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L'unità - 10 febbraio 2010
«Mandela ottenne la libertà di tutti. Lui, anche in carcere
è sempre stato libero»
Umberto De Giovannangeli
Sono trascorsi venti anni da quel giorno
in cui potè riabbracciare colui con il quale aveva condiviso un
lungo, drammatico, esaltante cammino di libertà. Venti anni dopo,
Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace 1984, non nasconde la sua emozione
nel riandare «con il cuore e la mente a quel giorno indimenticabile,
in cui la ritrovata libertà di Nelson Mandela dette un impulso
decisivo alla lotta di un intero popolo contro il regime dellApartheid.
Quel giorno fu posta una pietra miliare nella costruzione del Nuovo Sudafrica».
Sono passati venti anni da quellabbraccio interminabile tra due
grandi amici primancora che compagni di lotta. Unamicizia
nata a Vilakazi Street, nel centro di Soweto, dove Nelson e Desmond sono
cresciuti. Il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo,
Nobel per la Pace per la sua lotta non violenta contro lapartheid,
non ha mai fatto venire meno la sua voce, il suo impegno, ovunque nel
mondo i diritti della persona, delle minoranze, di interi popoli - come
quello palestinese - vengono calpestati. «In questa battaglia -
dice larcivescovo sudafricano - ho sempre avuto a mio fianco Nelson,
anche quando aveva assunto la guida del Sudafrica. Certo, doveva fare
i conti con i compromessi che per un capo di Stato sono allordine
del giorno, ma posso dire che mai, mai la ragion di Stato ha portato Nelson
Mandela a venir meno ai principi che hanno ispirato la sua, la nostra
vita». Una vita che Desmond Tutu ha sempre cercato di condurre sulla
base di due assunti: «Il primo - spiega - è che un vero patriota
sa che il prezzo della libertà è la costante vigilanza,
perché una conquista non è data una volta per sempre».
Il secondo principio è quello che ha dato il titolo alla sua autobiografia:
«Non può esistere futuro senza perdono». «Perdonare
e riconciliarsi - rimarca Tutu - non significa far finta che le cose sono
diverse da quello che sono. Non significa battersi reciprocamente la mano
sulla spalla e chiudere gli occhi di fronte a quello che non va. Una vera
riconciliazione può avvenire soltanto mettendo alla scoperto i
propri sentimenti: la meschinità, la violenza, la degradazione...
la verità».
Venti anni dopo, Desmond Tutu non cambia di una virgola ciò che
ebbe a dire, già anni fa, di «Madiba», il nome con
cui tutti i neri chiamano Mandela. «Nelson Mandela trascorse ventisette
anni in prigione. Quei ventisette anni furono la fiamma che temprò
il suo acciaio, rimuovendo le scorie. E quella sofferenza patita nellinteresse
di altre persone gli conferì unautorità e una credibilità
che non avrebbe potuto avere altrimenti. I veri leader devono prima o
poi convincere i loro seguaci che non si sono buttati nella mischia per
interesse personale ma per amore per gli altri. Niente può testimoniarlo
in modo più convincente della sofferenza. Sarebbe riuscito Nelson
Mandela a ritagliarsi il suo posto nella storia come grande leader politico
e morale senza quella sofferenza? Ne dubito».
Venti anni fa il prigioniero politico più famoso del mondo
riacquistò la libertà dopo oltre ventisette anni di carcere...
«No, Nelson non riacquistò la libertà, la conquistò.
E con lui un intero popolo che aveva fatto di Madiba il simbolo
della lotta allApartheid. Ogni giorno, ogni ora di quella vita trascorsa
in carcere, Nelson laveva consacrata alla libertà. Anche
in carcere è sempre stato un uomo libero».
Lei è tra gli amici di lunga data di Nelson Mandela: i vostri
nomi, i vostri volti sono divenuti per intere generazioni al mondo i simboli
della lotta allApartheid. Unamicizia vera, come la vostra,
è stata anche molto vivace...
«Lo dica pure: tante volte abbiamo alzato la voce, provando a convincere
laltro che aveva torto, che la scelta giusta era unaltra.
Non sempre siamo stati daccordo, ma ciò non toglie il mio
giudizio di fondo su Nelson Mandela...»
Qual è questo giudizio, arcivescovo Tutu?
«Nelson Mandela è stato, è un grande. Non solo
per come ha combattuto ma per come ha saputo vincere. Con lo spirito di
giustizia, mai di vendetta. Vede, non è da tutti riuscire ad essere,
nellarco di una vita, il leader amato, osannato di un movimento
di rivolta e, successivamente, ad essere visto, accettato, come il Presidente
di tutti i sudafricani, al di là del colore della pelle, dellappartenenza
etnica o religiosa. Nelson Mandela cè riuscito».
Riferendosi alla lotta allapartheid in molti, a quei tempi, la
paragonarono alla lotta dei neri degli Stati Uniti, negli anni 60, per
i diritti civili.
«La situazione presentava molte analogie. Ma con una differenza:
che noi non potevamo combattere per i nostri diritti civili, perché,
da un punto di vista legale e civile, i neri in Sudafrica non esistevano,
non erano previsti nemmeno dalla Costituzione. Noi lottavamo per essere
riconosciuti come esseri umani, per il semplice diritto di esistere».
Un passaggio decisivo nella costruzione del Nuovo Sudafrica vide di
nuovo assieme Nelson Mandela e Desmond Tutu. È quando Mandela decise
di affidarle la guida della Commissione per la Verità e la Riconciliazione.
Lei ha sempre sostenuto che questo fu uno dei più grandi atti compiuti
da Mandela.
«È così. A rispondere alla sfida di de Klerk (lultimo
presidente dellapartheid, che l11 febbraio 1990 ha firmato
il decreto per liberare Mandela, ndr) non fu un uomo vendicativo, deciso
a ripagare i bianchi con la stessa moneta. Fu un uomo regalmente dignitoso,
magnanimo e sinceramente desideroso di dedicare le proprie forze alla
riconciliazione tra coloro che le ingiustizie e le sofferenze del razzismo
avevano reso nemici. Mandela non uscì di carcere pronunciando parole
di odio e di vendetta. Al contrario, riuscì a meravigliarci per
la capacità di incarnare in tutti i suoi atti la volontà
di riconciliazione e di perdono. E di questi atti, la Commissione che
io ebbi lonore e lonere di guidare, fu tra i più significativi».
La Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana
(istituita dallallora primo ministro Nelson Mandela nel 1995, e
che operò dal 1996 al 1998, ndr) ha fatto accendere tutti i riflettori
su di noi... Nel corso delle audizioni, Desmond Tutu ha fatto emergere
la nostra comune pena e il dolore, ma anche la nostra speranza e fiducia
nel futuro. Parole di Nelson Mandela...
«Delle quali gli sarò sempre grato. Vede, in fondo Nelson
e io non abbiamo fatto altro che essere fedeli ad un tratto fondamentale
della visione africana del mondo, quella che noi conosciamo con il nome
di ubuntu. Una persona con ubuntu è aperta
e disponibile agli altri e non si sente minacciata dal fatto che gli altri
siano capaci e anche migliori perché possiede una certezza che
deriva dal sapere di appartenere a un gruppo più grande e che è
diminuito quando gli altri si sentono umiliati o sminuiti, quando gli
altri sono torturati oppure oppressi. Nello spirito dellubuntu
fare giustizia significa risanare le ferite, correggere gli squilibri,
ricucire le fratture dei rapporti, cercare di riabilitare le vittime quanto
i criminali, ai quali va data la possibilità di reintegrarsi nella
comunità che il loro crimine ha offeso. La riconciliazione non
è qualcosa che ti mette comodo, non ti permette di fare finta che
le cose siano diverse da come sono; la riconciliazione basata sulla falsità
o sulla mistificazione della realtà non è vera riconciliazione
e non può durare. Ciò che ha animato la Commissione per
la verità e la riconciliazione è stata la ricerca di una
giustizia ricostruttiva. Di ciò non io o Nelson ma lintero
Sudafrica deve essere orgoglioso».
Venti anni dopo. Si può dire che il Sudafrica sia diventata
ciò che Lei sognava che fosse?
«Lei si riferisce allidea della Rainbow nation
(una nazione arcobaleno). No, quel sogno non si è ancora pienamente
realizzato. Cè ancora molto da fare nel campo della giustizia
sociale, delleguaglianza tra donne e uomini, nella lotta allAids...
Ma se guardo a quei tempi, mi dico: Desmond non essere troppo intransigente,
il cammino della libertà è ancora lungo ma tanta strada
è stata fatta. E nella direzione giusta».
In questi giorni in Italia uscirà un film molto atteso, Invictus,
incentrato sulla vittoria della nazionale sudafricana ai mondiali di rugby
del 1995. Cosa rappresentò per il Sudafrica quellevento?
«Un dono di Dio... La nostra squadra vinse e questo cambiò
profondamente il nostro Paese. Quella vittoria contribuì alla pacificazione
più di quanto possa fare io con le mie prediche nel corso di un
anno intero...».
Ora il Sudafrica si appresta a ospitare i mondiali di calcio.
«Pronosticare un nostro successo mi pare un po azzardato.
I mondiali di calcio sono un avvenimento molto importante che ci aiuta
ad avvicinarci di più. E già questo vale una vittoria».
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