcune grandi personalità, genio che nasce da una singolarità
capace sempre di superarsi".
Da qui la scelta di Hannah Arendt, Melanie Klein e Colette?
"Dato che mi sono sempre occupata di filosofia, psicanalisi e letteratura,
ho scelto queste tre donne per parlare della vita, della follia e delle
parole. In loro non v´è nulla dell´eccezionalità
del genio romantico. Eppure, di fronte alle difficoltà della loro
esistenza, hanno saputo dare il meglio di se stesse, superandosi e fecondando
felicemente la cultura del XX secolo. Sono l´illustrazione perfetta
del genio femminile".
Hannah Arendt però sembrava non credere all´idea del genio...
"È vero. Ricordava che l´immagine del genio è
nata nel Rinascimento, quando l´idea del divino, dopo aver conosciuto
una crisi profonda, torna a manifestarsi nelle sembianze del genio umano
che libera l´uomo dalla banalità e dalla noia. È l´idea
dell´artista eccezionale che poi dominerà la cultura romantica.
Il genio a cui penso io, però, ha caratteristiche molto diverse.
Le tre personalità che ho scelto, infatti, non hanno nulla d´eccezionale
e sono capaci di parlare a tutte le donne. Partendo sempre dalla loro
difficile quotidianità, sono riuscite a creare un´opera lontanissima
dall´ordinario, elaborando una riflessione straordinariamente innovativa.
Al contempo, in loro non cessa mai la preoccupazione del legame con gli
altri. Nel genio femminile, infatti, si esprime sempre un sentimento del
sociale, unito alla necessita di rinnovarlo di continuo. La coscienza
della differenza non si traduce mai in solitudine. Hannah Arendt, evitando
di barricarsi nella propria esperienza d´esclusione e d´esilio,
ha cercato di costruire un´opera condivisibile".
Quali sono le altre caratteristiche del genio femminile?
"Nel genio femminile il pensiero non è mai separato dal corpo.
Gli uomini tendono a rinchiudersi nei palazzi ossessivi del pensiero puro,
dimenticando il dato dell´esperienza corporea. Hannah Arendt parlava
non a caso della triste tribù dei filosofi. Per lei, invece, pensare
è l´unica forma di felicità, proprio perché
la sua riflessione è sempre legata a qualcosa di concreto. Per
lei, il pensiero è indissociabile dal corpo e dall´esperienza
con gli altri".
Il tema del corpo femminile richiama inevitabilmente la questione della
maternità...
"Per l´autrice delle Origini del totalitarismo, la libertà
non è opporsi a una norma, perché la contestazione è
sempre determinata da ciò a cui ci si oppone. La vera libertà
nasce nella capacità d´iniziativa, è radicata nella
possibilità di cominciare e ricominciare sempre. E il fondamento
ontologico di tale libertà risiede nella nascita. È proprio
perché nasciamo effimeri, mortali e differenti che siamo liberi.
Tramite la maternità, il corpo femminile diventa una condizione
della libertà. Tale riflessione andrebbe ricordata a quelle femministe
che in passato hanno considerato la maternità solo come un aspetto
della sottomissione al potere maschile".
Del pensiero di Hannah Arendt, più che le tematiche politiche,
lei ha sottolineato quelle legate alla vita umana. Perché?
"Ho cercato di restituire un percorso intellettuale in tutta la sua
complessità. Le riflessioni politiche di Hannah Arendt sul totalitarismo
e l´antisemitismo non possono essere separate dalla riflessione
filosofico-antropologica sulla condizione umana. La denuncia dei due totalitarismi
nazista e comunista si basa su considerazioni etiche che nascono dalla
comprensione del senso della vita umana. Da qui l´idea che la vita
degli uomini sia sempre un´azione politica".
Questa riflessione sulla vita umana è ancora d´attualità?
"Penso di sì, anche perché alla fine degli anni Sessanta,
la pensatrice tedesca denuncia l´automatizzazione della specie e
i rischi di una società ipertecnocratica dominata da un´élite
che finisce per escludere dal benessere gran parte dell´umanità.
Hannah Arendt mette in guardia contro l´automatizzazione della specie
che prepara nuove forme di totalitarismo. Un monito più che mai
attuale".
Il lavoro del pensiero rappresenta un antidoto alla negazione dell´umanità?
"Certo. Nella sua riflessione, l´autrice della Vita activa
non valorizza il pensiero che calcola, ma il pensiero che s´interroga.
Oggi abbiamo schematicamente due modelli: il pensiero del calcolo che
ci aiuta ad adattarci alla realtà e quello che si pone sempre nuovi
interrogativi, per non sottomettersi alla dittatura del reale, per sviluppare
la libertà degli individui e creare nuove relazioni. Noi non abbiamo
bisogno di adattarci, ma d´innovare. In questa prospettiva, la lezione
da Hannah Arendt può essere fondamentale. Il suo genio è
la migliore espressione dello spirito europeo caratterizzato da un pensiero
che non rinuncia mai a interrogarsi".
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