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l'Unità
- 5 Febbraio 2005
«LIraq
resta fuori controllo, il sequestro lo dimostra»
Umberto De Giovannangeli
«Il
rapimento di Giuliana Sgrena è la drammatica riprova che la sicurezza
in Iraq non è certo migliorata dopo le elezioni del 30 gennaio.
La verità è che intere aree del Paese, comprese alcune zone
di Baghdad, sono ancora in mano ai gruppi terroristi e alla resistenza
armata». A sostenerlo è Lilli Gruber, più volte inviata
del Tg1 in Iraq, oggi europarlamentare. Gruber affronta anche la questione
del voto di domenica scorsa e mette in guardia da un eccesso di ottimismo:
«Mi inchino davanti ai milioni di iracheni che sono andati a votare,
ne ammiro il grande coraggio, ma a differenza di Berlusconi non credo
che questa iniezione di speranza possa cancellare il fatto che lIraq
sia ancora sotto occupazione militare e che il probabile successo dei
partiti sciiti sostenuti dal Grande ayatollah al-Sistani apra nuovi, gravissimi
problemi etnico-religiosi in questo martoriato Paese».
Da inviata speciale della Rai in Iraq, lei ha avuto modo di conoscere
sul campo Giuliana Sgrena. Come la ricorda?
«Giuliana è una bravissima giornalista, molto seria, molto
competente e professionale, che conosce molto bene lIraq e lo frequenta
da tanti anni. Ed è anche una collega molto coraggiosa, come dimostra
il fatto che anche in queste settimane lei si trovasse nel Paese; una
giornalista che non scrive le sue corrispondenze stando solo nella sua
stanza dalbergo. Il fatto è che oggi a Baghdad, in Iraq,
si devono utilizzare mille precauzioni quando si esce dallalbergo.
Lultima volta sono stata in Iraq a luglio, ma nel frattempo le cose
sono, se possibile, peggiorate. Mio marito è tornato la scorsa
settimana, è un collega francese, veterano di tante guerre raccontate
sul campo e anche lui mi diceva che è sempre più rischioso;
ciò non toglie che io penso che i giornalisti debbano continuare
ad andare in Iraq, debbano continuare a fare il nostro dovere di giornalisti
che è quello di raccontare anche realtà complesse e rischiose
come è quella irachena».
Raccontare, ad esempio, lIraq del dopo-voto. Qual è lidea
che si è fatta di questo «nuovo inizio»?
«Innanzitutto mi inchino davanti ai milioni di iracheni che a rischio
della propria vita sono andati a votare domenica. Conosco lIraq
dal 1991, conosco quindi il popolo iracheno da tanti anni e so bene quanto
fosse importante per loro avere questa grande opportunità di esprimersi
liberamente nella misura in cui sono state elezioni con tante liste e
tanti candidati diversi; sono state però anche delle elezioni dove
non cerano praticamente osservatori internazionali e sono state
delle elezioni tenute in un Paese sotto occupazione, e soprattutto in
un Paese dove ancora, come dimostra il rapimento di Giuliana Sgrena, non
esiste la sicurezza. Ma nonostante tutti questi rischi gli iracheni si
sono recati alle urne, e questo è comunque un segno di speranza.
Per il resto, mi attengo a una linea che seguo da sempre, che è
quella di diffidare della propaganda dei governi, e nel caso specifico
sia di quello italiano che del presidente Usa George W.Bush, e penso che
sia molto più utile per tutti quanti cercare di capire che sta
davvero accadendo oggi in Iraq...».
E cosa sta accadendo davvero nellIraq del dopo-voto?
«In Iraq con le votazioni di domenica si è aperta una nuova
fase che può portare il Paese a una pacificazione, verso un percorso
democratico, ma penso anche che questo percorso sia ancora molto lungo
e molto accidentato come dimostra il rapimento di oggi (ieri, ndr.). Qualcuno
mi ha chiesto se lIraq è più o meno sicuro dopo le
elezioni...».
E qual è la sua risposta?
«Dal punto di vista della sicurezza, lIraq è come era
prima delle elezioni. Non cera la sicurezza sabato e domenica scorsa,
non cè sicurezza neanche oggi. È evidente che il processo
politico che si sta mettendo in moto è un processo importante,
lento, perché stanno ancora scrutinando i voti; un processo che
con ogni probabilità vedrà vincitori gli sciiti appoggiati
dal Grande ayatollah al-Sistani. Gli americani rispetteranno lesito
di questo voto, se si conferma che hanno vinto gli uomini sostenuti da
al-Sistani? Vedremo. Ma sicuramente avendo questo martoriato Paese un
grosso problema etnico-religioso, basta citare il fatto che la maggioranza
dei sunniti non è andata a votare per capire che il percorso sarà
ancora difficile e accidentato. Daltro canto, non si deve mai scordare
che lIraq non solo è un Paese ancora occupato militarmente
da forze occidentali, ma è anche un Paese in preda ad attacchi
terroristici, un Paese in cui opera anche una guerriglia degli insorti,
una resistenza nazionale. LIraq è un Paese in cui operano
i servizi segreti di tutti quegli Stati e regimi che hanno qualche interesse
al futuro dellIraq, ed è un Paese in cui cè
una criminalità comune organizzata molto diffusa. LIraq,
in definitiva, è un Paese che è sprofondato nel caos e nellanarchia
in tante sue regioni e province».
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